Il kintsugi per le ferite del mondo

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di Ugo Righi

ll kintsugi (金継ぎ AFI: [kʲĩnt͡sɨᵝɡʲi]), o kintsukuroi (金繕い), letteralmente “riparare con l’oro”, è una pratica giapponese che consiste nell’utilizzo di oro o argento liquido o lacca con polvere d’oro per la riparazione di oggetti in ceramica (in genere vasellame), usando il prezioso metallo per saldare assieme i frammenti. La tecnica permette di ottenere degli oggetti preziosi sia dal punto di vista economico (per via della presenza di metalli preziosi) sia da quello artistico: ogni ceramica riparata presenta un diverso intreccio di linee dorate unico ed irripetibile per via della casualità con cui la ceramica può frantumarsi. La pratica nasce dall’idea che dall’imperfezione e da una ferita possa nascere una forma ancora maggiore di perfezione estetica e interiore.

Di fatto, in pochissimo tempo, ci siamo trovati dentro uno scenario da incubo, dove il mondo è completamente cambiato definendo nuove abitudini e costringendo ad abbandoni anche dolorosi.
Si ampliano anche i classici divari tra chi stava bene, chi meglio, chi peggio, chi male. Ci sono crepe ora ferite profonde, forse in attesa del kintsugi ma anche di definitive voragini.  Occorre certamente, tra tante cose che vanno cambiate, per forza e per logica, ribaltare il modo di vedere e trattare i gap.
Nel passato il gap era la variazione da ripristinare, dove, come affermavo in uno scritto precedente, il ripristino,spesso, rappresentava il vero problema mascherato da soluzione. Nel passato i gap di conoscenza erano, spesso, colmati da modelli di gestione compensatori.
Ora occorre guardare diversamente le fenditure e considerarle inevitabili e provare a riempirle di nuovi valori ,o anche di vecchi, dove però la novità stia nella consistenza e schiettezza nel sentirli e nell’agirli.
È il kintsugi, la metafora che propongo, ma serve l’oro e servono abilità e visione. Il valore della dimensione collettiva è inevitabile ma credo che si stia definendo maggiormente quello dell’individuo come plus.
Mi spiego: la valorizzazione del team rimane, ma occorre che il gruppo generi soggetti singoli capaci di maggiore autonomia e sicurezza soggettiva in grado di poter agire nei confronti dell’incertezza oggettiva del mondo.
Soggetti che siano in grado di stare dentro, ma capaci di stare fuori, capaci di stare insieme ma anche da soli, dove la solitudine non sia isolamento ma riflessione e ricerca per poi tornare insieme sempre. Il cercatore di funghi studia con altri, ragiona sul terreno ma poi trova da solo.
E ritorna con i funghi per tutti.
Per “riempire” d’oro le ferite occorrerà sempre più incrementare la nostra voglia di vivere, capire più in profondità e saper agire.
Dobbiamo accettare, con energia utile, che la complessità è permanente e che quindi diventa permanente il cambiamento e allora anche l’apprendimento e la rinuncia alle certezze sono permanenti. Diventa permanente l’incertezza e con essa la minaccia e la paura.
Tutto è permanente e lo è simultaneamente. È un lusso che non possiamo più permetterci quello di avere nei ruoli di potere, nelle posizioni di comando, anziché delle guide e degli esempi delle patetiche caricature, delle ombre che oscurano le fenditure e rendono difficile riempirle d’oro.
Ci sono ferite, ma possiamo vedere bagliori se riduciamo le ombre.