Il consolato di Napoli si prepara per le Presidenziali Usa

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Mancano pochi giorni ormai alle Elezioni Presidenziali negli Stati Uniti, e alle mille domande che ci poniamo, risponde il Consolato Generale Usa a Napoli : perché  ad esempio il sistema americano è chiamato ‘two-party system”, e perché i simboli dei due partiti sono Asino vs Elefante, quali sono i possibili scenari e le differenti prospettive delle Elezioni Presidenziali USA in Europa? Barack Obama è stato il primo “Presidente social media”: il primo ad avere un account ufficiale @POTUS su Twitter, il primo a trasmettere in diretta Facebook dalla stanza ovale, il primo a rispondere in tempo reale alle domande dei cittadini su YouTube. Che ne sarà della sua eredità digitale? Questi e molti altri sono stati i temi affrontati al Dipartimento di Scienze Politiche Federico II, nel corso di un seminario con Dana Murray, console per gli affari politico-economici del U.S. Consulate General Naples. E’ una delle tante iniziative nate per attendere e commentare assieme, cio’ che avverrà  dall’8 Novembre; ad esempio , in  attesa dell’emozionante nottata elettorale che vedrà l’elezione nuovo Presidente degli Stati Uniti d’America. A Napoli soprattutto  esiste una lunga tradizione consolare volta a ‘vivere’ assieme l’evento, cercando di far capire nel contempo cosa sta realmente accadendo e quale il reale impatto del voto. Ad esempio una iniziativa avutasi fino alla fine di Ottobre 2016 è quella di votare il migliore testo, la migliore vignetta ed il miglior video del contest #LAmericaDecide. Sufficiente un ‘like’ ai lavori del sito AmbasciataUSA, mentre l’Ambasciata Americana a Roma sceglierà il migliore in ogni categoria tra i dieci più votati: il vincitore sarà premiato dall’Ambasciatore John Phillips durante un “Election Night Event” che si terrà la notte delle Elezioni Presidenziali americane. Altre iniziative sono presenti anche al nord del Paese: a Milano,  AmCham organizza l’“Election Night Warm Up”, una serata di networking, per Soci e amici della Camera con un’agenda ricca di interventi animati da speaker che descriveranno lo scenario politico americano e offriranno spunti di discussione e confronto sull’elezioni presidenziali. L’evento che è patrocinato dal Consolato USA, e che vedrà la partecipazione del Console Generale, Amb. Philip T. Reeker, sarà realizzato in collaborazione con Commissione Fulbright, Amerigo, Wharton Alumni Association e EasyMilano. L’appuntamento è per martedì 8 novembre alle ore 20 a Milano.A Napoli invece il Console Generale di fresca nomina, Mary Ellen Countryman segue gli avvenimenti e il  discorso con incipit accademico, iniziato al Dipartimento di Scienze Politiche :  grazie al Consolato Generale degli Stati Uniti d’America di  Napoli,  e’ così  partito il  seminario “La notte delle presidenziali”, con  la dott.ssa Dana Murray che ha relazionato con un intervento  dal titolo : ” The US Presidential Elections and their impact on the European Countries “, una esamina completa e onesta delle relazioni incontrovertibili che sussistono con molti Paesi europei, che non potrà  essere stravolta .Per tutta la vita Hillary Rodham Clinton ha lavorato per affermarsi come icona femminile nell’universo progressista degli Stati Uniti; dall’attivismo giovanile per la campagna presidenziale contro la guerra di Eugene McCarthy e più tardi per l’icona liberale George McGovern, alla grande propaganda del 1978, al fianco del marito Bill candidato a governatore dell’Arkansas.  Nel 1992, durante la  prima campagna presidenziale di Bill Clinton, ottenne un tale successo personale da giustificare lo slogan “Vota per il marito di Hillary”.  Nel 1993, ha poi rotto lo schema tradizionale della First Lady, diventando il principale attore politico della Casa Bianca dopo il Presidente, e forse anche al suo posto. Il grande dubbio dell’elettorato democratico si sposta quindi su un altro terreno: la percezione di larga parte della sinistra statunitense per la quale Hillary Clinton sia una candidata della macchina da guerra, erede del conservatorismo di Ronald Reagan ed espressione di un’ideologia fortemente pro-corporativa, e il dilemma diventa capire come si sia passati a tale configurazione . Diplomazia e gente comune è convinta che questo se non determinante rappresenti almeno una componente a favore di Trump, che poi la spreca inesorabilmente dichiarando le sue simpatie verso Putin, che se non all’opinione pubblica europea al palo delle attese post embargo, fa sicuramente perdere voti all’interno .La stessa opinione pubblica americana è in sintesi convinta che le perplessità verso il primo presidente donna siano proporzionali a quelle avute nei confronti del primo presidente di colore e alla fine ha vinto l’elemento sorpresa, che è la forza dell’ establishment e dell’innovazione. Ciò significa che è l’Europa a credere di meno alla vittoria di Hillary Clinton   e che lo scettro decisionale delle Presidenziali Usa e’ ancora una volta in mano ai giovani, come si evince dalle parole dell’Ambasciatore italiano a Washington Armando Verricchio: ” Dopo aver puntato al nuovo con Obama, adesso