Il divorzio breve e le altre procedure alternative al tribunale

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“L’amore è eterno finché dura” diceva qualcuno. Quando l’amore finisce non sempre, però, si esauriscono i rapporti con il proprio partner, soprattutto quando si parla di matrimonio e ancor di più di matrimonio con prole a seguito.

Spesso nell’immaginario comune si parla di separazione e di divorzio come di un’unica fattispecie, confondendoli tra loro.

Al contrario, ci si trova in presenza di due ben distinti istituti, seppure tra loro collegati.

In questo articolo proveremo a chiarificare alcuni loro aspetti onde rendere, per i non addetti ai lavori, più fruibili le varie procedure previste in caso di separazione e divorzio, per una delle quali (innanzi all’Ufficiale di Stato Civile) non è neanche necessario l’intervento di un legale.

Una delle problematiche che da sempre attanaglia la nostra Giustizia è certamente la endemica lentezza dei processi.

Il cittadino che vuole vedere riconosciuto un suo legittimo diritto è spesso costretto a sprecare tempo ed energia in giudizi caratterizzati da continui rinvii delle udienze di molti mesi se non, a volte, addirittura, di anni. 

A questa famigerata ‘regola’, purtroppo, non sfuggono neanche le cause affrontate dalle coppie che intendono, spesso non consensualmente, porre fine al proprio rapporto coniugale.

La lentezza della procedura, in questa particolare materia, è aggravata dalla circostanza che, per arrivare al tanto agognato “divorzio”, è necessario passare attraverso due distinte procedure: la procedura atta ad ottenere la pronuncia di “separazione dei coniugi” e la successiva procedura tesa ad ottenere una pronuncia di “cessazione degli effetti civili del matrimonio” (il c.d. “divorzio”).

L’intera struttura della procedura per ottenere il c.d. “divorzio”, si presenta, dunque, anche rispetto a tutte le altre procedure previste nel nostro ordinamento, per sua intrinseca natura, estremamente lenta e farraginosa.

Con la precedente disciplina, celebrata la prima udienza di separazione innanzi al Presidente del Tribunale, dovevano trascorrere almeno tre anni per poter depositare il ricorso di divorzio.  

Alla lunghezza e lentezza di tale procedura si è tentato di porre soluzione con la legge n. 555 del 6 maggio 2015 recante: “Disposizioni in materia di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio nonché di comunione tra i coniugi”.

La principale innovazione introdotta dalla suddetta legge è costituita dalla riduzione del termine di tre anni, precedentemente previsto, per poter proporre il ricorso di divorzio dopo la separazione.

In particolare, con la modifica dell’art. 3 della l. n. 898/1970, in luogo dei tre anni precedentemente previsti, in caso di separazione giudiziale, è sufficiente un anno per poter depositare il conseguente ricorso teso ad ottenere il divorzio. 

Il suddetto termine è ulteriormente ridotto a sei mesi nelle separazioni consensuali.

Tale termine sarà applicato a prescindere dalla presenza o meno di figli ed anche nei casi di separazioni nate inizialmente come contenziose e, successivamente, trasformate in consensuali.

In entrambi i casi, il termine decorre sempre dalla comparsa dei coniugi innanzi al Presidente del Tribunale, nella procedura di separazione personale.

Si è trattato, quindi, di una svolta epocale in termini di durata del processo anche se bisogna dire che l’intento dei promotori della legge era molto più ambizioso.

Infatti, nel progetto originariamente presentato, era addirittura prevista anche una forma di “divorzio diretto” percorribile dalle sole coppie senza figli, ma la proposta non è passata al vaglio del Parlamento.

Altra importante innovazione apportata dalla nuova legge è costituita dalla anticipazione, a norma dell’art. 2, del momento in cui è sancito lo scioglimento della comunione dei beni dei coniugi.

In precedenza, lo scioglimento della comunione dei beni era sancito dal passaggio in giudicato della sentenza di separazione, con la conseguenza, nel caso di separazioni giudiziali, di lunghissime attese.

Con la riforma, al contrario, tale scioglimento è anticipato al momento in cui i coniugi sottoscrivono il verbale di separazione, poi omologato, per le separazioni consensuali, mentre per le separazioni giudiziali lo scioglimento è anticipato, all’udienza di comparizione dei coniugi quando gli stessi vengono autorizzati dal Presidente del Tribunale a vivere separatamente.

