Milano, 19 ott. (AdnKronos Salute) – Si chiama Streptococcus Pneumoniae ed è un nemico sopratutto dei bambini di età inferiore ai 5 anni. Questo batterio, noto al grande pubblico come pneumococco, è responsabile di una percentuale consistente di malattie invasive gravi e potenzialmente letali, chiamate Ipd (patologie pneumococciche invasive) come la sepsi e la meningite; e di polmoniti, ma anche di otiti medie acute. Infezioni che possono essere causate da uno qualsiasi degli oltre 90 sierotipi di pneumococco circolante.
“Lo pneumococco è ancora il batterio invasivo più importante. E’ un agente infettivo frequente e nel quale la prevenzione è fondamentale, soprattutto nel primo anno di vita, per evitare situazioni come lo stato di portatore nasofaringeo e la circolazione dei sierotipi più frequenti”, spiega Susanna Esposito, ordinario di Pediatria all’università degli Studi di Perugia e presidente dell’Associazione mondiale sulle malattie infettive e i disordini immunologici (Waidid), riunita a Milano per il suo secondo Congresso. L’occasione è stato un focus, organizzato con il supporto non condizionato di Gsk, sui due vaccini antipneumococcici coniugati destinati alla popolazione pediatrica autorizzati in Italia: un 10-valente (Pcv10) e un 13-valente (Pcv13). Protagoniste le esperienze internazionali di Paesi che hanno utilizzato i due vaccini, confrontandone i risultati con studi scientifici.
“E’ importante studiare i dati dei Paesi che hanno effettuato estese metanalisi – sottolinea Esposito – che hanno mostrato come tra i due vaccini (Pcv10 e Pcv13) non ci siano differenze significative e in pratica possono essere considerati entrambi nella stessa maniera”.
In Olanda, riferisce per esempio Elisabeth Sanders, docente di Immunologia pediatrica all’università di Utrecht, “abbiamo introdotto i vaccini a 7 valenze (Pcv7, ndr) nel 2006 e quelli a 10 valenze nel 2011, quindi abbiamo una certa esperienza. Nei bambini di 5 anni abbiamo visto una riduzione del 70% delle malattie più pericolose, quindi un’ottima copertura. Abbiamo visto vantaggi anche negli anziani, con una riduzione del 20%”, perché “beneficiano del fatto che abbiamo vaccinato i bambini e i 10 sierotipi che abbiamo coperto sono praticamente spariti”. Ancora: “Anche nella popolazione tra i 5 e i 50 anni abbiamo visto una riduzione del 30%, di cui siamo molto soddisfatti”.
“Anche in Belgio – prosegue l’esperta – sono passati dal vaccino Pcv13 al Pcv10 e in un rapporto iniziale si vedeva un sierotipo che compariva con maggiore incidenza, il 19A, talvolta responsabile delle malattie più severe. Ma noi vediamo fluttuazioni in vari tipi comunque, quindi non riusciamo a capire da questi semplici risultati se questo sia un vero problema oppure no. Io sono molto conservativa da questo punto di vista. Anche in Olanda abbiamo diversi casi causati di malattie causate dal sierotipo 19A, ma siccome i sierotipi sono molti – avverte la specialista – dobbiamo stare molto attenti e non focalizzarci soltanto su uno”.
Un’altra testimonianza arriva da oltreoceano. I vaccini Pcv10 e Pcv13 “sono abbastanza differenti – afferma Philippe De Wals, direttore del Dipartimento di medicina sociale e preventiva dell’università di Laval in Quebec, Canada – Noi abbiamo pubblicato dati sulla comparazione dell’efficacia, anche includendo un mix dei due vaccini, e abbiamo inoltre completato una revisione dei dati esistenti. In realtà – riassume l’esperto – per la prevenzione delle Ipd probabilmente il Pcv13 è più efficace perché fornisce una protezione contro il sierotipo 3 non incluso nel Pcv10, e probabilmente la protezione contro il 19A è di durata maggiore rispetto alla protezione incrociata fornita dal Pcv10. Alla fine le differenze sono queste, ma non sono enormi”.