EUROPA, ITALIA, MERIDIONE E MEDITERRANEO/TRA ANTICO E MODERNO

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Questo scritto rappresenta ingresso/premessa di un libro che ripubblico, più il primo capitolo che ne annuncia contenuti, propositi e speranze. Si tratta del libro La rotazione di Norfolk e la questione meridionale, il titolo, però, è stato totalmente cambiato, perchè Questo scritto rappresenta ingresso/premessa di un libro che ripubblico, più il primo capitolo che ne annuncia contenuti, propositi e speranze. Si tratta del libro La rotazione di Norfolk e la questione meridionale, il titolo, però, è stato totalmente cambiato, perchè convinto che quella “questione meridionale” che contiene, abbia ingenerato equivoco: “eccolo qui l’ennesimo libro meridionalista”. Per quanto una intervista su giornale prestigioso a giornalista di eccezione, Ruggero Guarini, per breve tempo, è morto da poco, mio grande amico, e una grande recensione di un mio amico giornalista, Antonio Mango, abbiano con efficacia escluso ogni tipo di meridionalismo nel mio libro, sebbene il primo abbia sfondato le porte del Parlamento, facendomi colà, vendere significatamente, portandomi anche a un convegno preparato dalla Commissione affari esteri da me concluso, il libro non ha decollato come doveva, soprattutto per la totale mancanza di promozione della casa editrice, la più prestigiosa a Napoli, ora fallita per mal di Stato. Non mi lamento, considero non negativo l’esordio, ma ciò mi porta a imboccare una nuova strategia editoriale con editore online e cartaceo, del quale, http://www.booksprintedizioni.it/ parlerò in altra occasione. Questa nuova strategia comprende, al momento la ripubblicazione dei libri già scritti e la pubblicazione dell’ultimo, in preparazione. E’ soluzione molto più adeguata ai tempi, che darà molto ai miei scritti, questi e quelli futuri, ne sono sicuro. Invito a leggere il  presente scritto, per quanto lungo, perchè già esso ha subito quegli aggiornamenti stilistici e linguistici che una ripubblicazione sempre propone, i contenuti sono gli stessi, per questo scritto e per il resto, ci sarà, più che altro questo aggiornamento/miglioramento, più qualche modifica strutturale, a contenuti invariati, il numero delle pagine non avrà cambiamenti significativi. E’ anche il segno che io non “demordo”, continuo la mia battaglia, con strumenti più adeguati. Tenevo in serbo questa via, sospettando della improbabilità del tentativo che, su FB, stavo facendo! Saluto tutti gli amici e do loro nuovi appuntamenti! Il titolo dovrebbe essere questo o giù di lì! Rende lo spazio che il libro copre, altro che meridionalismo provinciale! E’ uno sguardo sul Pianeta dal punto di vista dell’Italia e del Meridione, in essa. Andrà bene, ne sono sicuro! A tutti i clandestini del Meridione/ perchè possano tornare a vincere,/ cerco dei vinti i torti, dei vincitori le ragioni.     INTROITUS   Questa mia creatura è scritto religioso, Se, come penso, la religiosità è la forma più alta di pensiero e di politica, questa mia creatura è scritto religioso. Religioso nell’esatto significato del termine, ricerca cioè del vincolo e del legame che tengono insieme, nel tempo e nello spazio, i diversi, oggi stranieri e ostili tra loro. Tenere insieme non vuole dire fondare una eterna, ferma e stabile pace, cosa che non è concessa a nessun ente nel cosmo, né a quest’ultimo stesso mai sarà concesso, ma consapevolezza che tutto è sempre guerra che sempre si conclude, deve concludersi, con un compromesso più alto, in un nuovo equilibrio tra le forze in campo, oggi scatenate, libere cioè da ogni vincolo, che la pace è solo quel momento magico nel quale questo equilibrio, tra mille, inenarrabili dolori, è raggiunto. Chi sa ciò, sa anche che, perchè a questa equità si giunga, egli non può sottrarsi all’orrenda battaglia, pur essendo, per l’orrore che essa gli suscita, il più tentato a farlo. La discordia attuale tra gli uomini non significa affatto che essi si siano troppo allontanati gli uni dagli altri, bensì il contrario, essi si sono ammassati, sono troppo, pericolosamente, vicini, costretti a sgomitare. Sono al corpo a corpo, nel congiungimento fatale della lotta che porta a morte alcuni di noi e degli altri da noi. E’ questo il momento in cui gli uomini non sanno più distribuirsi gli spazi e non riescono a trovare nè la giusta distanza tra loro, nè il giusto timore e il giusto rispetto l’uno dell’altro, quella distanza nella quale le loro forze si sentono rassicurate, cibandosi e appagandosi l’una dell’altra, in pace tra loro, nell’equilibrio e nell’armonia. Il momento attuale è un momento in cui gli uomini si ammassano, del quale, un grande pensatore politico, Leopardi, direbbe che si è in una “società stretta”, in un eccesso di “civiltà”.