La suddetta ordinanza, in entrambi i casi, sarà inviata all’Ufficiale dello Stato Civile che dovrà provvedere alla annotazione dello scioglimento della comunione dei beni sull’atto di matrimonio.

Da quanto esposto appare evidente che, con la legge n. 55 del 6 maggio 2015, non è stata introdotta alcuna procedura alternativa rispetto a quella ordinaria di divorzio ma, di fatto, si sono semplicemente ridotti i termini di attesa tra le due procedure necessarie ad ottenere lo scioglimento degli effetti civili del matrimonio.  

Pertanto, pur riconoscendo alla legge il merito di aver ridotto i tempi complessivi dell’intera procedura, con grandissimi vantaggi nei casi di separazioni e divorzi non contenziosi, bisogna anche sottolineare che la stessa, al contrario, ha inciso molto limitatamente sulla durata delle procedure giudiziarie contenziose.

In realtà, una vera e propria innovazione della materia, tesa alla riduzione dei tempi di durata delle procedure di divorzio, è stata invece introdotta con la legge n. 162 del 10 novembre 2014 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell’arretrato in materia di processo civile) la quale ha istituito due nuove modalità alternative di proposizione dei ricorsi di separazione e divorzio, che riducono notevolmente i tempi ed i costi di tali procedure.

Stiamo parlando delle separazioni e dei divorzi innanzi al Sindaco (quale Ufficiale dello Stato Civile) e quelle effettuate tramite negoziazione assistita.

In forza di tale norma, infatti, nel primo caso, i coniugi potranno evitare di rivolgersi al Tribunale per separarsi e/o divorziare potendo, raggiungere il medesimo risultato ricorrendo all’Ufficiale dello Stato Civile.

In forza dell’art 12 della suddetta legge, i coniugi possono, infatti, comparire personalmente di fronte all’Ufficiale dello Stato Civile del Comune per concludere un accordo di separazione, divorzio o di modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio.

La richiesta può essere presentata presso il Comune di residenza di uno dei due coniugi o quello dove è stato celebrato il matrimonio o, infine, presso il Comune dove è stato trascritto il matrimonio celebrato con rito religioso o all’estero.

Come appare immediatamente chiaro, si è in presenza di una procedura estremamente semplificata che riduce di molto i tempi procedurali ed i relativi costi. La stessa, però, non può essere utilizzata in tutti i casi.

La legge, infatti, esclude espressamente la sua applicabilità in tutti i casi in cui nella famiglia siano presenti figli minori, oppure maggiorenni incapaci o con disabilità grave o economicamente non autosufficienti.

Inoltre, l’accordo tra i coniugi non può contenere patti di trasferimento patrimoniale.

L’assistenza di un legale non è obbligatoria, come avviene in Tribunale, ma solo facoltativa; pertanto, entrambi i coniugi, o anche uno solo di essi, possono presentarsi direttamente dinanzi all’Ufficiale di stato civile per comunicare l’intenzione di concludere un accordo di separazione o di divorzio o di modifica delle precedenti condizioni di separazione o di divorzio, producendo tutti i documenti necessari a comprovare i requisiti e le condizioni prescritte dalla legge.

Una volta in possesso di tutti i documenti necessari, l’ufficio matrimoni stabilisce la data nella quale entrambi i coniugi dovranno presentarsi per rendere le dichiarazioni prescritte e per sottoscrivere il conseguente accordo.

Trascorsi trenta giorni dalla sottoscrizione dell’accordo, nel giorno concordato con l’ufficio matrimoni, i coniugi dovranno presentarsi per rendere all’Ufficiale di Stato Civile una ulteriore dichiarazione che confermi la validità dell’accordo. La mancata comparizione dei coniugi equivale alla mancata conferma dell’accordo.

Gli effetti dell’accordo si producono dalla data di sottoscrizione dello stesso.

 Nel caso in cui gli sposi non conoscessero la lingua italiana dovranno necessariamente essere assistiti da un interprete in tutte le fasi del procedimento.

