Francia, io ricercatrice italiana a Parigi in guerra contro il Coronavirus

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“L’Italia produce moltissimi ‘cervelli’, poi non solo non li trattiene, ma ne attrae pochi dall’estero. Conosco tanti casi come quelli delle due ricercatrici precarie di Roma che hanno lavorato sul Coronavirus, l’Italia dovrebbe dare spazio alle sue eccellenze. Non ha un problema a crearle ma non riesce a dare loro la possibilità di svilupparsi”: è il monito che Vittoria Colizza, ricercatrice italiana in Francia, rivolge al nostro Paese. Le sue parole in una intervista all’Ansa.
Romana, 41 anni, Colizza guida un’unità dell’Inserm di Parigi, che è fra i più importanti istituti di ricerca al lavoro contro il Coronavirus. A lei anche Le Monde qualche giorno fa ha dedicato una pagina per approfondire il tema del rischio di epidemia nel continente africano. Proprio su questo tema infatti il team guidato dalla ricercatrice italiana ha elaborato stime e valutato vulnerabilità.
“Sono arrivata nel 2011, i colleghi francesi ci chiamano ‘les italiens’ – racconta Colizza – A lavorare sul Coronavirus siamo in 6 e 5 sono italiani. Non ho cercato specificamente in base alla nazionalità, è che gli italiani sono molto bravi e non hanno paura a spostarsi. Ricevo molte domande di giovani studenti, sono pronti a venire anche per una tesi di master, non hanno neppure timore di cambiare disciplina, passando ad esempio come me dalla fisica alla salute pubblica”.
Sul lavoro del suo team spiega: “Sviluppiamo modelli che tengono conto degli spostamenti degli individui, che possono avvenire su scale diverse e con vari mezzi di trasporto. Per il Coronavirus guardiamo essenzialmente ai viaggi aerei dall’epicentro dell’epidemia verso gli altri paesi. Lavoriamo sui dati del trasporto aereo ma teniamo anche conto della situazione epidemica alla sorgente”.
Il Coronavirus fa paura per la sua alta capacità infettiva, come dimostrato in Cina, e l’approdo in Europa è stato inevitabile. Timori ora ci sono per l’Africa: “Già in un primo lavoro due settimane fa abbiamo valutato il rischio di importazione in Europa del virus, aggiornandolo poi dopo la prima restrizione ai viaggi a Wuhan, con la chiusura dell’aeroporto. In relazione ai casi osservati, Gran Bretagna, Germania, Francia e Italia erano i paesi a più alto rischio per i casi importati dalla Cina. Ma avevamo già immaginato l’Africa come zona a rischio inferiore di importazione ma con capacità di gestione”.
La risposta dei singoli Paesi a questo nuovo virus è fondamentale per contenerne le conseguenze. Occorre “interrompere la trasmissione locale, essere in grado di identificare con rapidità la fonte e poi evitare il contagio – conclude la ricercatrice – Dall’Africa questa risposta è più debole, per mezzi e per risorse”.