(1) In questo momento si deve, facendolo con la misura che rende la cosa giusta, brandire la spada, tagliando per disboscare la selva dei bisogni famelici che fanno ressa orrenda, creando la “radura” (2), l’agorà, per lo svolgersi di un colloquio ove si possa definire l’accordo,  magnanimi, rendendosi, tutti i combattenti, l’un l’altro, l’onore delle armi, interrompendo l’ormai inutile massacro. Il mondo oggi sta litigando in una dimensione finora sconosciuta e inedita, in particolare litiga nel Mediterraneo e intorno ad esso, anche da distanze che una volta sarebbero sembrate non alla portata della forza attrattiva di questo mare, che oggi, invece, attratte, premono su esso per imprimere il loro segno al suo destino. Ciò è vero per l’Afghanistan come per tutte le repubbliche asiatiche dell’ex Impero sovietico, è vero altresì per la Cina, impegnata in un massiccio tentativo di appropriamento di parti considerevoli dell’Africa. E’ vero per l’Asia e l’Africa, tutta. La cosa, inaudita e mai vista, si impone con l’evidenza di un terremoto della massima magnitudo, vi sono, tuttavia, uomini che, con sguardi spenti e udito ottuso, non vogliono  vedere nè udire. Sono, questi, gli uomini più pericolosi, quelli di un mondo la cui unica forza sono la putrefazione e i fumi, nauseabondi e asfissianti, che esalano da esso. Sono i morti che, come sempre, pretendono di trascinare i vivi con sé. Anche questa discordia, tra morti e vivi, fa parte della vita e, per risolverla, la vita e i vivi devono fare in modo che i morti smettano di agitarsi e trovino il loro giusto riposo, smettendo di riempire il mondo di incubi. Gli uomini vivi del Meridione d’Italia, quelli con vista acuta e udito fine, hanno molto, di decisivo, forse, da dire. I loro occhi e le loro orecchie hanno molto da segnalare alla loro mente, perchè essa emetta parole chiare e nette, con voce forte e alta, resi, come sono, più crudeli e arditi da una lunga, penosa, più che millenaria sofferenza, da quando, lentamente, ma inesorabilmente, cominciarono a perdere peso nel mondo, passando dalla parte dei vincitori a quella dei vinti e umiliati. Sono ormai uomini crudeli e arditi, crudeli perchè hanno abbastanza cuore per non sottrarre, a occhi e orecchie, vista e ascolto del terribile che la vita riserva, arditi perchè hanno animo bastante per trovare quella generosità e quel coraggio che redime l’uomo da una spietatezza con cui una ressa di bisogni e di desideri, in una boscaglia di prepotenze,  combattono senza esclusione di colpi. Lo scritto cerca di raccogliere, in un estremo raccoglimento, la lunga storia del decadimento della potenza del meridionale, del suo modo subalterno di giungere all’unità con il resto del paese, cercandone le ragioni. Raccoglimento e raccolta appartengono al religioso, alla raccolta meditazione, per questo lo scritto è religioso, non pacifista nè antipacifista, evita, anzi, con accuratezza, ogni antitesi inconciliabile, le antitesi dei moderni. Esso presuppone il sapere di la guerra avvinghi, assai pericolosamente, gli uomini, in un abbraccio mortale. E’ questo, però, un abbraccio che crea nuove possibilità e orizzonti all’uomo, dandogli  l’occasione di ricercare una nuova equità e un nuovo ordine, in un timore pudico e in un etico rispetto del diverso, che fu straniero ed estraneo. Sostengo che risolvere il problema del Mezzogiorno d’Italia, risolverà il problema irrisolto dell’aggiunta di potenza all’Italia, necessaria per affrontare i marosi del suo mare e rinnovare antiche grandezze! Sostengo che, oggi, vi sono tutte le condizioni per una Unione più alta del nostro paese!       