I minorenni in comunità, uno sguardo sociale per capire e comprendere (parte I)

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Carissimi lettori, da oggi e in alcune tappe condividerò con voi un lavoro nato all’incirca un anno fa, che poi è rimasto chiuso in un cassetto e dato che non amo le lettere morte, in accordo con il denaro, ho deciso di condividerlo con voi, perché possa essere letto, ripostato, criticato, ma purchè sia vivo e serva a qualcosa. La speranza è che anzitutto porti a conoscere meglio il lavoro in primis dei servizi sociali, in secundis il panorama di norme, leggi, interventi e servizi, che influenzano le decisioni che riguardano un minore e la sua famiglia. I minorenni in comunità, sarà uno sguardo sociale, restituendo dati ma anche elementi relativi al contesto ambientale, sociale, e alle problematiche che riguardano i minorenni, sondando anche la tipologia di inserimento e il tempo di permanenza, senza tralasciare le caratteristiche qualitative dell’accoglienza in comunità: numeri dei collocamenti e caratteristiche dei minori ospitati riguardo all’età, al genere e all’eventuale condizione dei minori ospitati nelle comunità residenziali facenti capo ai comuni o agli ambiti territoriali. Sarà un viaggio tra i minori collocati in comunità familiari e strutture che consentono l’accoglienza genitore-bambino. Si darà poi spazio alle storie che hanno determinato l’allontanamento familiare, al fine di comprendere fenomeni sociali attuali e crescenti. Occasione che spingerà senza alcuna forma di pregiudizio ad una riflessione anche professionale, ponendosi altresì domande valutative sulla gestione del caso e dell’intervento, al fine di comprendere il nesso tra intervento e risultato.

La cornice del lavoro è la base normativa nel quale viene sancito il diritto del minore ad una famiglia, divenendo oggetto di tutela da parte dell’ordinamento internazionale, sovranazionale ed interno e riguarda, in via primaria, il diritto di ciascun bambino a vivere e a crescere nell’ambito della propria famiglia di origine, a meno che la separazione non sia necessaria a garantire il suo preminente interesse. In tal senso, rileva quanto sancito dalla Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989, ratificata dall’Italia con la legge n. 176 del 1991, ai sensi della quale (art. 9) “gli Stati parte vigilano affinché il fanciullo non sia separato dai suoi genitori contro la loro volontà a meno che le autorità competenti non decidano, sotto riserva di revisione giudiziaria e conformemente con le leggi di procedura applicabili, che questa separazione è necessaria nel preminente interesse del minore.” Di analogo tenore, risultano gli enunciati espressi nell’art. 24 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché all’art. 8 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). La legislazione italiana prevede la centralità dell’interesse del minore a vivere nella propria famiglia sancita nella legge n. 184 del 4 maggio 1983, in tema di adozione e di affidamento dei minori, così come modificata dalla legge n. 149 del 2001, la quale riconosce per ogni persona minore di età il “diritto di crescere e essere educato nell’ambito della propria famiglia”, nonché, coerentemente con il nuovo titolo del testo di legge, mutato nel 2001, il “diritto del minore a una famiglia”.

La 184/1983 dopo aver precisato le condizioni di indigenza dei genitori non possono essere un ostacolo al diritto del minore alla propria famiglia, delinea un quadro di presidi e misure volto a far sì che l’allontanamento definitivo del minore venga disposto solo dinanzi ad accertate e insuperabili difficoltà che non consentono al bambino un ambiente favorevole per la sua crescita, e quando non vi sono altre possibilità di aiuto o l’opposizione e il rifiuto della famiglia.

Sono, infatti, previsti due tipi di intervento: da un lato l’affidamento familiare, che si realizza mediante l’accoglienza offerta al minore da un’altra famiglia o da parenti; dall’altro l’inserimento in una comunità di tipo familiare. Il comune denominatore di entrambi gli interventi risiede nel presupposto della temporanea difficoltà della famiglia di origine a prendersi cura del minore, sia la strumentalità dell’intervento, espressamente volto a favorire il rientro del minore e alla sua famiglia di origine. Le attività e il tipo di sostegno da offrire al minore e alla sua famiglia per realizzare questo obiettivo sono indicate nel progetto che i servizi sociali elaborano, tenendo conto delle specificità del caso. Le comunità di tipo familiare ospitano anche i minori stranieri giunti nel nostro Paese senza essere accompagnati da un adulto e privi di una figura di riferimento. Al riguardo, trova spazio anche la legge n. 474/2017, Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”, È bene precisare, tuttavia, che gli strumenti normativi non sono sufficienti se non supportati da un’adeguata consapevolezza: occorre conoscere per prevenire, ma serve anche conoscere per intervenire.

Definito il quadro normativo, resta da capire l’allontanamento del minorenne dal proprio nucleo familiare, ma sarà oggetto della vostra gentile lettura nella prossima pubblicazione.