Il diritto di parola a legioni di imbecilli? Non è colpa del web

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Dopo il ricevimento di un’altra laurea honoris causa (ormai anch’esse piuttosto svalorizzate) conferitagli dall’Università di Torino, Umberto Eco ha detto che internet e social network hanno dato il diritto alla parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino. In tal modo lo scemo del villaggio è diventato portatore di verità, anche se dice cose assurde. È stato subito ricordato che la nostra Carta costituzionale dà a tutti il diritto alla parola, senza distinguere tra intelligente, stolto, imbecille (che etimologicamente significa debole, fiacco). Ed è stato obiettato che non è vero che la quantità rovini la qualità, e che nel passato, nonostante che ci siano state invasioni di barbari nel tempio della cultura, la letteratura, la musica, le arti non sono venute meno, anche se sono cambiate (e quasi sempre non in meglio). È stato anche affermato che Umberto Eco esercita il suo spirito critico in modo generico ed approssimativo. Nel leggere quel che Eco dice sullo scemo del villaggio, viene spontaneo ricordare quel che Soren Kierkegaard dice sul garzone di cucina di una nave, il quale, dopo essersi impossessato, con il consenso di tutti, dell’unico megafono di bordo, dapprima trasmette notizie di poca importanza, mentre gli ordini del comandante impartiti con la sola voce vengono ignorati. Poi trasmette gli ordini del comandante, travisandoli completamente. Infine si impadronisce del comando della nave. Kierkegaard non dice che cosa poi sia avvenuta di questa. Se abbia proseguito il suo cammino, essendosi il garzone rivelato un buon comandante, o se, come sembrerebbe più probabile, sia andata alla deriva o se addirittura sia naufragata. Ma ci spinge a domandarci quale possa essere il futuro di una società nella quale portatori di verità siano gli imbecilli. In realtà questi esistono perché sono voluti dallo smisurato potere economico – industriale che guida la società, e considera a suo vantaggio che le verità delle quali gli imbecilli sono portatori nascondino le autentiche verità del vivere. La massa non si muove mai spontaneamente. A muoverla è sempre qualcuno, e sempre per suo interesse. Chi non vuol essere massa si distacca da essa e si isola, logicamente a suo rischio e pericolo. Chi muove la massa deve assicurare ad ogni suo componente beni materiali ed anche permettere di illudersi di essere portator di verità, confondendosi in esse. Gli imbecilli sono quelli che hanno in particolare questa illusione, che la società alimenta, per sostenere se stessa, ed anche per evitare che il sapere confluisca in una precisa sintesi, che aiuti a comprendere la verità sul vivere. Il garzone di cucina di Kierkegaard comunicava verità di poco conto. Lo scemo del villaggio non comunica invece verità, ma solo immaginazioni, non avendo saputo guardare in se stesso, non avendo saputo ascoltare gli altri, e quindi non avendo potuto ripensare nulla. Non possiede “scienza”, per dirla con Dante. Per questo non comprende che è un fantoccio nelle mani del potere economico-industriale che domina nel mondo, il quale sembra avviato verso quella barbarie che può essere evitata solo con un pensar ripensato.