Diplomazia tunisina al lavoro per liberare concittadini minorenni prigionieri in Libia

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In foto Taoufik Gasmi

Si parla tanto di Libia, Tunisia e tentativi di pace nella zona fagocitati dalle grande potenze e respinti di fatto dai grandi del conflitto. La conseguenza resta sempre il fatto che le persone più deboli ne pagano le conseguenze: ora 36 minorenni tunisini orfani dei combattenti dello Stato islamico di cui si sono perse le tracce a Sirte, in Libia, “sono ancora bloccati nelle carceri di Misurata e Tripoli con le loro madri”. Lo ha detto oggi il Console Generale tunisino in Libia, Taoufik Guesmi, in una dichiarazione all’agenzia di stampa “Tap”. Si tratta, in particolare, di 15 orfani e dieci donne attualmente incarcerati a Misurata, e di altri dieci madri con 21 minori detenuti a Tripoli. “Il loro rimpatrio dipende dalle procedure giudiziarie tra Tunisia e Libia”, ha aggiunto Guesmi, sottolineando che le madri di questi bambini sono oggetto di procedimenti giudiziari da parte delle autorità libiche. Il presidente della Repubblica tunisina, Kais Saied, ha ricevuto ieri presso il Palazzo di Cartagine i sei “figli” dello Stato islamico rimpatriati con l’ausilio di una delegazione governativa. Il capo dello Stato ha sottolineato la necessità di accelerare l’adozione di tutte le misure necessarie da parte delle strutture dello Stato per offrire assistenza psicologica e cure mediche ai bambini prima di affidarli alle famiglie allargate.
Inoltre, Saied ha raccomandato di seguire il dossier per facilitare il ritorno degli orfani dei jihadisti ancora bloccati in Libia e ha ringraziato il governo di accordo nazionale e la Mezzaluna rossa libica “che hanno dato prova di grande cooperazione per il successo di questa operazione umanitaria”. “La questione del ritorno dei bambini bloccati in Libia è stato seguito da vicino dal presidente della Repubblica ed è stato uno dei temi principali dell’incontro con il presidente del Consiglio di presidenza del governo libico di accordo nazionale, Fayez al Sarraj, durante la visita a Tunisi il 10 dicembre 2019, in cui si è deciso di garantire un ritorno rapido di questi bambini nelle loro famiglie in Tunisia”, si legge nel comunicato. I ‘Figli del conflitto” però devono subire ancora torture psicologiche come quelle che non ti danno visibilità e certezza su quello che stai passando, e preparano una generazione futura che non si sa bene come potrà trasformare questa incomprensibile realtà. L’infanzia e i più deboli non dovrebbero avere colore, e soprattutto non dovrebbero restare dimenticati nel tempo, anche perché questa è una condizione molto pericolosa dalla quale non sempre se ne può uscire con soluzioni umanitarie.