L’interprete, munito di documento identificativo valido, dovrà previamente prestare giuramento ad adempiere fedelmente all’incarico ricevuto.

L’art. 6 della legge n.162/14 ha, altresì, introdotto un’ulteriore procedura alternativa a quella ordinaria: la separazione e/o il divorzio tramite la cd. negoziazione assistita.

Lo strumento della negoziazione può essere utilizzato, generalmente, in qualsiasi ipotesi di separazione, divorzio o modifica dei patti.

La negoziazione assistita, infatti, a differenza della separazione o divorzio davanti al Sindaco, può essere utilizzata anche in presenza di figli minori o maggiorenni non ancora autosufficienti.

La legge prevedeva, in passato, quale condizione per la sua applicabilità, che le parti dovessero essere unite in matrimonio. 

Il comma 35 dell’art. 1 della Legge n. 206/2021, ha, però, modificato la precedente disciplina, estendendo, a partire dal 22 giugno 2022, l’ambito di applicazione della negoziazione assistita anche alla soluzione consensuale delle controversie tra genitori relative all’affidamento e al mantenimento dei figli minori nati fuori dal matrimonio e dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti. 

In particolare, la suddetta norma ha espressamente stabilito che: “la convenzione di negoziazione assistita da un avvocato per parte può essere conclusa tra i genitori al fine di raggiungere una soluzione consensuale per la disciplina delle modalità di affidamento e mantenimento dei figli minori nati fuori del matrimonio, nonché per la disciplina delle modalità di mantenimento dei figli maggiorenni non economicamente autosufficienti nati fuori del matrimonio e per la modifica delle condizioni già determinate. Può altresì essere conclusa tra le parti per raggiungere una soluzione consensuale per la determinazione dell’assegno di mantenimento richiesto ai genitori dal figlio maggiorenne economicamente non autosufficiente e per la determinazione degli alimenti, ai sensi dell’articolo 433 del codice civile, e per la modifica di tali determinazioni”.

Lo strumento della negoziazione non può essere utilizzato nei casi in cui la coppia intenda concordare di versare l’assegno divorzile in un’unica soluzione in quanto l’art. 6 non prevede espressamente la possibilità di effettuare la necessaria valutazione   di   congruità prevista dall’ art.  5, comma 6, della legge n.   898/70.

Chiaramente, in caso di divorzio, è necessario, come per la procedura ordinaria, che i coniugi, dopo la separazione, abbiano continuato a vivere separati per almeno sei mesi e non si siano riappacificati. 

Il primo passo da compiere in tale procedura, consiste nell’invio, da parte del legale della parte interessata, di una comunicazione formale all’altra parte.

Con tale comunicazione si dichiara di voler procedere alla risoluzione della questione tramite la negoziazione assistita stipulando un apposito accodo, detto convenzione di negoziazione assistita, con la quale vengono stabiliti i tempi e le modalità di effettuazione della procedura.

All’altra parte è concesso un termine perentorio di 30 giorni per poter rispondere.

Se l’altra parte non risponde o dichiara di non volere stipulare la convenzione, in forza dell’art. 4 della legge 162/2014, tale comportamento “…può  essere  valutato  dal  giudice  ai  fini  delle  spese  del  giudizio  e  di  quanto  previsto  dagli  articoli  96  (lite temeraria) e 642, primo comma, del codice di procedura civile”. 

In   sostanza, il coniuge che non risponde alla richiesta o non aderisce rischia, nel successivo giudizio contenzioso, di essere condannato al pagamento delle spese di lite sostenute dalla controparte.

Se, al contrario, l’altra, nel termine sopra indicato, aderisce all’invito a stipulare la convenzione, le parti, assistite dai rispettivi legali, sottoscrivono la convenzione e cominciano le negoziazioni secondo le modalità previste nella suddetta convenzione, in genere incontrandosi tra loro.

Chiaramente, il coniuge che dichiara di aderire alla convenzione non è in alcun modo obbligato ad accettare le proposte di controparte.

Di conseguenza, l’accordo, dopo l’avvenuta adesione alla convenzione, nonostante le intercorse trattative, può anche non formarsi, senza che tale risultato comporti alcuna conseguenza a carico del coniuge che abbia aderito alla convenzione.

