Federico Pepe, le Dictateur della creatività

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in foto Void, scultura editoriale

Ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Azzurra Immediato e Marco Tagliafierro

Le Dictateur è un universo non racchiudibile in una griglia di definizione, un ultramondo ideato da Federico Pepe nel 2006 e che, oggi, tra arte, grafica, design ed editoria, ha modellato la sua identità semplicemente trasformandola, ampliandola, lasciando che attraverso la sua eco possa imperituramente muoversi carpendo la bellezza come processo non già e non solo estetico, bensì filosofico, tuttavia, distaccandosi sia dalla registrazione del dato relativo in sé che del dato oggettivo tangibile. Questo è il mondo in cui il creativo Federico Pepe ha dato origine al proprio big bang, inarrestabile nel suo incedere a passo certo, nel tempo e nello spazio; è qui che idee, opere, scritti, d’un tratto, paiono tradurre una sorta di fascino degli ossimori, celato nella pressoché infinita serie di possibilità che solo una diarchia sa offrire. Sino a che, in quell’infinito mare di variabili, ci si ritrova ad essere davvero sé stessi, non alla deriva, bensì con qualche consapevolezza in più.
Infinità di variabili che Pepe accoglie nel suo mondo delle idee come se fossero una sorta di soglia, non antitetica, bensì contraltare, in cui il dialogo tra scienza e natura, tra forme organiche e segni astratti, dichiara una tangibilità di traslazione simbolica che è anche enigmatica, avvolta in un codex unico; in ciò, tuttavia, si svela anche il concetto di una ‘archeologia del futuro’ o di quel che accade ad un astronomo scrutando la volta celeste: trarre notizie sul passato per disegnare mappe future.
Abbiamo incontrato Federico Pepe e gli abbiamo posto alcune domande che, di seguito, condividiamo con voi.

(A.I.) Chiedere a Federico Pepe chi è Federico Pepe non è possibile. L’eclettismo interiore che emerge attraverso l’azione creativa e tangibile renderebbe la domanda retorica, certamente riduttiva; è pur vero, però, che aprirebbe la risposta ad una molteplicità di campi, tali da spaziare in un universo che ha radici familiari ma non solo, che sa stupirsi e che chiede alla mente di generare sempre nuovi ed inattesi risultati. La domanda, per cui, verterà su un altro quesito: cos’è la creazione?
La Genesi racconta il processo di creazione del mondo in 6 giorni, come sappiamo il settimo giorno viene benedetto e votato a giorno del riposo come premio per l’ottimo lavoro fatto nei 6 giorni precedenti. Questo dovrebbe sottintendere una lucida capacità critica del proprio operato.
… “caspita… ma guarda che cose incredibili ho creato, sto andando alla grande!”, se potessi re-masterizzare la Genesi il sesto giorno sarebbe dedicato a distruggere tutto quello che è stato precedentemente creato. L’ottavo giorno il processo di creazione avrebbe un nuovo inizio, meno spavaldo e sicuro del precedente. Durerebbe 70 giorni. L’unica creazione certa sarebbe la divisione della luce dalle tenebre, tutto ciò che viene creato apparirebbe diverso nelle due simmetriche condizioni, portando angoscia ed incertezza nel giudizio di quello che viene immaginato. I 70 giorni diventerebbero 700, e poi 7000, e così via all’infinito. Il protagonista di questa versione riscritta della Genesi, stremato ma deciso a non fermarsi, presto si renderebbe conto di non aver creato nulla all’infuori di un unica cosa intangibile. La volontà. La creazione è lavoro. Nient’altro.

