Sfaccettature e volti della pandemia che se da un lato ha generato lockdown – giusti- non ha risparmiato non poche ripercussioni economiche e sociali, e proprio l’aspetto sociale ha mostrato fragilità e carenze, generando l’acuirsi di bisogni latenti ma anche il generarsi di nuovi bisogni. Confinati tra le mura domestiche anche i portatori di handicap e i loro caregiver, il familiare che li accudisce quotidianamente, un percorso estremamente difficile anche a causa dell’emergenza pandemica. Un’emergenza nell’emergenza che riguarda, secondo il rapporto Istat del 2019, oltre due milioni di famiglie. Genitori, mariti, mogli, figli, alle prese con i parenti disabili da assistere. Una vita nell’ombra fatta di giornate lunghe che fanno invecchiare e ammalare. Sono i caregiver familiari, segmento trascurato del mondo dell’assistenza ai disabili, lavoratori a tempo pieno, non volontari e non riconosciuti, vincolati dal legame di sangue e affettivo, che trascurano e dimenticano la loro vita e le loro esigenze per assistere il loro familiare. Ad oggi non esiste una legge nazionale che li riconosca, eccetto le leggi regionali dell’Emilia Romagna e della Campania, nonostante le promesse, ancora attendono una qualche forma di sussidio per i sacrifici sostenuti durante la pandemia. Ombre e luci su un mondo esistente e parallelo al nostro: la disabilità e chi li assiste. Dimenticata o quasi la disabilità in tempo di covid. Sono rimasti fuori dai provvedimenti del legislatore durante la quarantena tutti gli aspetti ludici, psicologici e specifici per i bambini e i ragazzi disabili. Molti bambini non hanno potuto ricorrere alle lezioni on line. Le lezioni frontali con video non sono facilmente fruibili da tutti, come ad esempio i ragazzi con difficoltà cognitive. Impensabile pensare che un bambino con un ritardo importante riesca a rimanere concentrato tante ore davanti ad uno schermo. L’impatto dell’isolamento sui minori affetti da disabilità ha generato ripercussioni notevoli: senza terapie la regressione è quotidiana. Senza scuola stanno perdendo piccole grandi abilità e conquiste di autonomia e di autostima, momenti di socializzazione, che avevano faticosamente guadagnato. Per loro servono programmi individuali, e molto spesso, vicinanza fisica, in contrasto con le severe misure di distanziamento sociale. Ma anche i disabili adulti fanno i conti con le penalizzazioni generate dalla quarantena. Coloro che lavoravano fanno i conti con l’isolamento: è venuto a mancare quell’aspetto di socialità e autonomia tanto importante per il mantenimento delle loro funzioni cognitive. Il cervello è un muscolo da mantenere allenato. Sempre e da tutti. Le misure in campo, seppur volte a tutelare la salute delle persone, hanno prodotto un inevitabile effetto collaterale: un lungo periodo di isolamento, difficile da sopportare, soprattutto per i più fragili. Alcune disabilità hanno risentito ancor di più dell’isolamento domestico, come il Disturbo dello Spettro dell’Autismo, le giornate di queste persone prima della chiusura dei servizi erano strutturate con una routine ben definita (scuola, centri di riabilitazione, sport) che improvvisamente vengono a mancare. Il cambiamento per un autistico, non è facile. I genitori si sono ritrovati h24, sette giorni su sette, i propri figli a casa, senza alcun momento di respiro, cercando di gestire e arricchire le giornate sempre più deprivate di stimoli. Per alcuni disabili, affrontare il covid può essere molto complesso. Si pensi ai non udenti o a chi ha una lesione alta e dunque difficoltà a respirare, in quei casi la mascherina è un elemento di disturbo. Allo stesso tempo chi ha difficoltà motorie e deve prendere un mezzo di trasporto, deve tenere le distanze, quando invece l’aiuto della gente per salire o scendere da un autobus a volte è fondamentale. Senza tralasciare le loro paure nel perdere i propri punti di riferimento, iniziando dal caregiver che potrebbe ammalarsi. Sono questi i sentimenti a cui bisogna fare i conti se si è disabili. Paure, difficoltà e sentimenti contrastanti sperimentano i disabili ma anche i loro caregiver, che con il covid-19 sono piombati in una sorta di realtà distopica. Le madri dominano di più la scena, leonesse nell’assistenza dei figli disabili, se da un lato alcune mamme hanno potuto dedicargli più tempo dall’altro hanno azzerato del tutto i momenti di respite. Eppure a loro resta la speranza, carburante della resilienza di queste famiglie, quello che gli consente di rispondere ogni giorno alla prova personale difficile. E in fondo, il lockdown imposto dall’emergenza sanitaria non è molto diverso dal loro quotidiano. Perché le famiglie con soggetti disabili vivono normalmente una sorta di locwdown, con una vita sociale molto sacrificata. Angeli custodi e spalle della vita di bambini e adulti disabili che con grande intensità e amore, consapevoli ma non troppo, sfidano i limiti e vivono il loro quotidiano.