I bottoni di Draghi

(foto dal sito di Società Libera)

di Marco Patriarca

I nostri ex sovranisti, ex anti-europei, ex democristiani ed ex comunisti, dopo la dissoluzione della loro politica, ancora orbi dell’ultimo governo Conte, ancora disquisiscono sulla natura tecnica o politica del governo Draghi; sperando comunque che duri poco. Intanto il governo si annuncia europeista, liberal-democratico, promosso e ispirato da Sergio Mattarella, dunque, del tutto politico. La scelta dei ministri e dei sottosegretari sembra assicurare che, nel pieno di una recessione economica e sociale difficile, lunga e pericolosa, Draghi si trovi pronto ad operare il paziente Italia dal centro della stanza dei bottoni governativi.
Il problema però, come ha osservato Lucio Caracciolo, non è il governo. Il problema sono i bottoni. Anche spingendo bene quello giusto potrebbe non succedere nulla. Infatti la massima parte delle riforme degli interventi a valere sui fondi del New Generation-EU, che il governo dovrà guidare, hanno carattere pubblico e i mille bottoni che dovranno attivarlo sono in mano alle amministrazioni pubbliche, molte delle quali sono burocrazie lente, rigide e fatiscenti. Riformare significa anche cambiare mentalità, procedure e spesso persone. In Italia non si cambia mai nulla e le misure governative, per quanto necessarie ed utili, appena scendono giù per li rami delle pubbliche amministrazionisi impantanano. I ranghi intermedi della PA infatti ritengono (ovunque nel mondo) di avere una superiorità tecnica sui cambiamenti delle loro aree di competenza: il governo -essi affermano- ci può dire “che cosa” ma siamo noi competenti a dire “come”. È in quel “come” che annidano emendamenti, dettagli, interessi, malintesi e trucchi. Inoltre, anche l’Italia è una democrazia compiuta, è però una democrazia feudale: castelli, fortezze e palazzi, scambio economico e baratto politico, autarchia locale, privilegi di casta, litigiosità interna al feudo e guerra tra feudi; tutti uniti però nell’assalto (soprattutto economico) al potere e all’autorità centrale.
Oggi in Italia i feudi sono di un altro tipo: partiti, banche, enti statali ed aziende pubbliche, grandi imprese, sindacati, ordini professionali, authority ed enti locali che hanno altrettanti diritti ed obblighi verso masse di cittadini anonimi, verso grandi e piccole aziende industriali, di servizi e di comunicazione di cui regolano in vario modo le vicende economiche. Ma mentre nel primo caso i vassalli avevano un rapporto diretto, stretto e quasi organico con il feudatario locale, al quale dovevano rispondere, i secondi oggi ne hanno uno lontano e politicamente mediato con lo stato italiano e rispondono solo ad elettori spesso ingannati; di conseguenza i vassalli ne perdono la fiducia e studiano, quasi sempre con successo, come aggirarlo. Nella gestione del NG- EU questo non dovrà avvenire e Draghi, con tutta la sua autorità dovrà impiegare anche tutta la sua soft power per battere le resistenze dei partiti; i quali continuano a ritenere di essere gli esclusivi maestri della politica politicante, quella vera, quella loro.
Di Salvini, Meloni, Zingaretti, Bersani, Di Maio e Conte ormai conosciamo il passato prossimo, ed i rispettivi curricula, abbastanza per indovinare il loro futuro politico. Draghi è diverso, il suo ruolo sarà anche quello, di dare l’esempio agli altri, come predicava Luigi Einaudi, lavorando per il futuro dell’Italia e non per accontentare partiti che lo sostengono. Oltre alla sua competenza, è questa la soft power che potrà fare del suo governo un successo per l’Italia e per l’Europa. Come scriveva Fyodor Dostoevsky “Ai nostri tempi non si sa più affatto chi s’ha da stimare in Russia. E bisogna riconoscere -concludeva amaramente- che, per un paese, non saper più chi s’ha da stimare è un’atroce calamità.”