Il governo sorvola sul dramma del debito pubblico

di Pietro Di Muccio de Quattro
Comitato scientifico di Società Libera

In un terrificante articolo, che il ‘Corriere della Sera’ ha pudicamente confinato nel ‘Corriere economia’, Alberto Brambilla e Chiara Appolloni dimostrano per tabulas che o viene ridotto il debito pubblico o non c’è futuro per i giovani. Ma per la verità, aggiungo io e loro lasciano intendere, non ci sarà futuro per l’Italia intera. Invece, con ineffabile sfrontatezza, il primo ministro spande ottimismo e sembra in stato confusionale riguardo alle cifre, che egli manipola estrapolando i dati che gli si confanno e tralasciando quelli riottosi alla sua bacchetta magica. Renzi, quanto alle poste del bilancio, si comporta come i grandi illusionisti che fanno scomparire dal palco persino gli elefanti. In effetti il debito pubblico è un pachiderma che al governo conviene ignorare per ingannare il popolo, specialmente quella parte del popolo, intellettuali e giornalisti compresi, che lo assecondano creduli. Scrivono dunque i Nostri: “Dal terzo rapporto sul sistema previdenziale italiano risulta che su 826 miliardi di spesa totale (compresi gl’interessi sul debito) per il 2014, ne sono stati spesi ben il 53% tra pensioni, sussidi, sanità, assistenza e provvidenze varie.” Questo non è il volume di spese d’un semplice fiume, ma la portata del Rio delle Amazzoni, Nilo, Mississippi e Fiume Azzurro assieme. A causa di questo diluvio di spese il debito che ogni anno carichiamo sulle spalle della nazione aumenta di cifre paurose, sempre più insostenibili, che schiacciano persino la speranza di una ripresa.

Nel 2013 il debito era di 2.068 miliardi. L’anno dopo, 2014, era salito a 2.134 miliardi (+66 miliardi!); nel 2015, a 2.169,9 (+35 miliardi!); nel febbraio 2016, a 2.214,9 (+45 miliardi!).  In barba a tutte le dichiarazioni e a tutte le slides e a tutti i twit e a tutti i telecomizi in stile Kim-Iong-un, la realtà dei nostri conti pubblici è semplicemente disastrosa, se, nonostante le manovre, gl’incentivi, le regalie, i sussidi, insomma le cure ricostituenti o pretese tali del Governo, il debito pubblico cresce in media di circa 50 (cinquanta!) miliardi all’anno. La situazione della Repubblica è preagonica e prefallimentare.  Per cercare di trarla da tale condizione, il Governo si consuma e s’intestardisce in riforme elettorali e costituzionali che non solo non toccano la radice del problema ma fanno credere a una palingenesi che richiede invece interventi coraggiosi sulla struttura amministrativa ed economica, anziché fughe in avanti verso pericolosi ritocchi nell’assetto dei poteri.

Il Governo continua ad indebitare la nazione per distribuire doni a carico del debito pubblico, nella vana speranza che tale spesa improduttiva risvegli la produzione di beni e servizi. Ma le dosi di droga al drogato cronico non lo inducono a disintossicarsi né ne procurano la guarigione. Un grande monito del nostro maestro di libertà, David Hume, afferma che o la nazione distrugge il debito pubblico o il debito pubblico distrugge la nazione. Il Governo è responsabile, oltre che d’ignorare Hume, di cieca inerzia di fronte allo scivolamento dell’Italia verso il baratro del fallimento, coltivando una fede ingiustificata nel recupero di livelli di produzione e consumi in grado di accrescere Pil e entrate che facciano calare il rapporto con il debito. Intanto, continuano a svuotare il debito e le spese con il paniere della buona volontà.