RIFIUTI E  RIFIUTO   Lo scandalo campano dei rifiuti ha, con la forza di una perentoria sanzione, stabilizzato e reso apparentemente definitiva l’impressione di una incapacità organica, del Mezzogiorno continentale e delle Isole, di venire a capo dei loro secolari problemi. Mezzogiorno continentale e isole, vissuti dal resto del paese, ormai e nuovamente, come “palla al piede” per il pieno esprimersi delle proprie possibilità, tornano ad essere rappresentati, nella vulgata giornaliera, come luoghi infestati da una umanità inferiore. La questione della inferiorità antropologica, che sembrava seppellita, è sollevata con sempre maggiore convinzione nella rappresentazione che, del Mezzogiorno, si fanno, non solo il Centro e il Settentrione d’Italia, ma anche buona e decisiva parte del mondo avanzato, progredito e moderno. In fondo, se si riflette bene, il Meridione viene consegnato all’Impero del Male, degli “Stati canaglia”, del terrore! In vero, si trova in buona compagnia, con i diavoli della terra, quelli che hanno dato Ghandi, Luther king e Mandela, gli uomini giusti, non “buoni”! Gli ultimi due decenni e più, sono stati scanditi, nel nostro paese, da una sempre più crescente polemica antimeridionale che ha alimentato la parallela crescita di un movimento settentrionalista, del tutto inedito nella nostra storia nazionale. Tutti, o quasi tutti, i mali dell’Italia vengono ormai posti a carico del Mezzogiorno, siano essi un apparato amministrativo “fannullone” o lo sfascio della scuola e della sanità o la distribuzione iniqua delle risorse pubbliche col loro patologico incremento. Altro si potrebbe aggiungere, l’accusa peggiore è quella di essere base e focolare della malavita organizzata, ma anche ciò che non è direttamente imputabile al Mezzogiorno viene, per via indiretta e obliqua, collegato ad esso. Se si vuole stringere, in una sintesi definitoria, l’insieme dei mali del paese, si può dire che l’accusa si riduca a questo: il paese brucia le sue potenzialità produttive e le sue forze vitali, gettandole nella fornace di un consumo parassitario e irresponsabile, alimentato dalle spese che una Roma ladrona riversa nel Mezzogiorno, al fine di salvaguardare il proprio ruolo di centro direzionale, centralistico e burocratico, del paese. Si dimentica, è cosa veramente strana, che settentrionali furono coloro che vollero fortemente Roma capitale e l’unità col Sud, fino al punto di invadere, l’una e l’altro, dall’esterno, senza sostanziale concorso interno, chè, al contrario, esso mancò. Polemica antiromana e polemica antimeridionale sono saldamente fuse nella rivolta settentrionale, quasi a voler ricordare un legame storico antico tra le due realtà, RomaNeapolis! Roma era il genio civile e militare, Neapolis, la Sapienza! La villa a Capri del grande Tiberio, con il quale l’Impero romano, che andrebbe chiamato grecoromano, ne è testimonianza imperitura, il giardino dell’Impero fu la Campania Felix! Roma, in fondo, sembrerebbe guardare al Mezzogiorno come base del suo primato nel paese, il che spiegherebbe la sua dedizione ad esso. Qualcosa di molto profondo si cela in ciò e non è detto che la polemica settentrionale, per quanto possa essere superficiale e in negativo, non colga, in questo legame, l’essenziale del Mezzogiorno, ciò che va salvato piuttosto che perso, come nelle proposte si sosterrà. La vicenda dei rifiuti, ad ogni modo, sancisce, quasi metafora perfetta, questo giudizio sullo stato delle cose, sollevando il dubbio anche nel meridionale, se esso non sia del tutto esatto e definitivo, non reversibile. Così sembrano pensare i più arguti opinionisti del paese, qualcuno di origine meridionale, qualcuno nel Mezzogiorno stesso. (3) Se così fosse e nulla si ergesse a confutazione di questo giudizio di condanna, non sarebbe solo  giocata e persa per sempre la causa del Mezzogiorno, ma anche quella più grande che per centotrenta anni ha illuso: un paese unito e il sogno di tornare un giorno grande tra i grandi di Europa. La secessione sarebbe inevitabile, del Sud dal Nord! Il Sud rifiuterà questo iniquo giudizio! Questo scritto solleverà un’obiezione a questo giudizio che valga da confutazione e la sosterrà con argomenti, si spera, adeguati. Lo farà in maniera diversa da quella solita, si darà per accettata l’accusa che dichiara fallito