(M.T.) La pittura, tra i media che tu prendi in considerazione, è il luogo di tutte le possibilità, è un partner che risponde con i segni suoi. Questi segni sono generativi, si evolvono e si trasformano. Spesso le immagini si affastellano in superficie, anche wall paper, grandi figure murali senza tempo, epopee di civiltà che non hanno una storia e le hanno tutte, che vivono solo nell’eterno vagare dei sogni che si dimenticano e tornano, come illuminazioni repentine.
I limiti della pittura sono sostanzialmente due: le dimensioni della superficie alla quale ci applichiamo e le nostre capacità tecniche. Quando impariamo ad accettare tutto questo siamo liberi. A questo punto cominciano i guai, ci siamo tuffati in un oceano in tempesta, viviamo nell’illegalità, accumuliamo errori, creiamo mostri, perdiamo tangenza con le coordinate fondamentali del vivere comune. Ma soprattutto perdiamo il punto di partenza. Siamo trasportati in un mondo parallelo nel quale diventiamo dei prismi capaci di rifrangere la luce e tutto ciò che ci arriva addosso. È la qualità del prisma a decidere la bontà delle rifrazioni. Prendersi cura del “noi” prismatico può aiutare, ma in fondo, siamo quello che siamo e purtroppo sarà chiaro a tutti.

(M.T.) Le tue figurazioni, Pepe, nonostante la loro qualità onirica e fantastica, spesso assurda, sempre sconvolgente, per la loro carica patetica, per la loro estenuata drammaticità, vivono di vita autonoma, non abbisognano di riferimenti dotti (anche se ne trasudano), di avvalli teorici e di ricette critiche per imporsi nella nostra mente, proprio come accade per i nostri sogni , quando durante la notte vengono a insinuarsi nelle fessure della nostra coscienza, o del nostro inconscio, e ad assumerne l’assoluto dominio.
È pressoché inutile cercare di ricordare un bel sogno, svanirà come un fiato lasciando un lieve sapore. Al contrario cercare di dimenticare un incubo non fa altro che catalizzarlo nella nostra testa, lo rendiamo solido, presenza totemica. Difficile dire cosa di noi partecipi a questo processo di cancellazione che in realtà non fa altro che costruire e quando colleghiamo le nostre mani e braccia per scaricare tutto ciò, quasi fossero una porta USB, non siamo davvero consapevoli del risultato. Rimane però la sensazione, la fatica, il piacere, la confusione e ancora una volta, in ultima istanza, la consapevolezza del limite perché solo una parte in qualche modo riesce a passare da quella porta USB. È solo un mezzo e come tale ha molti, troppi limiti.

(A.I.) Fulcro ed essenza del tuo lavoro è, certamente, Le Dictateur, luogo immaginifico che attraversa il reale mediante un varco editoriale, uno studio di progettazione, una fucina di delineazione estetica, del tutto fuori dagli schemi cui il senso comune è abituato e che affida alla grafica ed al suo itinerario percettivo il valore della scoperta. Qual è il progetto a te più caro nato da Le Dictateur? E quale quello che ancora deve nascere ma già ti entusiasma?
Ciò che di buono rappresenta Le Dictateur è il suo “corpus” la sua complessità, la sua storia, la coesione e la convivenza tra le sue parti, tra le varie discipline. Ritorna la VOLONTÀ. La volontà di esserlo, la volontà di farlo, la volontà di esistere. Non c’è nulla di più faticoso di questo, e per questo motivo nulla di più apprezzabile. Ora basta.

“Ora basta” al mondo delle parole, lasciamo spazio agli itinerari della cosmogonia generata dalla traccia delle idee, in grado di tradurre l’evanescenza di una forte presenza, come suggestione, mai caduca e non destinata, irrimediabilmente, a perdersi nelle trame del tempo ma, camaleonticamente, ad esistere seppur in forma sempre nuova.
Già, perché il solco attraversato da Federico Pepe trae origine in quelli che potremmo definire gli archetipi del genius italiano contemporaneo – a partire dal legame con Armando Testa e con Antonio Pepe – foriero di una lungimiranza che è ormai entrata a far parte di una memoria comune, seppur ancora in grado di sviluppare visioni inusitate. Ed è così che nell’arte di Pepe immagini, simboli ed emblemi divengono traccia di una evoluzione sempiterna, in grado di rendersi varco per interagire in un universo immaginifico, latore di una fascinazione per l’ossimoro, inteso come traslazione di codici, pattern e figurazioni capaci di convogliare qualcosa d’altrimenti inesprimibile.

in foto Federico Pepe in studio che lavora per il Progetto Araldica
in foto Credenza, Collection Patricia Urquiola