Gino D’Ugo (Fourteen ArTellaro): La videoarte? Si fonda sul tempo, non sullo spazio

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in foto: frame da Riproduzione successiva, Gino D'Ugo, 2020, courtesy l’artista

L’occhio di Leone, ideato dall’artista Giuseppe Leone, è un osservatorio sull’arte visiva che, attraverso gli scritti di critici ed operatori culturali, vuole offrire una lettura di quel che accade nel mondo dell’arte, in Italia e all’estero, avanzando proposte e svolgendo indagini e analisi di rilievo nazionale e internazionale.

di Azzurra Immediato

L’Occhio di Leone torna ad interrogare i protagonisti della Videarte e, dopo Francesco Ciotola, incontra Gino D’Ugo, artista e curatore, una delle anime di Fourteen ArTellaro, definito “osservatorio indipendente per l’arte contemporanea e non una galleria d’arte”. Già, perché nello lo spazio espositivo, una white box affacciata sulla piazzetta di Tellaro, in Liguria, giunge tutto ciò che gli artisti scelgono di mostrare al pubblico, derivazione di ricerche plurime e linguaggi sperimentali. A questa continua indagine, si affianca, molto spesso la grammatica della videoarte, come accaduto nel 2019 in occasione della rassegna internazionale “La Superficie Accidentata” una delle principali in territorio italiano non prettamente istituzionali che ha saputo raccogliere le principali voci e visioni di questo idioma espressivo del nostro tempo. Ho avuto il piacere di seguire da vicino molti dei progetti di Fourteen sia in veste editoriale che curatoriale e oggi è il giorno giusto per condividere con voi lettori alcune riflessioni di Gino D’Ugo. Buona lettura.

Cos’è per te la videoarte? E cos’è la videoarte per Fourteen ArTellaro?
D’impatto ho la necessità di risponderti Tutto e Niente [ride], se per tutto si intende il mondo materiale dell’oggetto e per niente la sua smaterializzazione questa diventa la possibilità di un’arte fondata sul tempo anziché sullo spazio. Ma questo niente diventa la grande possibilità di trasmissione, un flusso di pensieri e visioni che può ricomporsi facilmente ovunque tramite la rete, di difficile possesso ma di facile fruizione per tutti, almeno come possibilità e caratteristiche intrinseche. In questo “pieno di cose” che è il pianeta trasmettere il prodotto dell’immaginario anche senza l’ingombro dell’oggetto credo sia indispensabile. Che te lo dica uno che ha un background da scultore potrebbe sembrare una contraddizione, ma forse proprio per l’importanza che attribuisco al mondo materiale sento anche la necessità e la responsabilità di un’ attenzione all’ingombro e al peso, c’è una enorme produzione di “cose” e l’essere umano ha necessità anche del vuoto dello spazio, della pausa dalla presenza fisica del troppo e dell’inutile. Comunque, potrei essere meno indicato di altri artisti a risponderti, voglio dire, nonostante io pensi sia un mezzo espressivo forte, stimolante e con infinite possibilità, come artista, al momento, mi sono cimentato poco con la videoarte. Un breve video che ho realizzato per “prima necessità”, un progetto di Spazio Y di Roma, che coinvolge molti artisti, si intitola “riproduzione successiva”. Nasce dall’idea e dalla critica che la società contemporanea affida molto, finanche cose basilari biologicamente, alla riproduzione successiva appunto, cioè sostituisce la materia con lo smaterializzato. Ecco… è come utilizziamo un mezzo che fa la differenza e spesso questo per l’arte diventa mezzo anche sovversivo di attivismo e critica della società che di oscenità mediatiche si nutre. Ogni entità ha la sua controparte e forse è nell’ossimoro che giochiamo nella ricerca di equilibri. Per Fourteen ArTellaro è uno dei diversi medium artistici e parte dell’intera attività per stabilire tensioni e frequenze, affinità e divergenze con buone e cattive abitudini di ciò che viviamo.

Nella tua esperienza, la videoarte ha rappresentato un modo per raccontare lo stato attuale di una ricerca internazionale culminata, nel 2019, nella rassegna La Superficie Accidentata nella straordinaria cornice di Fourteen ArTellaro. Raccontacene.
La ricerca è stata riguardo ad artisti che esprimessero il concetto specifico della rassegna a largo raggio. La Superficie accidentata è nata come rassegna espositiva per il piccolo spazio fisico di Fourteen. Questa ha coinvolto molti artisti, la tematica invitava a diverse visioni e riflessioni sulla contemporaneità, un ciclo che è durato due anni. In corso d’opera ho pensato che la rassegna avesse un potenziale di concetti per tantissime visioni e mi venne in mente la rassegna video che proposi a Guido Ferrari e Andrea Luporini [ND organizzazione Fourteen], l’idea passò con molto interesse. Il passo successivo, al di la delle questioni d’ordine pratico, fu quello di guardare tantissimi video, assimilarne i concetti, valutarli per la rassegna, e contattare gli artisti, che risposero con esito favorevole. Il risultato fu un sequenza loop di più di due ore con 31 video di artisti partecipanti. Forse il vero esperimento è stata la portata di tempo e immagini ma con mia grande sorpresa molte persone che hanno partecipato all’evento si sono mostrate interessate a vedere l’intero loop. Tutto questo all’interno dell’oratorio di Santa Maria Inselàa a Tellaro, un luogo evocativo del ‘500, con davanti una grande terrazzata sul mare. Un bel luogo per sviscerare il sacro e il profano che da sempre fa parte del fare arte.