il meridionalismo, dal punto di vista, però, questa volta, novità assoluta, del Meridione. Non è uno scrito meridionalista, (4), non esibirà lamenti, sostenuti, immancabilmente , da statistiche sul divario economico, ma proporrà la sfida per una Nuova Italia, con il contributo fondamentale e concreto del Meridione, inteso come continente e isole. L’obiettivo è spazzare via il meridionalismo dalla testa e dal cuore dei meridionali, ma dei settentrionali di più, perché essi lo crearono e lo imposero, sostenendo la tesi che esso non sia la soluzione del problema, ma il problema stesso, che esso, in fondo, costituisce una malattia, quasi mortale, del Mezzogiorno, del quale ha fiaccato le forze, mettendolo in una condizione indubitabile di umiliazione e inferiorità e, come ogni malattia, configurando, in maniera conforme al malato, l’uomo meridionale, che l’antropologia definisce inferiore, che la grande medicina, in maniera più propria, definirebbe spossato e indebolito, astenico. Se il meridionalismo è un microorganismo patogeno che infetta il corpo del meridionale,  questo corpo non poteva non ammalarsi fino a un punto che sembrerebbe addirittura preagonico se non agonico. Sembrerebbe, ma lo è? Per capirlo bisognerebbe scrutare bene questo corpo, per vedere se esso non abbia sviluppato anche degli anticorpi potenti, tali da lasciare immaginare che, lasciandoli operare e mettendoli in condizione di operare, esso abbia delle chance di ricupero sufficienti. Parlo della malavita, senza alcun infingimento! e il meridionalismo si potesse definire come un farmaco inoculato dall’esterno, per curare una malattia presunta, e fosse stato esso a creare la malattia, non vi sarebbe alcun dubbio che, tolto il farmaco, rivelatosi veleno, il corpo avrebbe più possibilità, se si è ancora in tempo, di farcela, fino a rinvigorirsi del tutto, in maniera corrispondente a tutte le sue possibilità vitali, oggi, in questo tempo presente e concreto. Definisco il meridionalismo la teoria dell’inferiorità del Meridione, in quanto tale, opera di uomini che, dall’interno, chiedono aiuto e di uomini che, dall’esterno, lo offrono. Chi dei due sia nato prima è da accertare sul piano storico, la mia impressione è che sia stato l’uomo settentrionale a instillare il bisogno dell’aiuto e a favorire in un certo tipo di meridionali, non in tutti, ma in una minoranza, non nei “briganti”, non nei “cuori tenebrosi”, ad esempio, è il complesso di inferiorità. Credo che uomini, come Salvemini e Gramsci, lo stesso Fortunato, non siano mai stati dei meridionalisti, ma l’esatto contrario. E’ il meridionalismo che li ha, impropriamente, reclutati tra le sue fila. Credo che il meridionalismo sia propriamente nato con Saraceno e Morando, due lombardi, che inventarono la teoria dell’aiuto esterno al Mezzogiorno in forma “straordinaria”, ossia autoritaria, per la semplice ragione che ritenevano che i meridionali non avessero la forza di farcela da soli, che, in fondo, fossero, per l’appunto, inferiori. Questa teoria fu accettata volentieri dalle classi dominanti meridionali che, evidentemente, trovarono in essa una loro convenienza di parte, non necessariamente corrispondente a quella della maggioranza dei meridionali e al Mezzogiorno. Da allora, a dosi sempre più massicce, fu inoculato nel Mezzogiorno un veleno che portò alla dipendenza farmacologica e all’inferiorità. Questo intervento esterno, a veder bene, non fu altro che la continuazione in altra forma dell’intervento esterno garibaldino e sabaudo, sia pure nella forma ipocrita della generosità, della morfina che, allontanando il dolore, lo distrae dal male e lo fa crescere inavvertito e, perciò, più straziante e pericoloso quando essa venga a mancare. Come, per l’appunto, sta accadendo oggi. L’effetto più eclatante di questo morbo è lo stato pietoso di indigenza in cui versa l’homo politicus meridionale, rendendolo capace del misfatto dei rifiuti, il simbolo della situazione di inferiorità al quale il Mezzogiorno è stato ridotto. La tesi, dunque, è questa: è il meridionalismo che ci ha dichiarato e reso inferiori, cosa che prima, sebbene pensato, non era. Si poteva essere meno forti e potenti, ma non inferiori. Il meridionalismo ha rappresentato la lettura