Dove e quando si è inceppato il congegno del progresso. Il quesito vale per Italia, Europa e gran parte del mondo

in foto Giovanni Malagodi

Se si rivolge, anche solo per poco, lo sguardo all’ indietro nel tempo, con ogni probabilità dopo non si riuscirà a guardare avanti a cuor leggero. Solo per non farsi ancora più male, è prudente partire dall’inizio di questo secolo. Bando alle chiacchiere e attenzione ai fatti. Anche se già allora era poco più che un ricordo quanto si era verificato sia nel bene che nel male dal dopoguerra in poi, stava per entrare nel circuito finanziario globale una innovazione che avrebbe, di lì a poco, rivoluzionato- il termine non è fuori luogo – l’assetto delle relazioni internazionali in toto. Il protagonista di tale opera, di cui quanto accennato è solo l’ouverture, è chiaramente l’euro, la moneta unica europea. Essa ha una potenzialità, finora non espressa ancora completamente, che ha già permesso a tutti i cittadini dei paesi che formano la EU di poter girare il mondo e fare acquisti e affari più liberamente di quanto fosse mai accaduto in precedenza. Ciò pagando con un biglietto di banca accettato con lo stesso gradimento di una carta di credito o dei vecchi e romantici travellers cheque partoriti, nel secolo precedente, dal leggendario Thomas Cook. Quella moneta ha registrato subito un gradimento non di facciata, ma di particolare consistenza, spingendosi a confrontarsi con forza quasi equipollente con il biglietto verde americano, il dollaro. Con quella nuova moneta quasi immediatamente nacque la competizione a chi toccasse il primato sui mercati, rimanendo molte volte tale partita a reti inviolate, cioè in parità. Negli oltre venti anni in cui è entrato in circolazione, si può dire che il suo andamento ha ancora le stesse caratteristiche che, con una definizione a tinte forti, Giovanni Malagodi diede dell’ ECU, embrione della nuova moneta unica. In sostanza il suo corso sarebbe stato legato a una media teorica dell’ andamento delle valute che avrebbe sostituito. Per averne un’ immagine più chiara, disse quel Presidente del PLI, bastava pensare a un serpente che avanzasse in un tubo dal diametro poco più grande del suo corpo. Nonostante tutti gli incidenti di percorso che quel rettile di pura fantasia ha dovuto affrontare e superare, a oggi è, dopo il dollaro, la valuta più usata in assoluto. La breve cronistoria appena scritta vuole servire a corroborare l’assunto che la colonna sonora del cammino del mondo, nella suonata a quattro mani dei rapporti commerciali e finanziari internazionali, vede impegnati sia il dollaro che l’euro. Cosa è cambiato allora nella scaletta dell’umanità che, oltre all’allontanarsi a grandi passi non da un periodo da Eden, ma almeno di relativa tranquillità, al momento è difficile stabilirlo. Si può azzardare che una delle concause può essere ricercato nella crescita a dismisura e generalizzata della auri sacra fames, la voglia di far soldi a tutti i costi. Non certamente usando comportamenti adeguati alle circostanze, bensì usando ogni stratagemma suggerito dalla volontà di speculare. Secondo il gestore del bar Centrale, speculare equivale a volersi arricchire senza lavorare. Corretto, dunque necessario, quell’ intervento chiarificatore fatto tra la mescita di una birra e la preparazione di un cappuccino, ma non sufficiente. Esistono altri elementi, molti di essi di tipo culturale, che vanno aggiunti nel tentativo di trovare una motivazione della barbarie che sta imperversando dovunque. Le indagini sociali indicano chiaramente che gli avvicendamenti generazionali degli ultimi trenta anni non sono andati, anche fuori Italia, come era accaduto fino alla fine del secolo scorso, cioè in maniera graduale. Dall’inizio del secolo si sta assistendo in molti casi alla formazione di una vera e propria spaccatura tra genitori e figli. Per la qual cosa i secondi considerano e quindi trattano i primi come alieni. La sana competitività, quella riassunta nell’ espressione “vinca il migliore”, attualmente è un ricordo sbiadito. Secondo le indagini innanzi accennate, molti giovani e meno giovani hanno tirato in barca i remi molto anzitempo all’età dell’uscita dal lavoro, peraltro molti di loro non essendovi mai entrati. Nè tanto meno hanno compiuto un ciclo di studi completo. Se non si trova il modo di invertire tale rotta sarà sempre più probabile che la nave Italia finisca su una secca della storia. A quel punto sarebbe ancora più vano piangere sul latte versato. Forse potrebbe valere il dantesco “chi è causa del suo mal, pianga se stesso”.