“Ci sono due modi per accostarsi a questo libro – scrive Francesco D’Agostino, presidente emerito del Comitato Nazionale per la Bioetica e membro della Pontificia Accademia per la Vita, nella prefazione al “Magistero ecclesiastico ai farmacisti da Pio XII a Benedetto XVI” di Raimondo Villano (libro che annovera, oltre quello dello stesso D’Agostino, interventi di altissimo profilo ecclesiastico, istituzionale e scientifico): il primo è “quello di sfruttarlo, per penetrare in un ambito del magistero della Chiesa, quello specificamente rivolto ai farmacisti, di significativo rilievo, ma ancora poco conosciuto e divulgato”.

Villano, scrive D’Agostino, è stato infatti il primo “a raccogliere, in questo ambito, materiali importanti, sofisticati, ma non di facile accessibilità”, osserva il presidente emerito del Comitato di Bioetica. Egli “guida il lettore ad apprezzare come negli anni gli interventi magisteriali si arricchiscono, si precisano, acquistano valenze nuove, anche linguisticamente, e soprattutto entrano in un contatto sempre più stretto con la realtà della modernità, con le grandi questioni dottrinali e pratiche che siamo ormai avvezzi a ricomprendere sotto la denominazione complessiva (e forse non del tutto corretta) di Bioetica”. Ma quella di Villano non è solo, a detta dello studioso, “una cronaca e meno che mai una generica esaltazione della Chiesa docente”, è soprattutto “un’occasione per ribadire una verità che molti oggi vorrebbero mettere in un angolo per meglio marginalizzarla. Una verità che si traduce in una provocazione: gli insegnamenti della Chiesa, in ogni ambito (e per ciò che qui rileva, nell’ambito bioetico), non solo fanno parte costitutiva della storia, ma la orientano, la indirizzano e (arriverei a dire, esasperando un poco il mio discorso) le fanno violenza, le impongono cioè di tematizzare ciò che altrimenti verrebbe escluso da qualsivoglia riflessione di etica pubblica. Villano ha saputo cogliere questo punto e dobbiamo
essergliene grati”.
Per D’Agostino vi è tuttavia “un altro modo per trarre profitto dalla lettura di questo libro.
Da esso infatti emerge il grande, e per molti forse inaspettato, rilievo del farmaco come
vero e proprio problema bioetico”. “Sappiamo tutti – osserva – che il termine farmaco, nelle sue origini greche, è portatore di un’ambiguità costitutiva: possiamo interpretarlo come medicinale, ma anche, del tutto correttamente, come veleno. In altre parole i farmaci possono farci del bene, ma anche del male: le indicazioni relative a perniciosi effetti collaterali che tutte le confezioni farmacologiche affidano a quelle istruzioni grossolanamente chiamate da tutti bugiardini (espressione che andrebbe combattuta e rimossa, dati i pregiudizi e le
diffidenze che veicola) e che ormai crescono in dimensione in modo quasi esponenziale,
sono di un’assoluta evidenza. Ma nell’orizzonte dei pazienti, e aggiungerei anche
purtroppo in quello dei medici e degli stessi farmacisti, questa ambivalenza del farmaco
è interpretata riportandola alla categoria del rischio: bisogna usare bene i farmaci,
calibrandoli, controllandoli e dosandoli adeguatamente, così come ad es. bisogna usare
bene il cibo e le bevande, adottando stili di vita adeguati”.
Il problema è che “il farmaco- si legge più avanti – , da medicinale potenzialmente pericoloso, ma in linea di principio pur sempre benefico e quindi “pieno di valore intrinseco”, si è trasformato in un modalità sottile e invasiva di manipolazione arbitraria della nostra corporeità: una manipolazione eticamente neutrale, valutabile solo in base a due parametri: l’interesse sociale che può avere una persona a operare sul proprio corpo e l’interesse economico che può avere un’altra persona (o l’azienda produttrice del farmaco) a favorire le pratiche conseguenti… In sintesi, la somministrazione dei farmaci va tematizzata come uno dei problemi bioetici fondamentali del mondo in cui viviamo, un problema che viene costantemente rimosso, ma che altrettanto costantemente si riaffaccia sul palcoscenico dell’etica pubblica, aprendo dubbi, dibattiti e lacerazioni tormentose. Anno dopo anno gli interventi del Magistero della Chiesa in questo ambito si sono fatti sempre più precisi, sempre più informati, sempre più calzanti”. Insomma: “un tema tuttora tragicamente aperto e
controverso: chi vorrà leggere con attenzione quanto il Magistero pontificio si sia
impegnato in tal senso e con quanta intelligenza critica, non potrà che essere
ulteriormente grato a Raimondo Villano per il lavoro da lui fatto e che ha messo a
nostra disposizione”.