I contratti di fideiussione al vaglio delle Sezioni Unite

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di Valentino Vecchi*

Con sentenza n.41994 del 30.12.2021, le SS.UU. della Cassazione si sono espresse sull’annosa questione dei contratti di fideiussione redatti in conformità allo schema negoziale tipo redatto dall’ABI nell’ottobre del 2002.

Per meglio comprendere la questione oggetto della recente pronuncia della Suprema Corte, occorre premettere che a seguito di un’istruttoria avviata a novembre 2003 e avente ad oggetto proprio lo schema tipo di fideiussione bancaria predisposto dall’ABI, la Banca d’Italia emise il provvedimento n.55 del 2 maggio 2005 mediante il quale, dopo aver preliminarmente chiarito che << le condizioni generali di contratto comunicate dall’ABI relativamente alla “fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie”, in quanto deliberazioni di un’associazione di imprese, rientrano nell’ambito di applicazione dell’articolo 2, comma 1, della legge numero 287/ 90, laddove recita: “sono considerati intese gli accordi e/o le pratiche concordati tra imprese nonché le deliberazioni, anche se adottate ai sensi di disposizioni statuarie o regolamentari, di consorzi, associazioni di imprese ed altri organismi similari” >>, stabilì che << gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengono applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n.287/90 >>, mentre le ulteriori disposizioni non risultano lesive della concorrenza.

In pratica, la Banca d’Italia ritenne che tre clausole dello schema di fideiussione ABI non presentassero elementi funzionali a garantire l’accesso al credito bancario ma avrebbero avuto lo scopo precipuo di ribaltare sul fideiussore le conseguenze negative derivanti dall’inosservanza degli obblighi di diligenza della banca ovvero dall’invalidità o dall’inefficacia dell’obbligazione principale e degli atti estintivi della stessa. In altre parole, la Banca d’Italia ha accertato che le banche aderenti all’ABI avrebbero realizzato un’intesa anticoncorrenziale vietata.

Nello specifico le tre clausole censurate sono le seguenti:

  • “clausola di reviviscenza”, secondo cui “il fideiussore è tenuto a rimborsare alla banca le somme che dalla banca fossero state incassate in pagamento di obbligazioni garantite che dovessero essere restituite a seguito di annullamento, inefficacia o revoca dei pagamenti stessi o per qualsiasi altro motivo” (art. 2 dello schema ABI); 
  • “clausola di sopravvivenza”, in virtù della quale si prevede la sopravvivenza della fideiussione qualora le obbligazioni garantite siano dichiarate invalide (art. 6 dello schema ABI);
  • “clausola di deroga”, mediante cui il debitore rinuncia al termine di decadenza disposto in suo favore dall’art. 1957, comma 1, c.c., ai sensi del quale la banca deve agire contro il debitore entro il termine di sei mesi dalla scadenza dell’obbligazione principale (art. 8 dello schema ABI).

Sull’argomento la giurisprudenza, anche di legittimità, si è divisa, sostenendo talvolta la tesi della nullità parziale delle sole tre citate clausole, talaltra quella della “nullità derivata” – in quanto conseguente al rapporto strumentale esistente tra l’intesa a monte e il contratto fideiussorio a valle – dell’intero contratto fideiussorio.

Le SS.UU., esclusa l’ipotesi di nullità totale della fideiussione, hanno stabilito il seguente principio di diritto: <<i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall’Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con gli artt.2, comma 2, lett. a) della legge n.287 del 1990 e 101 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli artt.2, comma 3 della legge succitata e dell’art.1419 cod. civ., in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l’intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti>>.

La soluzione cui è pervenuta la Corte appare certamente quella più logica e rispettosa del principio di conservazione del negozio giuridico, sancito nel nostro ordinamento giuridico dall’art.1419 c.c.. In sintesi, la nullità di singole clausole determina la nullità dell’intero contratto solo nel caso in cui la parte che ne abbia interesse dimostri che non avrebbe concluso il contratto in assenza delle clausole nulle. Ma, come osserva la Corte, << tale ultima evenienza è di ben difficile riscontro nel caso in esame. Ed invero, avuto riguardo alla posizione del garante, la riproduzione nelle fideiussioni delle clausole nn.2, 6 e 8 dello schema ABI ha certamente prodotto l’effetto di rendere la disciplina più gravosa per il medesimo, imponendogli maggiori obblighi senza riconoscergli alcun corrispondente diritto; sicché la loro eliminazione ne alleggerirebbe la posizione >>. Peraltro, << il fideiussore è normalmente cointeressato, in qualità di socio d’affari o di parente del debitore, alla concessione del finanziamento a favore di quest’ultimo e, quindi, ha un interesse concreto e diretto alla prestazione della garanzia >>. E’ quindi evidente che il fideiussore, anche in assenza delle tre citate clausole, presterebbe ugualmente la garanzia fideiussoria richiestagli.

Allo stesso tempo, la banca << ha interesse al mantenimento della garanzia, anche espunte le suddette clausole a lei favorevoli, attesa che l’alternativa sarebbe quella dell’assenza completa della fideiussione, con minore garanzia dei propri crediti >>.

In pratica, è assai improbabile che in sede di merito possa giungersi alla declaratoria di nullità dell’intero contratto fideiussorio. Nondimeno, la nullità delle tre menzionate clausole può determinare effetti – nel rapporto banca/fideiussore – non dissimili da quelli discendenti dalla totale nullità del contratto fideiussorio. Basti pensare che quasi mai gli istituti di credito sono in grado di dimostrare il rispetto dei termini e della diligenza sanciti dall’art.1957 c.c., circostanza che può agilmente essere invocata dal fideiussore per far dichiarare lo scioglimento del vincolo fideiussorio.

Va in ogni caso chiarito che gli ermellini hanno inteso precisare che << non è certo la deroga isolata – nei singoli contratti tra una banca ed un cliente – all’archetipo codicistico della fideiussione, ed in particolare agli artt.1939, 1941 e 1957 cod. civ., a poter, invero, determinare problemi di sorta, come è ormai pacifico nella giurisprudenza di legittimità, in termini di effetto anticoncorrenziale. E’, invece, il predetto “nesso funzionale” tra l’ “intesa” a monte ed il contratto a valle, emergente dal contenuto di tale ultimo atto che – in violazione dell’art.1322 cod. civ. – riproduca quello del primo, dichiarato nullo dall’autorità di vigilanza, a creare il meccanismo distorsivo della concorrenza vietato dall’ordinamento >>.

Resta quindi da capire se le tre menzionate clausole risulterebbero valide laddove venissero “scritte” senza riprodurre in maniera fedele il formulario ABI.

* dottore commercialista
esperto in contenzioso bancario
consulente tecnico del Tribunale di Napoli
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