Equal pay, per pmi legge non rinviabile

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Roma, 20 giu. (Labitalia) – Le piccole e medie imprese italiane sono sensibili al tema dell”equal pay’ e plaudono alla proposta di legge (n. 522) presentata alla Camera dei deputati e volta a favorire il superamento del divario retributivo tra donne e uomini. Negli scorsi mesi, una survey effettuata in Europa da Littler, il più grande studio al mondo che si occupa di diritto del lavoro, intervistando 800 direttori del personale, aveva, infatti, evidenziato come soprattutto in Italia il tema del gender pay equity fosse prioritario, con un 52% delle aziende che riteneva non più rimandabile l’introduzione di leggi per i gap salariali tra uomini e donne.

Nella proposta di legge, tra le misure, è previsto l’obbligo per le imprese con più di 15 dipendenti di comunicare ai propri lavoratori, alle rappresentanze sindacali e ai competenti organismi di parità una serie di informazioni volte a mostrare le differenze di salari tra uomini e donne, suddivisi per mansione e tipo di lavoro. Una vera e propria rivoluzione: attualmente l’obbligo di redigere e trasmettere un report sulla situazione lavorativa maschile e femminile nell’azienda, infatti, è previsto solo per le imprese con più di 100 dipendenti.

“La proposta di legge, per stimolare le imprese ad adottare comportamenti virtuosi, prevede incentivi per le aziende che realizzano un piano di azioni atto a prevenire la discriminazione. Tale piano deve essere valutato e approvato, previa consultazione dei lavoratori, dalle rappresentanze sindacali. Tali soggetti verificano anche l’attuazione del piano con cadenza annuale e, se la verifica dà esito positivo, è riconosciuta all’impresa una detrazione nella misura del 50% delle spese documentate sostenute per l’acquisto di beni materiali e dispositivi informatici e di ogni altra dotazione che permetta ai dipendenti di conciliare le esigenze di vita e di lavoro”, commenta Edgardo Ratti, co managing partner di Littler, studio legale che si occupa di diritto del lavoro.

“La detrazione è peraltro programmata – aggiunge – anche a favore delle imprese più piccole che, pur non essendo obbligate, realizzino volontariamente il piano in questione. Le imprese che attuano il piano potranno, inoltre, ottenere la certificazione di ‘Impresa per le pari opportunità nel lavoro’ da parte del Comitato nazionale di parità, istituito presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali”.

La sensibilità circa le discriminazioni di genere, tematica storicamente molto sentito nei paesi anglosassoni, si fa quindi strada anche in Italia. E la proposta di legge sembra incontrare favorevolmente il parere delle pmi italiane, come la startup My Secret Case, un marketplace di sex toys di grandissimo successo guidata da Norma Rossetti. “Per noi in My Secret Case – dicono dall’azienda – non c’è alcuna distinzione fra sessi: l’etica, la correttezza e il rispetto sono parte integrante del nostro dna. Il nostro progetto è nativamente aperto allo sviluppo e alla selezione dei migliori talenti da remunerare al meglio, di ambo i sessi, proprio per garantire una crescita solida nel tempo alla squadra che abbiamo e continueremo a formare”.

Lo conferma anche Andrea Goggi, Ceo e founder di jobby, intermediaria 2.0 tra chi cerca e offre lavoro: “È molto importante che si imponga maggiore attenzione su queste tematiche anche ad aziende di dimensioni ridotte. Ci troviamo in un mercato del lavoro complesso e spesso influenzato da retaggi che ripropongono queste differenze. I nuovi modelli di economia del lavoro digitale come il platform gig working hanno superato questo tipo di gap perché hanno rimosso la discriminazione a monte togliendo la possibilità di proporla e applicarla”.

“Quello che guida – prosegue – è il match tra lavoro e lavoratore e ciò che conta è la qualità della prestazione, indipendentemente dalle caratteristiche di chi la svolge: jobby è un esempio di questo approccio ‘positivo’ e i dati relativi al 2018 e al primo quarter del 2019 relativi ai jobs gestiti sulla nostra piattaforma ci dicono chiaramente che il gender gap non è un tema presente e che donne e uomini hanno uguali possibilità per aggiudicarsi e svolgere un job”.

Ma sono anche le realtà storiche, come Cedral Tassoni, azienda italiana fondata nel 1793 conosciuta da tutti per la famosa Cedrata Tassoni, a essere in linea da sempre con le indicazioni contenute nella nuova proposta di legge sull’equal pay. “Per quanto ci riguarda, il problema non si pone e non si è mai posto: non abbiamo mai fatto distinzioni in tal senso – sottolinea Elio Accardo, amministratore delegato – in quanto le retribuzioni e gli incentivi previsti nella nostra azienda sono assolutamente allineati alle categorie di appartenenza di ogni singolo dipendente. Da sempre, in Cedral Tassoni, la meritocrazia è considerata elemento che prescinde dall’appartenenza al sesso”.

Ulteriore esempio positivo in materia di uguaglianza salariale tra uomo e donna è anche Digithera, azienda leader dei servizi di fatturazione elettronica. Come conferma il Ceo, Gerri Cipollini, “l’equità salariale per noi è una realtà”. “Il nostro successo, testimoniato dagli oltre 40.000 clienti soddisfatti, è il miglior biglietto da visita per promuovere l’equal pay anche all’interno di ambiti più ‘ingessati’ e restii ai cambiamenti. Digithera, ha, infatti, una forte componente femminile, dalla compagine societaria ai dipendenti la quota rosa di Digithera supera il 70% e molti ruoli chiave dell’organigramma sono coperti da donne”, conclude.