Draghi, rischi tenuta Ue a shock, allarme giovani

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ROMA, 7 APR – Il presidente della Bce, Mario Draghi, evoca “interrogativi riguardo alla direzione in cui andrà l’Europa e alla sua capacità di tenuta di fronte a nuovi shock”, mentre la banca centrale si dice pronta a intervenire nuovamente, anche con un ulteriore taglio dei tassi. Ma come in un film già visto, ad essere precisi lo scorso marzo quando ai nuovi interventi della Bce seguì una breve fiammata per poi riprendere la discesa, le borse reagiscono male, guidate da un pesante scivolone (-2,45%) di Milano. Gli interventi pianificati della Bce superano i 1.700 miliardi con gli acquisti di debito (principalmente pubblico), i tassi sono negativi e le banche europee dovrebbero festeggiare un aiuto dalla Bce che pagherà loro un interesse, se impiegheranno i suoi prestiti in altri prestiti all’economia. Eppure sui mercati serpeggia un clima di sospetto, come se un simile attivismo monetario nascondesse guai in vista. Tanto da oscurare una Bce pronta a intervenire ancora una volta, che “non si arrende” – ribadisce Draghi – a un’inflazione che in molti chiamano “deflazione”, e che esorta i governi a intervenire subito contro una disoccupazione giovanile da “generazione perduta”. Non è solo il presidente della Bce, del resto, a parlare di shock, usando un termine che non è proprio rassicurante. “Se dovessero esserci ulteriori shock, le nostre misure potrebbero essere ricalibrate nuovamente”, gli fa eco il capo economista della Bce, Peter Praet avvertendo dei rischi di tassi così bassi per le banche. E dai verbali della riunione Bce del 10 marzo, quella del maxi-pacchetto chiamato ‘Qe3’, emerge che già allora non si era escluso di tagliare nuovamente i tassi nonostante siano all’osso (il tasso principale a 0,00% e quello sui depositi a -0,40%). E il governatore di Bankitalia Ignazio Visco a un convegno a Francoforte ricorda come “senza le misure (di Qe) prese dalla Bce fra giugno 2014 e dicembre 2015 “la recessione italiana sarebbe finita solo nel 2017, e l’inflazione sarebbe rimasta negativa per l’intero periodo di tre anni”. certo l’effetto prolungato di tassi bassi a zero può pesare su alcune banche ma quelle della Bce “non sono scelte bizzarre” ma derivano dall’allentamento dell’economia2 e l’inflazione attuale e prospettica. Quando si chiede quali potrebbero essere questi nuovi shock, chi è vicino alle stanze dei bottoni risponde allargando le braccia: i rischi non sono mai stati così tanti. La crescita – come avverte il Fmi – è più bassa del previsto. La Grecia è ancora una mina innescata: la ‘review’ del suo programma doveva essere completata a ottobre e il negoziato è ancora in alto mare. L’Europa, nonostante la tregua in Siria, è lambita da un conflitto che rischia di diventare incontrollabile. La deflazione è un rischio concreto e il governatore di Bankitalia, sottolinea come se alcuni rinnovi contrattuali conclusi di recente in Italia (che prevedono come parte dei futuri aumenti salariali sia rivista al ribasso nel caso in cui il tasso di inflazione si riveli inferiore alle stime) dovessero diventare la norma, potrebbero scattare quegli “effetti secondari” a carattere deflazionistico, in pratica l’incubo di ogni banca centrale. Il governatore rileva quindi come in un contesto di inflazione persistentemente bassa c’è evidenza che le aspettative d’inflazione stiano giocando un ruolo crescente nelle contrattazioni salariali e che quindi aspettative di inflazione sfavorevoli possano auto-alimentarsi. E poi la crisi dei rifugiati che rischia di trasformarsi in problema esistenziale per l’Europa, e la ‘bomba’ a orologeria del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, con un ‘sì’ alla Brexit che costerebbe alle banche europee oltre 100 miliardi secondo stime Bloomberg. Non è sfuggito a molti osservatori che le parole di Draghi assomigliano a quelle dei governatori della Fed, emerse dai verbali della riunione di marzo che parlano di “sviluppi economici-finanziari globali che continuano a porre rischi” tanto da far sfumare una stretta monetaria ad aprile. Ecco allora che più alla risposta della Bce o della Fed, gli investitori stanno prestando attenzione ai loro ragionamenti, a quello che dicono e (ancora) non dicono. Con un possibile epicentro ancora una volta nelle banche, anche oggi il settore più penalizzato sui listini europei, con Francoforte che perde l’1%, Parigi lo 0,9% e Milano maglia nera anche oggi, -21% dall’inizio di un 2016 che dovrebbe essere in ripresa. Soffrono persino i titoli di Stato nonostante da venerdì la Bce abbia accelerato gli acquisti di debito europeo al ritmo di ben 80 miliardi di euro al mese: lo spread Btp-bund sfiora i 130 punti base, come se la Bce a marzo fosse rimasta a guardare.

