Il cielo, la terra e il mare nell’Estate della Campania

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in foto l'Aeroporto internazionale di Capodichino a Napoli (Imagoeconomica)

Riproponiamo l’articolo di Ermanno Corsi apparso sul Roma di martedì 31 maggio, all’interno della rubrica “Spigolature“.

di Ermanno Corsi

Sconcertati per come è andata la Primavera (la più “incompiuta” rispetto a come l’abbiamo attesa), si cercano auspìci da meteo per l’estate che batte alle porte. E qui non mancano motivi di apprensione. Sembra infatti che stia per scatenarsi un nuovo ciclone artico carico di freddo, piogge e vento, e perfino neve sulle Alpi orientali. Si fermerà lì, o scenderà dritto lungo lo Stivale per agganciare la Sicilia? Appare al momento difficile che bypassi la nostra regione rinunciando a “sostare”, almeno per respirare un po’ nella sua corsa affannosa, nel cielo dell’antica Campania felix. Con questo ipotizzabile scenario, fa ancor più tenerezza lo scrittore francese Claude Clement quando scrive di Madama Estate che “gira per il mondo/e ritorna una volta l’anno/dopo aver percorso il mappamondo/. Molto lirica la descrizione dell’Estate che “ha sulla testa un cappello/color del cielo/indossa un abito leggero come un velo/fatto di sole e di sabbia dorata/.

CAPODICHINO SENZA PACE. Si guarda in alto e, osservando il flusso degli aerei al di sopra di San Martino e il cono del Vesuvio, non serve l’orologio per sapere l’ora esatta. Fa testo la regolarità dei passaggi. L’aeroporto ha una rete di 108 destinazioni che, con 11 milioni di passeggeri l’anno, vede la Campania avvicinata “al nord America e all’emisfero orientale”. Particolarmente apprezzati i voli diretti per New York e Dubai. Tempi nuovi per lo scalo che nella sua prima vita si chiamava “Campo di Marte” per poi essere intitolato a Ugo Niutta (l’ingegnere navale che divenne intrepido aviatore capace di contrastare l’aviazione austriaca durante la prima guerra mondiale). Fino al secondo Novecento lo scalo a nord di Napoli non era fra le primarie posizioni internazionali, tanto da essere definito un “aeroporto a capo chino”. Con  (1980)  l’inglese-campana Gesac, ha preso corpo l’innovativa gestione ispirata a criteri di efficienza e modernizzazione. Tuttavia bene in cielo, male in terra.

PERVERSA AEROFOBIA. Palazzo San Giacomo ha sempre “volato” molto basso specie negli ultimi decenni (a causa di una particolare forma di miopia?). Negli anni Settanta e Ottanta non mancarono assessori e politici che ritenevano necessario trasferire lo scalo da Capodichino al Lago Patria (motivi ecologici o compravendita di suoli?). Si spesero 18 miliardi (vecchie lire sì, ma sempre “tante”) per i progetti e l’avvio dei lavori. Per fortuna prevalse la cultura del buon senso: ma come poteva funzionare un aeroporto a ridosso di un lago, con tutta quella nebbia che è uno dei più pericolosi ostacoli? Con l’ultimo Piano regolatore qualche “anima bella” è riuscita a infilare nuovamente “la necessità di riprendere la questione dell’aeroscalo” per sostituirlo con un “grande parco pubblico…”. Immediata la puntualizzazione dell’assessore al Turismo Teresa Armato (ribadita ai rotariani del Napoli Ovest, presidente Marta Catuogno): la presenza di  Capodichino è di vitale importanza specie oggi che, con il collegamento con il salernitano aeroscalo Costa d’Amalfi, la Campania ha un polmone che rafforza in modo determinante tutta l’economia regionale.

TRASPORTI LUMACA.  A Napoli l’Estate dovrà camminare lentamente e con molta attenzione ai rischi che corre. Il traffico di superficie è convulso, senza regole. I bus, anche se nuovi di zecca, debbono fare i conti con chi non paga il biglietto e dà fastidio a chi è in regola. Corse, partenze e fermate non hanno orari prestabiliti. Tutto avviene a come capita. Quando poi il bus lo vedi, ci sali con fiducia ma non sai quando e come arrivi. Nel sottosuolo è peggio che “andar di notte”: linee metro dove gli orari sono spesso indicazione di massima, corse saltate e ritardi che si cumulano. Apprezzata l’autoironia dell’assessore Cosenza: solo un mago potrebbe, a Napoli, far funzionare questi trasporti…

IL MARE NON BAGNA NAPOLI. Bello il libro, con questo titolo, di Anna Maria Ortese. Ma ora va ricordato per smentirlo: il mare “bagna Napoli”, eccome se lo bagna. Basta pagare gli stabilimenti (30 per cento in più dell’anno scorso, causa Covid e guerra in Ucraina, dicono loro) e un po’ di mare e sole sono tuoi. Ma non sono beni che ci vengono gratuitamente da “madre natura”? Quesito legittimo, ma senza mai risposta.