l’America si appresta a dover scegliere il successore del cambiamento, rinnovando anche il Congresso e non solo il Presidente degli Stati Uniti, in un grande esercizio di democrazia acceso e forte, che non risparmia confronti anche duri. Nel secondo dibattito tra i candidati, al di là dei toni accesi, sono emerse questioni profonde in campo economico e nel difficile compito della politica estera, ma gli elettori americani sanno separare i toni dai contenuti. Determinanti però  saranno i giovani in una America grande e diversa come sempre è  stata: le grandi metropoli restano un campione poco rappresentativo e le grosse aree limitrofe saranno determinanti,  con i giovani che restano i protagonisti e avranno le chiavi per eleggere il nuovo Presidente Usa “.Al centro della contesa resta intanto è resterà  anche dopo l’ipotetica elezione di Hillary Clinton, la questione della Fondazione Clinton, attiva da quindici anni, come parte dell’attivismo post-presidenziale di Bill Clinton, che ha raccolto circa 2 miliardi di dollari da finanziatori privati, corporazioni, in particolar modo Wall Street, e governi stranieri.  La Fondazione lavora principalmente in Africa e si occupa di HIV/AIDS, malaria, acqua e salubrità, sicurezza alimentare, cambio climatico.  Tutto ciò non è avvenuto senza controversie. L’operato della Fondazione Clinton ha rappresentato un conflitto di interessi per Hillary durante la carica di Segretaria di Stato, lo costituisce al momento come candidata presidenziale, e continuerà a farlo, eventualmente, come Presidente degli Stati Uniti d’America.  Da varie parti, viene chiesto ai Clinton di troncare tali relazioni e affidare la Fondazione a un trust indipendente e un manager di impeccabile reputazione.  Dal canto suo , Hillary Clinton ha dichiarato che, anche se vincitrice della contesa presidenziale, la Fondazione continuerebbe il suo lavoro senza alterare modalità e pratiche.  Per la Clinton la risposta a qualsivoglia preoccupazione etica generata dalla Fondazione è un incremento di trasparenza.  Esperti in etica legale affermano tuttavia che questa sola non sarebbe sufficiente e che, se Bill seguisse raccogliendo fondi da finanziatori privati e governi che hanno anche un interesse nella politica degli Stati Uniti, i cittadini avrebbero tutto il diritto di porsi domande sull’integrità delle scelte di governo: dalla sinistra americana infatti, la Fondazione vista alla stregua di uno strumento per scambi di denaro, favori, status e attenzione dei media.   Bernie Sanders ha definito la Fondazione “un sistema politico dominato dal denaro” dove la linea tra filantropia, affari e politica, è pericolosamente sottile. Gli analisti elettorali stimano un 20% di potenziale crossover fra democratici e repubblicani nella corsa alla presidenza degli Stati Uniti d’America.  Lo scontento sociale è bi-partisan e, mentre  Trump e’ visto piu’ incorruttibile ,  il rigetto pubblico della politica convenzionale colpisce duramente proprio Hillary Clinton. Trump ha il talento di capire cosa vuole l’elettorato e attira persone di tutte le età.  Il suo disprezzo delle regole suggerisce all’elettore medio americano la soluzione che porterà a casa i risultati.  Viene visto come un agente demolitore di un sistema retrivo, di cui Hillary è un’illustre esponente, ma la possibilità che vinca la contesa presidenziale è troppo facile per essere ritenuta la sorpresa finale tipica del sistema elettorale americano. Gli elettori democratici over 45 vedono i Clinton come i salvatori del Partito Democratico dell’epoca Carter-Mondale-Dukakis, che hanno fatto quello che dovevano fare quando nessun altro democratico poteva, e hanno archiviato la rivoluzione repubblicana di Newt Gingrich.  Gli elettori democratici under 30, considerano Hillary come la più fedele alleata di chi ha sostenuto Wall Street contribuendo alla crisi finanziaria ed economica, e come uno dei promotori della guerra in Iraq.  Fondamentalmente, viene identificata con tutto quello che vi è di sbagliato nel sistema: ma c’è una Hillary Clinton che vale la pena sostenere è  quella che sfida i pregiudizi di genere e lotta per la libertà delle donne di fare, essere e pensare, quella dell’intelligenza determinante in tutte le vittorie elettorali di Bill, quella che varca la soglia della Casa Bianca da donna politica e non da consorte, quella che punta il dito contro i poteri economici.  Questa è  l’aspetto desiderato dagli elettori democratici delusi . In una societa’ come quella statunitense quindi, l’elemento sorpresa e’ sempre stato presente nell’esito finale, coadiuvato dal fatto che nella mentalita’ di noi europei, la distanza tra il Partito Democratico e quello Repubblicano e’ molto piu’ grande per un fatto concettuale, mentre per gli americani non e’ cosi’: inoltre quando la  tanta nebbia e tonnellate di fango fanno parte del cammino elettorale di un Presidente degli Stati Uniti, sia esso alla fine di uno o dell’altro partito, stiamo sicuri  che alla fine tutto sbiadira’ in favore delle necessità  e delle contingenze, e il Presidente sara’ apprezzato per quello che è e per ciò  che saprà  dimostrare di fare, come del resto è  successo con Barack Obama.