La rassegna ha visto coinvolti numerosi artisti italiani e stranieri, alcuni considerati, oggi, i massimi esponenti di videoarte accanto ad altri che, invece, arrivano anche da altri linguaggi. È stato complesso farli dialogare? La Superficie Accidentata avrà un seguito?
Erano video molto differenti tra loro, per modalità di esecuzione e per concetti espressi, per durata e per background degli artisti. Mettere insieme le differenze mi stimola per un discorso ad ampio spettro, quindi non volevo precludere la rassegna a un semplice esercizio di stile né a strettezze ideologiche. “La Superficie è accidentata”, in che modo? Secondo quali ragionamenti o percezioni? “La superficie accidentata è una superficie che non presenta più la caratteristica dell’immacolato, del semplice, dell’inespressivo e del vacuo. Ha i segni e la memoria di accadimenti, è un luogo sconnesso e impervio, ha i suoi rilievi e le sue profondità, le sue scomodità se non i suoi tormenti. Spalanca le finestre e abbatte le superfici per vedere cosa c’è dentro se non dietro. Non consente che qualsivoglia cosa attecchisca facilmente e maggiore è la sua profondità maggiore diventa il lavoro volto a svelare i suoi enigmi e le sue memorie”. Del concetto specifico direi che si possa dire molto. Riuscire a trasmettere pensieri ed evocazioni, dal mondo razionale e da quello sensibile dall’astratto al tangibile, e viceversa, dal vedere alla visione. Riguardo alla sequenza del loop, con Andrea, ci abbiamo lavorato molto cercando di costruire una ritmica che avesse rispetto per l’attenzione dell’osservatore, cose come velocità, lentezza, pause e ripartenze; suono, voce e silenzio; concetti espressi e tempi di durata; vuoti e pieni. C’erano artisti che utilizzano esclusivamente il mezzo video e artisti che lo integrano a una più ampia gamma di modalità di espressione. Alcuni girati sul territorio o postproduzioni di Fourteen, altri erano postproduzioni di performance, alcuni con un profilo documentaristico di avvenimenti “accidentati” altri con vere e proprie sceneggiature. Parlavano di etica e politica, di intimismo, di ingabbiature o disfacimenti, nell’insieme di estetica, tanti frammenti del nostro immaginario. Che dire… chiediamoci da questa condizione di esseri umani cosa possiamo trasmettere e quanto si può incidere nelle derive a cui siamo sottoposti, l’arte può provare a tirare un sasso nello stagno trasmettendo messaggi che non siano quelli iniqui delle trasmissioni televisive o quelli delle tante brutture della mercificazione, ridelineare un senso “eco logico” farci trovare dubbiosi e impreparati a cercare una goccia di splendore in questo quotidiano. “La superficie accidentata” è ovunque, avrà comunque un seguito nei giorni di ogni persona, alla domanda se questa rassegna si possa ripetere rispondo che non lo so, possibile, forse in modo diverso, con possibili modalità differenti secondo luoghi o contesti. Vorrei nominare tutti gli artisti che ne hanno fatto parte: Giovanni Gaggia, Iginio De Luca, Alessandro Brighetti, Sandro Mele, Sonia Andresano, Radio Zero, Elena Bellantoni, Alice Schivardi, Daniela Spaletra, Federica Gonnelli, Elena Nonnis, Fabrizio Cicero, Giampaolo Penco (nel video l’installazione di Alfredo Pirri), Laura Pinta Cazzaniga, Nicoletta Braga, Massimo Mazzone, Fiorella Iacono, Calixto Ramirez Correa, Alain Urrutia, Philipp Gufler, Colectivo Democracia, Filippo Berta, Christian Ciampoli/Silvia Sbordoni, Simone Cametti, Franco LoSvizzero, Marina Paris, Silvia Giambrone, Luca Monzani, Mauro Folci, Luca Vitone.

Una rassegna rintracciabile, a più di un anno di distanza online, attraverso i diversi link dedicati alla ricognizione di videoarte portata avanti da La Superficie Accidentata per Fourteen ArTellaro e che, ad oggi, si inserisce in una più vasta indagine sul ruolo che tale grammatica riveste nel nostro Paese oltre la dimensione istituzionale. Nella sua personale visione, in questo caso, essenzialmente curatoriale, Gino D’Ugo, affermando che “è come utilizziamo un mezzo che fa la differenza e spesso questo per l’arte diventa mezzo anche sovversivo di attivismo e critica della società che di oscenità mediatiche si nutre” sottolinea quanto “Ogni entità ha la sua controparte e forse è nell’ossimoro che giochiamo nella ricerca di equilibri. Per Fourteen ArTellaro [la videoarte] è uno dei diversi medium artistici e parte dell’intera attività per stabilire tensioni e frequenze, affinità e divergenze con buone e cattive abitudini di ciò che viviamo.” Emerge, dunque, quanto la videoarte abbia la capacità, più d’altri linguaggi, di generare cortocircuiti percettivi immediati, sì di attivare sinapsi molteplici e sfidare la fissità dell’immagine in un controcampo che si muove alla stessa velocità della vita, attivando moti di coscienza e coscienza più ampi o sensibilmente differenti.

in foto: frame da Teatro anatomico, Silvia Giambrone, video, courtesy l’artista e studio Stefania Miscetti
in foto: frame da Tutto l’inizio la fine, Giovanni Gaggia, video, courtesy l’artista e Fourteen ArTellaro
in foto: frame da Riproduzione successiva, Gino D’Ugo, 2020, courtesy l’artista