Elezioni Usa, lo spettro di un altro 6 gennaio in caso di vittoria di Harris

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(Adnkronos) – Kamala Harris continua a salire nei sondaggi, ma i democratici sono agitati dallo spettro di un altro 6 gennaio in caso di sua vittoria alle elezioni presidenziali di novembre. Forse meno violento e insurrezionale di quello di quattro anni fa, quando migliaia di sostenitori di Donald Trump assaltarono il Congresso nel tentativo di impedire la certificazione della vittoria di Joe Biden. Ma potrebbe avere un impatto ancora più allarmante e dilaniante sulla tenuta istituzionale e costituzionale degli Stati Uniti, fondata sul trasferimento pacifico dei poteri.  

Secondo Politico, lo scenario da incubo per i democratici prevede che nonostante la vittoria di Harris alla Casa Bianca, i repubblicani mantengono la maggioranza alla Camera, dando così allo Speaker Mike Johnson la possibilità di trovare i modi di ostacolare, se non bloccare del tutto la conta dei voti elettorali, cosa che farebbe ricadere sulla Camera l’ultima parola sull’elezione presidenziale, come previsto dal 12esimo emendamento della Costituzione.  

Non bisogna dimenticare che l’allora poco conosciuto deputato della Louisiana nel 2020 guidò il ricorso dei repubblicani alla Corte Suprema in cui si chiedeva di rovesciare i risultati degli stati chiave, che sancivano la vittoria di Biden.  

L’iniziativa fu benedetta personalmente da Trump, che anche in virtù di questo lo scorso ottobre ha dato il placet all’elezione di Johnson a Speaker. Ed ora a meno di due mesi dal voto, il leader repubblicano sta cercando di far passare una legge per impedire quelle che definisce la manovre dei dem per far votare in massa immigrati illegali. Accuse che fanno capire come la leadership del partito repubblicano, ormai largamente allineato su posizioni Maga, in caso di nuova sconfitta del tycoon, potrà appoggiare con forza le eventuali nuove denunce di brogli da parte di Trump.  

Una posizione diffusa anche tra la base elettorale, dal momento che un sondaggio di World Justice Project, rilanciato da The Hill, mostra che il 46% degli elettori repubblicani non è pronto ad accettare i risultati elettorali come legittimi in caso di vittoria dem. E il 14% di questi si dice pronto ad intraprendere azioni per rovesciare i risultati. Va comunque sottolineato che anche un 27% di elettori democratici si dice non disposto a riconoscere una vittoria repubblicana, con un 11% pronto a passare dalle parole ai fatti.  

Interpellate da Politico, fonti dell’entourage dello Speaker liquidano i timori dei democratici come parte di una strategia tesa a raccogliere più fondi per la campagna per la riconquista della Camera. E di una “narrativa allarmista” riguardo ad una vittoria Gop che ha contribuito a portare ai due tentati assassinii di Trump. Un altro repubblicano vicino a Johnson poi afferma di dubitare che lo Speaker potrebbe cedere così facilmente ai desideri di Trump.  

Non bisogna dimenticare poi che, in caso di vittoria dem alla Casa Bianca, Harris, che fino al 20 gennaio continuerà ad essere vice presidente, si troverà, in qualità di presidente del Senato, a presiedere la seduta per la certificazione di voti elettorali. Come il 6 gennaio 2021 fece, una volta sgombrato il Congresso dei rivoltosi, Mike Pence, reo agli occhi di Trump e dei suoi sostenitori di non aver accolto la richiesta del presidente uscente di bloccare la certificazione.  

Inoltre, nel 2022 è stata passata una nuova legge che rende più difficile bloccare la conta dei voti elettorali: se prima bastava l’opposizione di un singolo membro per accogliere un’obiezione ora è richiesto il 20% di ciascuna delle due Camere. Ma tra i timori dei democratici c’e’ anche quello che Johnson possa ottenere abbastanza repubblicani per bloccare alcuni voti elettorali cruciali, o cercare di riscrivere le regole che governano la sessione per la certificazione dei voti elettorali del 6 gennaio, con l’obiettivo di rendere più facili le contestazioni.  

O addirittura cercare di ritardare la seduta che per legge deve essere convocata per il 6 gennaio. Il tutto avendo bene in testa che nessun candidato riceve almeno 270 voti elettorali certificati, la Costituzione prevede quella che viene chiamata la “contingent election”, una sorta di elezione di emergenza, con la Camera che elegge il presidente e il Senato il vice presidente. Un procedimento che favorirebbe i repubblicani dal momento che ogni stato deve esprimere un solo voto – quindi anche i tanti piccoli stati a guida Gop avrebbero lo stesso peso di quelli più popolosi, come California e New York, di orientamento dem – e quindi è necessaria una maggioranza di almeno 26 stati.