La durata della procedura non può essere inferiore ad un mese e superiore a tre mesi, con possibilità di proroga di trenta giorni, per una durata massima di quattro mesi.

Se l’accordo non viene raggiunto, non resta altra strada, per il coniuge che ne ha interesse, che rivolgersi al Tribunale.

Una volta raggiunto l’accordo, questo deve essere sottoscritto dalle parti e dai legali, che autenticano anche le firme dei rispettivi clienti, e depositato presso l’Ufficio della Procura della Repubblica presso il Tribunale competente per territorio secondo le regole processuali ordinarie, unitamente a tutta la necessaria documentazione probatoria.

A questo punto, la procedura differisce in relazione alla circostanza se i coniugi abbiano figli minori non autonomi, o non ne abbiano.

La Procura, infatti, emette un “nullaosta” se non vi sono figli, mentre emette una “autorizzazione” se, al contrario, vi sono figli minori o maggiorenni ancora non economicamente autosufficienti.

Nel primo caso, il “nullaosta” viene rilasciato sulla base di un controllo di mera regolarità formale della documentazione depositata dagli istanti.

Al contrario, in presenza di figli, il Procuratore della Repubblica ha ex lege il dovere di verificare la corrispondenza degli accordi dei coniugi agli interessi dei figli.

 Ove questi ritenga che l’accordo sottoposto non sia conforme agli interessi della prole, non emettere il provvedimento di autorizzazione ma “trasmette l’accordo, entro cinque giorni, al Presidente del Tribunale che fissa, entro i successivi trenta giorni, la comparizione delle parti e provvede senza ritardo” 

Sentiti i coniugi, il Presidente del Tribunale decide se autorizzare la trascrizione dell’accordo raggiunto dai coniugi o rifiutare tale autorizzazione.

Nel corso della udienza di comparizione, i coniugi potranno, in ogni caso, modificare il loro accordo secondo le indicazioni del Presidente affinché questi lo possa accettare.

Infatti, solo i coniugi possono variare il contenuto dell’accordo, mentre il Presidente non ha tale potere, potendo soltanto accettarlo o rifiutare di emettere il provvedimento di autorizzazione.

Nel caso in cui venga negata l’autorizzazione, la procedura si estingue senza essersi perfezionata ed i coniugi dovranno, conseguentemente, riprendere ex novo questa o altra procedura.

Una volta concessi il “nullaosta” o “l’autorizzazione”, i legali della coppia devono provvedere a trasmetterla, unitamente ad una copia conforme dell’accordo autenticata dagli stessi legali, entro 10 giorni da tale data, all’Ufficio del Registro degli Atti di Matrimonio del Comune di celebrazione del matrimonio della coppia, chiedendone l’annotazione.

Il suddetto Ufficio non ha alcun potere di sindacare il contenuto degli accordi autorizzati dal Procuratore della Repubblica limitandosi, quindi, ad annotare gli stessi.

La trascrizione dell’accordo di divorzio nel registro del matrimonio, ha lo stesso valore giuridico di una sentenza di divorzio emessa dal Tribunale.

Concludendo, si può desumere da tutto quanto sopra esposto, che gli strumenti ad oggi posti in campo dal legislatore hanno certamente ridotto di molto la lunghezza delle procedure necessarie ad ottenere il divorzio, tanto che l’applicazione della negoziazione assistita è stata, come visto, ampliata, a partire da quest’anno, anche alle coppie di fatto.

Molto vi è, però, ancora da lavorare in tutti quei casi in cui le procedure, siano esse di separazione o divorzio, sono caratterizzate dalla litigiosità e dal disaccordo dei coniugi.

In tali casi, infatti, appare, purtroppo, complicato ipotizzare l’utilizzo di procedure alternative oltre quelle già previste dalla legge e, conseguentemente, l’unica via apparentemente possibile da un punto di vista tecnico, sembra essere esclusivamente quella di incidere sulla durata strutturale dei processi.

Operazione questa, ad oggi, più volte tentata da molteplici riforme del processo civile, ma mai veramente realizzata, anche perché spesso tali strumenti finiscono per essere eccessivamente limitativi della possibilità delle parti di accedere ai processi o di ottenere un giusto processo.

Avv. Raffaele Anatriello