Fine della pandemia

Venerdì 5 maggio il Direttore generale dell’OMS, Tedros Ghrebreyesus, ha dichiarato la fine della pandemia da Covid 19, dopo più di tre anni e di 20 milioni di morti. Ad un tempo ha avvertito che la cosa peggiore che i paesi possano fare ora è abbassare la guardia e smantellare il sistema di monitoraggio costruito mandando alle popolazioni il messaggio che Covid non preoccupa più. Migliaia di persone ancora ora lottano nelle terapie intensive e milioni di persone convivono con i sintomi debilitanti del post-Covid. In Italia ad esempio la settimana 28 aprile / 4 maggio ha visto circa 21.000 nuovi casi e 166 decessi, la settimana precedente 23.000 casi e 156 decessi. Son circa 600 decessi al mese, in genere pazienti fragili. 

Lo stato di emergenza internazionale era stato dichiarato il 30 gennaio del 2020: ci sembra una vita fa e per molti è davvero una vita fa: la pandemia è stata molto più di una emergenza sanitaria, ha causato sconvolgimenti economici, cancellato trilioni di PIL, spinto milioni di persone nella povertà, infierendo in genere su chi già era fragile economicamente.   

Ed il Covid non è andato via, è qui per restare, endemicamente, ma senza le dimensioni da apocalisse che ci avevano lasciato sgomenti. Poiché ora sono quasi soltanto i fragili, dunque gli immunodepressi e gli anziani, a subire le conseguenze più serie essi dovranno ancora essere tutelati molto a lungo soprattutto con l’uso delle mascherine nei loro ambienti e senza inutili ed imprudenti ottimismi. In tal senso il ministro Schillaci che ha demandato ai sanitari, in primo luogo alle direzioni sanitarie e poi ai singoli professionisti, la decisione sull’uso delle mascherine. 

La fine della pandemia è ovviamente anche tempo per altri e fondamentali bilanci, ci sembra del massimo rilievo quello sulla modalità comunicativa. La Fondazione The Bridge in un recente workshop “ Comunicazione delle emergenze sanitarie: quali elementi chiave?”  ha affermato che “ In Italia, nella prima fase della pandemia, il Governo ha affrontato l’aumento dei contagi con una comunicazione ai cittadini poco precisa rispetto a quanto stava accadendo”. Non vi è dubbio che una comunicazione inefficace possa alimentare paure collettive  e reazioni incontrollate nella popolazione e nel sistema economico mentre messaggi chiari e coordinati  possono influenzare il modo in cui i cittadini rispondono agli eventi e sostenere l’uscita dall’emergenza. Noi ci permettiamo di andare oltre. Nella prima fase ci sembra difficile imputare seriamente a qualcuno inefficacia o peggio errori nella comunicazione: benché l’OMS nel 2005 avesse elaborato raccomandazioni generali da inserire nei piani nazionali per le pandemie, l’Italia è stato il primo paese occidentale ad affrontare lo tsunami sanitario, evento del tutto nuovo nell’era contemporanea. Difficile dire che abbia sbagliato nel comunicare chi ne cercava la metodologia in corso d’opera perché era sgomento di fronte ai fatti che giorno dopo giorno  mostravano una portata crescente, tragica e planetaria. Il problema comunicativo, a nostro avviso, è da cercare piuttosto nelle fasi successive, in occasione della II ondata e della comparsa di vaccini efficaci e salvavita. La comunicazione istituzionale ha talvolta negato cose che erano già in corso (la presenza di effetti collaterali della vaccinazione, minimi ma presenti) o ha continuato ad affermare l’utilità di ciò che era inutile (guanti) ma soprattutto non è stata coerente, vi sono state affermazioni di singoli componenti delle Commissioni Istituzionali contrastanti con quanto si era detto collettivamente. In Italia la gestione politica della pandemia è stata caratterizzata dal decentramento della catena di comando ai presidenti delle 21 Regioni, senza una regia centralizzata che trasmettesse messaggio coerenti a tutti gli stakeholder nello stesso momento. Ma la cosa più grave è stata, in Italia ma non solo, la presenza costante di una contro-informazione non istituzionale portata talvolta da figure con background scientifico ma spesso da persone che con la Scienza avevano poco a che vedere. La ricerca di The Bridge ha evidenziato che l’utenza italiana dei canali informativi ( istituzionali, outlet e social ) solo nel 19% dei casi rispetto agli altri paesi europei ha privilegiato i canali istituzionali: poteva essere una catastrofe. Talvolta si è negato, anche da parte di medici noti in video, la stessa presenza di fatto dell’infezione affermando la benevola mutazione del virus: qualcuno ricorderà ancora il “Manifesto dell’Ottimismo” dei 10 scienziati capitanati da Alberto Zangrillo. Ad esso si contrappose  il “Manifesto Pro-Veritate” di Massimo Galli ed altri 6 scienziati, per fortuna tutt’altro che ottimisti. Ma in piena pandemia non possono succedere cose così. Hanno parlato tutti e troppo!  E non ci riferiamo qui alle opinioni deliranti di personaggi dello spettacolo che comunque hanno fatto audience o alle tesi complottistiche che nascono nella più pura paranoia ma fanno talvolta proseliti, ci riferiamo ad addetti ai lavori seri e stimati incapaci di tacere davanti ad un microfono anche se non vi erano evidenze per rispondere in maniera certa e vera. Il microfono e la telecamera inducono una singolare patologia dello spirito, la cui fiamma è attizzata dalla vanità, in cui si è incapaci di tacere o ammettere che allo stato dell’arte non vi è una risposta: il microfono torna solo a chi risponde e si è vista in molti seri e stimati professionisti una autentica tossicodipendenza da microfono. Si è risposto confondendo opinioni e fatti senza mai ammettere ignoranze e dubbi. Lo spettacolo vuole certezze. E così il microfono tornava sempre non dal più saggio ma dal più ciarliero. Quasi nessuno è riuscito ad esercitare umiltà cognitiva. Le epidemie sono considerate dagli statistici  sistemi caotici al pari della meteorologia, del traffico, dei sistemi viventi e delle particelle: sistemi deterministici ma impredicibili perché troppo complessi da misurare. In questi sistemi qualsiasi minima deviazione da una misura assolutamente precisa determina nel tempo una previsione inaffidabile, come se fosse fatta in modo casuale o quasi. Ma si è voluto mostrare muscolarità e certezze dove non ce n’erano. E dove si è poi fallito si sono create crepe profonde di diffidenza ed incredulità. Molti no-vax sono stati e sono tuttora tali per profonde e fallaci convinzioni ma altri sono stati creati dalle contraddizioni degli addetti ai lavori. E molti sono morti per il mancato vaccino. Sarà utile quindi provvedere a piani per una efficace comunicazione rivolgendosi ad addetti ai lavori e facendolo in tempo di pace. In tempo di guerra sarebbe troppo tardi e, ora che ci si è già passati, imperdonabile.

Amleto Vingiani