Euro e sacrifici, la medicina che avvelena la campagna elettorale

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Con il 2017 va in archivio anche il governo presieduto da Paolo Gentiloni (si fa per dire, resta in carica fino al nuovo) il terzo della legislatura, dopo gli esecutivi guidati da Matteo Renzi e, prima ancora, da Enrico Letta. Con il decreto di scioglimento delle Camere firmato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è cominciato dunque il countdow elettorale, in vista delle votazioni che si terranno il 4 marzo prossimo.
La campagna elettorale già da tempo, però, mostra segnali di surriscaldamento. E i temi più incandescenti – ça va sans dire – continueranno ad essere la situazione economica del Paese e la moneta unica. In particolare, il ruolo dell’Italia, che in seno all’UE avrebbe perso autorevolezza, slancio e competitività. E, naturalmente, la ricetta che i rispettivi partiti propongono. Si tratta di temi concatenati, peraltro, dal momento che non mancano forze come il M5S (ma non è l’unico) che paventano addirittura una consultazione popolare per abbandonare definitivamente l’UE e soprattutto la moneta unica, sull’esempio di Londra. (A proposito, è appena il caso di sottolineare che il M5S, negli ultimi sondaggi, è accreditato sì come prima forza dello schieramento politico nazionale, ma comunque dietro a possibili “altre” coalizioni maggioritarie di governo, sia di destra che di sinistra).
Ma comunque la si veda, le parole d’ordine delle elezioni saranno, in ogni caso, attagliate ad un corpo elettorale di un Paese che – come rileva l’Istat nella consueta fotografia di fine anno – è sempre “più vecchio”, dove “aumentano i single”. Anzi, precisa l’Annuario, “l’Italia resta uno dei Paesi più vecchi al mondo, dove calano le nascite e aumenta l’aspettativa di vita, i matrimoni sono in ripresa ma i divorzi crescono di più, aumentano i single, con il 31,6% delle famiglie composte da una sola persona”. Ed è anche un Paese dove in 6,4 milioni di persone “sperano” (il verbo riportato dall’Ansa è dell’Istat) in un lavoro. Insomma, un esercito, per quanto in calo del 3,5% rispetto all’anno prima.
Insomma, i partiti se ne diranno – immagino – di tutti i colori a proposito della crisi. Intanto, la situazione che emerge da altri osservatori è la seguente. L’ufficio studi della Cgia di Mestre scrive che in Italia la crescita economica, nella media annua, negli ultimi 17 anni, è sostanzialmente zero (lo 0,15 per cento). Parla di un Paese bloccato. E aggiunge: la produzione industriale rispetto al 2000 è crollata di 19,1 punti percentuali. Peggio di tutti in Europa. E il disastro – si fa notare – è cominciato proprio da quando è entrata in circolazione la moneta unica.
Sempre la Cgia rileva che rispetto al 2007 (la vigilia della crisi) l’ Italia è ancora sotto di 5,4 punti percentuali di Pil e gli investimenti sono crollati del 24,3 per cento. Nell’ anno in corso la spesa della Pubblica amministrazione è inferiore dell’ 1,7 per cento rispetto a dieci anni fa, mentre il debito pubblico è cresciuto (e non di poco).
In proposito, in un interessante articolo su Libero – dove peraltro si dissacra un padre dell’Euro e della Sinistra oltre che più volte presidente del Consiglio, Romano Prodi – il giornalista Antonio Socci riprende le parole del professore Marco Fortis redatte per il Sole 24 Ore: “Nonostante la sua fama di economia di sprechi, molto indebitata e poco osservante degli impegni, in realtà il nostro Paese ha una spesa pubblica al netto degli interessi che in termini reali è rimasta quasi invariata tra il 2005 e il 2015 (una delle migliori performance tra i Paesi avanzati). E aggiunge: “L’ Italia è uno dei Paesi più disciplinati nel rispettare le regole europee di finanza pubblica. Ad esempio, durante questi ultimi anni di crisi, già dal 2012, cioè ben prima di altri Paesi, il nostro deficit/Pil rispetta la regola del 3 per cento”. Di più: “Sin dal 1992, l’ Italia è sempre stata in avanzo statale primario con la sola eccezione del 2009: un record assoluto a livello mondiale. E nel periodo 2009-2015 l’avanzo statale primario dell’Italia è stato mediamente il più alto nella Ue”.
E ciò significa solo due cose, per l’editorialista: 1) è falsa la diagnosi – ripetuta in ambiente eurotedesco (e poi dai nostri giornali) – secondo cui il nostro disastro deriverebbe dal fatto che siamo un Paese di spreconi indisciplinati: anzi, siamo i più virtuosi; 2) è sbagliata la prognosi secondo cui con i sacrifici lacrime e sangue risaniamo il nostro Paese: è infatti accaduto l’ esatto contrario. Nonostante anni di sacrifici (“Ce lo chiede l’ Europa”), di massacro sociale e di virtuosa gestione dei conti pubblici, il Paese è sempre più indebitato e l’ economia sempre più al collasso. E il baratro col resto d’ Europa si allarga. Noi continuiamo ad assumere un veleno pensando che sia la medicina”.