ROMA, 7 APR – Il presidente della Bce, Mario Draghi, evoca “interrogativi riguardo alla direzione in cui andrà l’Europa e alla sua capacità di tenuta di fronte a nuovi shock”, mentre la banca centrale si dice pronta a intervenire nuovamente, anche con un ulteriore taglio dei tassi. Ma come in un film già visto, ad essere precisi lo scorso marzo quando ai nuovi interventi della Bce seguì una breve fiammata per poi riprendere la discesa, le borse reagiscono male, guidate da un pesante scivolone (-2,45%) di Milano. Gli interventi pianificati della Bce superano i 1.700 miliardi con gli acquisti di debito (principalmente pubblico), i tassi sono negativi e le banche europee dovrebbero festeggiare un aiuto dalla Bce che pagherà loro un interesse, se impiegheranno i suoi prestiti in altri prestiti all’economia. Eppure sui mercati serpeggia un clima di sospetto, come se un simile attivismo monetario nascondesse guai in vista. Tanto da oscurare una Bce pronta a intervenire ancora una volta, che “non si arrende” – ribadisce Draghi – a un’inflazione che in molti chiamano “deflazione”, e che esorta i governi a intervenire subito contro una disoccupazione giovanile da “generazione perduta”. Non è solo il presidente della Bce, del resto, a parlare di shock, usando un termine che non è proprio rassicurante. “Se dovessero esserci ulteriori shock, le nostre misure potrebbero essere ricalibrate nuovamente”, gli fa eco il capo economista della Bce, Peter Praet avvertendo dei rischi di tassi così bassi per le banche. E dai verbali della riunione Bce del 10 marzo, quella del maxi-pacchetto chiamato ‘Qe3’, emerge che già allora non si era escluso di tagliare nuovamente i tassi nonostante siano all’osso (il tasso principale a 0,00% e quello sui depositi a -0,40%). E il governatore di Bankitalia Ignazio Visco a un convegno a Francoforte ricorda come “senza le misure (di Qe) prese dalla Bce fra giugno 2014 e dicembre 2015 “la recessione italiana sarebbe finita solo nel 2017, e l’inflazione sarebbe rimasta negativa per l’intero periodo di tre anni”. certo l’effetto prolungato di tassi bassi a zero può pesare su alcune banche ma quelle della Bce “non sono scelte bizzarre” ma derivano dall’allentamento dell’economia2 e l’inflazione attuale e prospettica. Quando si chiede quali potrebbero essere questi nuovi shock, chi è vicino alle stanze dei bottoni risponde allargando le braccia: i rischi non sono mai stati così tanti. La crescita – come avverte il Fmi – è più bassa del previsto. La Grecia è ancora una mina innescata: la ‘review’ del suo programma doveva essere completata a ottobre e il negoziato è ancora in alto mare. L’Europa, nonostante la tregua in Siria, è lambita da un conflitto che rischia di diventare incontrollabile. La deflazione è un rischio concreto e il governatore di Bankitalia, sottolinea come se alcuni rinnovi contrattuali conclusi di recente in Italia (che prevedono come parte dei futuri aumenti salariali sia rivista al ribasso nel caso in cui il tasso di inflazione si riveli inferiore alle stime) dovessero diventare la norma, potrebbero scattare quegli “effetti secondari” a carattere deflazionistico, in pratica l’incubo di ogni banca centrale. Il governatore rileva quindi come in un contesto di inflazione persistentemente bassa c’è evidenza che le aspettative d’inflazione stiano giocando un ruolo crescente nelle contrattazioni salariali e che quindi aspettative di inflazione sfavorevoli possano auto-alimentarsi. E poi la crisi dei rifugiati che rischia di trasformarsi in problema esistenziale per l’Europa, e la ‘bomba’ a orologeria del referendum sull’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, con un ‘sì’ alla Brexit che costerebbe alle banche europee oltre 100 miliardi secondo stime Bloomberg. Non è sfuggito a molti osservatori che le parole di Draghi assomigliano a quelle dei governatori della Fed, emerse dai verbali della riunione di marzo che parlano di “sviluppi economici-finanziari globali che continuano a porre rischi” tanto da far sfumare una stretta monetaria ad aprile. Ecco allora che più alla risposta della Bce o della Fed, gli investitori stanno prestando attenzione ai loro ragionamenti, a quello che dicono e (ancora) non dicono. Con un possibile epicentro ancora una volta nelle banche, anche oggi il settore più penalizzato sui listini europei, con Francoforte che perde l’1%, Parigi lo 0,9% e Milano maglia nera anche oggi, -21% dall’inizio di un 2016 che dovrebbe essere in ripresa. Soffrono persino i titoli di Stato nonostante da venerdì la Bce abbia accelerato gli acquisti di debito europeo al ritmo di ben 80 miliardi di euro al mese: lo spread Btp-bund sfiora i 130 punti base, come se la Bce a marzo fosse rimasta a guardare.