delle ragioni di una oggettiva, minore, potenza, raffigurandola come “arretratezza” economica, che, suonando come consolazione ed alibi per le classi dirigenti meridionali in questo dopoguerra, le ha autorizzate a fare valere il lamento perpetuo nei rapporti di forza tra i territori del nostro paese, per strappare, spesso con successo, la propria porzione nella distribuzione della risorsa pubblica, precludendosi, precludendola al Meridione, la strada dell’intraprendenza individuale e del rischio. Il Sud, la sua classe dominante ma non dirigente, ha imboccato la strada della compassione, sentimento ignobile, per suscitare solidarietà e il suo compagno, il solidarismo. Su ciò la Lega ha ragioni da vendere, il limite della Lega è che non sa andare alle origini, alle responsabilità originali, alla dimensione, tutto sommato ridotta, del fenomeno! La stragrande maggioranza dei meridionali non fruisce di questo aiuto, al più lo fa confluire nei suoi tanti traffici, uno tra gli altri. Il meridionalismo che, nelle mani del settentrionale era il segno della sua generosità e potenza, nelle mani del potente meridionale, è l’arte del lamento, dell’impietosire. Si sa quanto quest’arte, sia pure petulante, sappia essere efficace nello spezzare il cuore del forte, volgendolo alla solidarietà e alla donazione. Rimane però da chiedersi cosa esso sia stato nelle mani dell’uomo donante, del potente settentrionale, se pura generosità o calcolo preciso, sia pure non lungimirante, della propria convenienza, se esso, nel dire oggi che si è svenato e non ce la fa più, non dica anche che non gli conviene più o che è diventato troppo povero perché possa ammetterlo. Si tratta, in fondo, di sapere se si trattò di carità pelosa, piuttosto che di un atto di amore e generosità incondizionato. E’ lecito nutrire dei dubbi. Si vedrà! Non accade mai che l’elemosina risollevi lo sfortunato e lo induca a operare, in proprio, per un destino migliore, essa serve, in genere, per scaricare e liberare chi la porge di una impressione dolorosa che non riesce a sopportare. Dopo l’atto, il destino del malcapitato  rimane, all’elemosiniere, estraneo come e più di prima. Anche il piano Marshall americano fu un aiuto, ma esso partiva da premesse diverse: si iniettava nel corpo di economie e società robuste, quelle “sviluppate”, quantità di capitali atte a rianimarle. In Italia il piano Marshall servì al Nord, non certo al Sud, funzionò, come una trasfusione di sangue, in un corpo dissanguato ma robusto e vitale. Non pensò mai di sostituirsi a questo corpo e di fare qualcosa ex novo, del tutto estraneo ad esso. Fu un intervento urgente, di pronto soccorso, non straordinario, sostitutivo. Si chiese mai l’uomo settentrionale cosa egli, così forte e sviluppato, sarebbe stato capace di fare tra i sassi di Matera per sopravvivere, si chiese se, per caso, chi era sopravvissuto in quelle condizioni, sia pur macilento e povero, non fosse un uomo molto più potente, più avvezzo a condizioni avverse, più provato da una sfida più dura, più resistente, più pronto alle sfide attuali? No, l’uomo di Matera era, per la presunta scienza economica, “arretrato”, inferiore, non sviluppato, non era in questo corpo che bisognava travasare sangue fresco. Dove dunque? L’americano sapeva che quel corpo europeo doveva riprendersi per produrre e consumare, perchè serviva a lui trafficare con esso e con esso difendersi dal pericolo sovietico. Era aiuto del tutto interessato, non nascosto nel proprio interesse, anzi esplicitato con chiarezza, prendendosi in cambio la sovranità sullo “stato di eccezione”, sulla decisione bellica!  