I fiori pietrificati dell’economia

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Sulla scia di Isaac Newton (1642-1727) che scoprì l’ordine naturale dell’universo fisico, i filosofi economisti del Settecento perseguirono l’obiettivo di scoprire i principi sottostanti l’ordine naturale della società e il legame tra l’ordine naturale e la prosperità materiale. David Hume (1711-1776) si occupò dell’origine dell’ordine sociale attraverso i suoi studi di antropologia economica. Adam Smith (1723-1790) mise in luce nella sua Teoria dei sentimenti morali un principio fondamentale che tiene unita la società e che egli riteneva essere lo scopo dell’attività economica, vale a dire il rispetto verso se stessi e gli altri. Il rispetto è più che donare a fini caritatevoli; è rendersi “partecipe delle fortune altrui” essendo per l’uomo “necessaria l’altrui felicità, nonostante da essa egli non ottenga altro che il piacere di contemplarla”. Nell’Ottocento, John Stuart Mill (1806-1873) distingueva i piaceri materiali da quelli dello spirito. Egli riteneva che i primi fossero di rango inferiore ai secondi che includevano immaginazione e conoscenza immaginativa, volendo perseguire i propri sogni e sviluppare il proprio potenziale. Poi nel corso del tempo si è andato affermando un modo di concepire l’economia i cui simboli sono ormai fiori pietrificati, per usare l’espressione dello storico della cultura Johan Huizinga nel suo saggio L’autunno del Medioevo (BUR, Rizzoli, 1995). Ed è proprio l’autunno dell’economia che volge in inverno che oggi è in discussione.

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