All’Italia fu imposto, per Costituzione, il “ripudio della guerra”! Patti chiari e amicizia lunga, come si vede, senza Sovranità era impossibile che potessero sorgere sogni di rivincita e chi li avesse avrebbe caramente pagato! Cosa si ripromettevano, allora, i gruppi dominanti del Nord con l’intervento straordinario nel Mezzogiorno? La stessissima cosa, in forme diverse, ma questa volta creando ex novo i “prerequisiti” per lo sviluppo economico, nella presunzione che nel Mezzogiorno non esistesse alcun prerequisito, che il vile corpo del Meridione fosse del tutto inutile. Una negazione di un territorio come questa non ha forse l’eguale nella storia del nostro pianeta. Tutta una storia azzerata in un attimo! L’annessione sabauda non aveva osato tanto! Se l’intervento non fu pensato perchè i meridionali, partendo dal proprio, costruissero il proprio destino, come poté pensarsi che esso potesse loro giovare, giovando così anche ai ferentes dona? A chi, in realtà, servì? Solo ai donatori o, anche, ai destinatari o a nessuno dei due? Rinviamo la risposta a tali quesiti, sapendo però due cose: che l’esito di questo modo di concepire il Mezzogiorno è stato quello dei rifiuti campani e che esso si basò su un atto di sfiducia nei riguardi dei meridionali. Tutto, dunque, si è concluso con uno stato di malattia del Mezzogiorno, da tutti riconosciuto, come da tutti è riconosciuto che il segno più evidente di questa malattia è che quaggiù non esiste una vera classe dirigente. Di questa malattia, come di ogni malattia, va fatta l’anamnesi, ricostruito il decorso, proposta la diagnosi, data la prognosi e, se questa fosse possibilista, indovinata la terapia. Si è qui già anticipato molto, nel senso che, se il fattore patogeno è stato l’aiuto, la prima cosa da fare è smettere la sua erogazione, impedire che il veleno compia ulteriore corso, la seconda cosa è contare e avere fiducia nelle capacità rigeneratrici del corpo, dare al Mezzogiorno ciò, che nella storia patria mai ha avuto: la fiducia nelle sue autonome capacità. Alcuni settentrionali propongono, in fondo, la prima cosa, togliere l’aiuto, ma, in quanto alla seconda cosa, rimangono parchi se non avari. La versione che si dà del federalismo altro non è che una versione pacifica di negare l’aiuto con gradualità. Esso, però, è presentato non come atto di fiducia nel Mezzogiorno, ma come sua punizione per il cattivo uso fatto dell’aiuto. Domandiamo, però: come rimproverare qualcuno di avere usato male ciò che mai gli è stato dato in uso? Forse perchè la Cassa del Mezzogiorno fu sciolta e l’intervento straordinario fu dichiarato cessato, rendendolo alle Regioni, col risultato di trasformarle in casse erogatrici, non corpo politico reale, appartenente al popolo degli elettori? No! L’intervento straordinario non ha mai cessato di esistere, esso fu solo consegnato nelle mani di una classe politica, anagraficamente meridionale, ma resa estranea al Mezzogiorno dal modo straordinario di concepire l’aiuto, così come estranea è la logica che sottende le attuali forme, anch’esse straordinarie, dell’aiuto europeo. In realtà chi è stato aiutato è questa classe politica, dominante ma non dirigente, al fine, forse involontario ma inesorabile, di consegnarle un dominio dispotico sulla gente meridionale. Anche questo verrà mostrato, nelle sue articolate manifestazioni, nell’ultima parte del libro. Ad ogni modo, c’è un accordo di fondo tra la tesi del libro e gli amici del Nord: occorre togliere ogni forma di aiuto al Sud! Perché ciò possa compiersi, occorrerà che si marci con decisione contro il meridionalismo e ogni tentativo di resuscitarlo, per superarlo, dimenticarlo e andare oltre. Almeno nell’individuazione del nemico si potrebbe essere alleati, bisogna vedere se si possa esserlo nel combatterlo, nel qual caso potrebbe capitare che con il meridionalismo debba andare via anche il settentrionalismo, con il suo risentimento antimeridionale e l’arte del lamento che esprime questo risentimento, sì, anche i settentrionali si lamentano quando attaccano il Meridione, non esprimono nulla in positivo! Se si accetta la premessa, bisognerà, da una parte e dall’altra, accettare le conseguenze del suo sviluppo. Se secessione dovrà essere, che essa sia, se unità, che unità sia, e vera! Magari federando, ma non contro il Meridione, bensì fissando condizioni liberamente pattuite e non imposte con la pistola alla tempia. Nel corso della storia del Mezzogiorno, dalla caduta dell’Impero Romano e, per quanto riguarda Napoli, dalla caduta del suo Ducato autonomo, è rintracciabile un tratto comune alla sua classe dirigente endogena: la sua disponibilità a servirsi della forza dello straniero, mettendole a disposizione i suoi servizi fino a trasformarsi, prima in cortigianeria poi in pieno servaggio. Questo tratto delle classi dirigenti meridionali ha consentito, in questo dopoguerra, al resto del paese, di venire in soccorso del Mezzogiorno e di praticarvi, indisturbato, le sue convenienze. Tutto ciò a danno della stragrande maggioranza della popolazione meridionale e, a sua insaputa, clandestinizzandola nel “sommerso”! La storia del Mezzogiorno è la storia di questo compromesso, tra lo straniero e i gruppi dirigenti meridionali. Fino a un certo punto questo compromesso fu alto, poi cominciò a declinare, fino al servaggio attuale. Questo compromesso ha esaurito tutte le sue possibilità, l’attuale classe dominante, non dirigente, che agisce su commissione esterna, è quanto di più estraneo sia mai stato alla gente del Mezzogiorno, ancor più dei viceré spagnoli dei quali gli attuali governatori regionali ripetono, va detto, con successo, gesta e riti! Chi oggi parla di Piano per il Sud, di “intervento speciale”, non ha capito niente di ciò che è andato maturando in questi centocinquanta anni di storia patria e, con ignoranza pari solo alla supponenza e alla prosopopea, si propone ancora una volta di civilizzarlo. L’impressione è che non si comprenda che, se il Mezzogiorno ancora vuole, non può volere la “civiltà” ma solo il proprio destino e che esso si compia nelle forme concesse nelle circostanze  presenti, se esse lo concedono. Sono queste, oggi, favorevoli? Se la risposta è positiva, e ciò si tenterà di appurare scrutando l’orizzonte, il meridionale dovrà guadagnarsi ciò che mai ha avuto: il diritto a fare da solo, rifiutando i soccorsi, acquistando e conquistando un credito, che è ciò che, ancora una volta, gli si vorrebbe negare. Il Mezzogiorno dovrà lottare contro i nuovi soccorritori e le forze che, dal suo interno, li invocano per cacciarsi fuori dei guai in cui esse si sono cacciate. Il Meridione ha bisogno di accreditarsi, per farlo deve acquistare credito e investirlo al modo che gli suggerisca il suo genio, non quello a lui estraneo, fosse esso anche quello del consanguineo. Questa acquisizione di credito è l’obiettivo di una sua mobilitazione, di una sua lotta, se ci sarà. Quando una banca presta denaro, cerca garanzie reali o idee buone, o tutte e due insieme. Il meridionale deve reimpossessarsi del suo territorio, sua garanzia reale, e deve produrre idee, nelle quali alberghi un regno del possibile. Molti lo stanno invitando a fare da solo, a darsi da fare. E’ bene prendere in parola questi inviti e fare in modo che cessino le intromissioni nel colloquio che i meridionali dovranno aprire tra di loro, distinguendolo dalla disputa con il resto del paese. Intanto si chieda il vero movente a chi oggi si sbraccia di nuovo per aiutarci e parla di Piani per il Sud, si chieda se creda di avere ancora forze bastanti per venirci in soccorso, se questo intento non sia, ormai, per caso, una sbruffonata di chi vorrebbe conferire e confermare una subalternità, se non tema, in realtà, un rapporto alla pari, di convenienza reciproca. Ciò che il Mezzogiorno deve conquistare, nella disputa in atto, è solo il dovuto, il giusto, il sedere, pari, tra i pari. Perché ciò sia, bisogna che crolli il luogo comune che la questione del Mezzogiorno sia “questione nazionale”. Accettare questo luogo comune, significa dire di sì a quanto più attenti alla dignità di un popolo, che i suoi problemi siano problemi degli altri e non unicamente suoi. I meridionali che si riempiono la bocca di questo luogo comune, credendo così di fare diventare importante il Mezzogiorno, non capiscono che, così facendo, lo declassano a territorio dell’impotenza che invoca un po’ di viagra. Se manca questo atto di dignità, questo atto fondante, l’unità sarà sempre un falso, una patacca, il ricorso allo straniero di una classe dominante, ma non dirigente, debole e morente ormai, non legittimata da alcunché, che vuole un incontro non con fratelli ma con dei padroni. L’unità di un paese, se c’è, è una equazione ancora da costruire e risolvere. Una equazione è risolta solo se si trova il numero che mette d’accordo numeratore e denominatore, sapendo che il peso dei fattori è, a questo punto, non artatamente modificabile. L’unità è vera se è equa, non se è solidale, come è se qualcuno cerca di aumentare o diminuire, con piccoli trucchi contabili, uno dei fattori, rifiutando di riconoscerli per quelli che sono, nella pari dignità. O il Sud è equiparabile all’altro o è meglio lasciare perdere, l’equazione non è risolvibile, i fattori sono incommensurabili. Ci si incastra l’uno nell’altro solo se si è compatibile e commensurabili! Risolvere, però, equazioni che si ostinano a non tornare, con l’artificio della solidarietà, si può fare solo fingendo di avere una ricchezza che non si ha, solo aumentando a dismisura il debito nei confronti del futuro, riempendosi la bocca di promesse e incrementando, finché si può, la spesa pubblica, tassando e spendendo. Questo, però, è un gioco di azzardo non una scommessa credibile, non un rischio calcolato, è un circolo che, come ogni circolo, non diventerà mai un quadrato, oggi ancor meno di ieri. Non c’è Keynes che tenga, ammesso che il povero Keynes abbia qualcosa a che fare con teorie così bizzarre e stravaganti. Forse esse hanno molto a che fare con la tanto strombazzata “etica”, ma non sono capaci di fare tornare i conti, che è la cosa più etica che esiste. Se l’etica significa qualcosa, essa altro non è che l’arte di fare tornare i conti. Non solidarietà dunque, ma equità, non federalismo solidale, ma federazione equa, accettata perciò da tutti, non imposta. Si sta insieme perchè conviene a tutti, non perchè lo ordina un medico. Non sarà che i meridionali, memori di Caccioppoli, dovranno insegnare la matematica ai moderni, maestri dell’arte dell’investimento e della partita doppia? Il Mezzogiorno, tuttavia, è pur sempre la terra di Pitagora e Archimede, non di un Carneade qualsiasi! Il barbaro parlò, tempo fa, con disprezzo, di Magna Grecia, che il Cielo lo perdoni, ovunque egli si trovi! Contro e oltre il meridionalismo, arte del buon soccorso, per l’autodeterminazione, l’indipendenza e l’autosufficienza di un popolo che si basi sul principio dello “aiutati che Dio ti aiuta”, questa è l’unica strada praticabile, ammesso che ci sia. E’ un desiderio, una illusione? Certo! Chiediamoci, però, se questo desiderio, questa illusione, rientrino, oggi, nel campo del possibile. Si veda, se così non fosse, ci si rassegni alla subalternità e ci si accontenti di meno, ci si arresti di fronte alle insuperabili, per il Mezzogiorno, Colonne d’ Ercole. Se esse sono inoltrepassabili dalle sue forze, si stia sicuri, nessun eroe le varcherà, anche se è giovane, bello e forte e viene da fuori, dalle terre mitiche del Progresso e della Civiltà, anzi proprio a questi eroi esse saranno ancora più interdette, più inoltrepassabili. Nessuno può andare oltre il campo delle possibilità, non c’entra nessun discorso su inferiorità o superiorità, di fronte al fato non avversabile bisogna piegare il capo. Inferiorità, superiorità, discorsi da trivio,da manichei moderni che spaccano il capello in due, da una parte mettono il bene, dall’altro il male. Nel caso, non chiamiamo fatalismo una giusta rassegnazione, parliamo di coercizione che, in determinate condizioni storiche, prende le forme dell’ “aiuto”, dell’intervento speciale, come da sempre accade agli sventurati destinati ad essere sfruttati.Se, però, questa volta le cose non stanno in tal guisa, se esiste un campo delle possibilità in cui è lecito credere, non avventurarsi in esso o è viltà o sopruso di qualcuno che vuole impedire, per non perdere il potere, l’esplorazione. C’è un solo modo di appurare se esiste questo campo di possibilità: guardare sotto la sventura, vedere se sotto l’apparenza di essa non si siano accumulate e si celino energie e risorse. La sventura non è, solo e necessariamente, segno di sventatezza, ma anche possibile accumulo di sofferenze e dolori, di disponibilità a osare l’inosabile per rompere la crosta che comprime, nasconde e impedisce loro di mostrarsi in tutta la loro pre-potenza di bisogni e forza risparmiata per la bisogna, quando e se l’occasione si presenti. Accade sempre che, prima o poi, i piccoli diventino grandi e i grandi piccoli.Si tratta di vedere cosa sia maturato in centocinquanta anni di subalternità coatta, quanto, nonostante tutto, sia cambiato nel Meridione e fuori di esso, e se, nel momento del giungere ad epilogo di una forma di unità, spezzare questa forma non sia l’atto più serio e liberatorio, per conquistatori e conquistati.