Il no al coprifuoco e le abitudini del popolo italico

La velocità con cui gli Italiani hanno aderito alla petizione contro il coprifuoco, la dice lunga sul popolo italico e induce a pensare che solo un miracolo ci salverà da una ulteriore ondata di COVID in piena estate, massino metà settembre. A meno che il piano vaccinale fili così spedito da assicurarci la parziale immunità di gregge.
Germania e Francia mantengono diverse chiusure, la GB invece ha aperto ma il livello di vaccinazione della popolazione supera il 60% e il lock-down è stato di cinque mesi ininterrotti. Senza dire dei controlli rigidi, cui oggi si aggiunge la multa di 5000 sterline a chiunque si rechi all’estero senza giustificato motivo.
Da noi invece, dopo un lockdown post-natalizio di un paio di mesi e controlli barzelletta, riapre tutto quantunque contagi, morti e terapie intensive siano ancora alti. Ma agli Italiani non basta: chiedono di abolire anche il coprifuoco, per cui, se chiudi alle 23,00, le strade si svuoteranno non prima dell’una di notte.
Roma Milano e Napoli non sono Londra, né noi inglesi.
Lì i ristoranti fanno due turni e se ti attardi i camerieri si avvicinano e ti fanno alzare, con cortesia ma decisione. Immaginiamo cosa succederebbe in qualunque ristorante di Napoli, Roma, Foggia, Milano o ai Navigli, Mergellina, Fregene.
In quel Paese, culla della democrazia, la polizia ha sciolto, manganelli alla mano, il corteo di protesta per la morte di una donna violentata da un poliziotto perché violava il divieto di assembramento. Inimmaginabile in Italia, dove per la multa inflitta ad un genitore che violava il divieto di andare in bicicletta col figlio si sono aperte le cateratte del cielo.
Ponte Milvio a Roma, il lungomare di Napoli, La Galleria a Milano sono da giorni tornate usuali centri di ritrovo, di giovani e meno giovani, come le vie dei centri storici.
Sui controlli non c’è da fare affidamento; durante tutti i lock-down sono stati pressoché nulli soprattutto nei supermercati dove, ora sappiamo, più di qualcuno aveva ragione a dire che le norme sanitarie erano disattese.
Verrebbe da chiedersi perché sono stati rari, superficiali e solo a carico dei Carabinieri? dove stavano le Polizie municipali?
La risposta è sempre la stessa: va affrontata la crisi economica ma domanda e risposta sono manipolatorie.
La crisi del sistema produttivo italiano data decenni e il COVID è usato per sovvenzioni e ristori a pioggia anziché finanziamenti, magari a fondo perduto, ma strettamente vincolati a ristrutturazioni e ammodernamenti.
Il COVID ha fatto impennare la crisi e sta schiantando il nostro sistema industriale ma è altrettanto vero che questo era già in ginocchio da anni per eccesso di pubblico in Economia, pavidità dell’imprenditoria privata, burocrazia bolscevica, normativa autolesionista sul lavoro, sistema fiscale predatorio.
In nessun paese UE le fabbriche si sono fermate durante i lock-down, tanto meno i lavori pubblici di manutenzione di strade ed edifici e le ristrutturazioni delle proprietà private. Il traffico ridotto al minimo è stato usato come volano per tempi e qualità di esecuzione dei lavori. Quanto allo smart-working ha creato nuove occasioni invece da noi nuove rimostranze.
Quanto alla classe politica le è mancato il coraggio.
Le scuole materne ed elementari non andavano chiuse per niente; quelle superiori andavano svolte per metà in DAD e metà in presenza, a rotazione per assicurare interrogazioni e compiti in classe.  Quanto all’università, l’abbiamo definita per anni un esamificio ma non siamo riusciti neppure a mettere a reddito questa sua triste condizione per farne, in tempi di COVID, una risorsa.
All’inizio della pandemia l’Italia aveva stupito il Mondo, sappiamo come è andata.
Dovevamo salvare l’industria estiva, quella che dovrebbe essere il fiore all’occhiello di un paese con 7000 km di coste ma, tranne oasi felici, offre servizi inferiori a quelli dei Balcani, forse anche di alcuni dell’Africa Mediterranea.
Tanto per fare un esempio: questa industria ha conosciuto il POS solo perché costretta, durante il secondo lock-down, come i bar e i negozi al dettaglio di generi alimentari. Perché da noi il pagamento elettronico non è obbligatorio e spesso viene rifiutato se il prezzo è inferiore ai 5 euro. Poi qualcuno ha scritto che il denaro è lo spargibacilli per eccellenza e qualcosa è cambiato.
Da noi mancano senso di responsabilità civile e rispetto della legge, in compenso dilaga la demagogia e l’evasione fiscale.
La pandemia è stata terribile e i suoi numeri fanno ancora temere meno però del comportamento che terremo nei prossimi tre mesi.
E infine: il COVID ha messo in luce il nodo del rapporto fra Politica e zoccolo duro del consenso politico italiano, dimostrando che nessuno è in grado di liberarsi dalla sudditanza verso un sistema di distribuzione che sta stallando sotto la pressione dei costi e la spinta di nuove abitudini individuali e collettive.
Questa sudditanza ha portato l’Italia a chiudere per ultima, in UE, i centri storici e mai del tutto, visto che i residenti stentano a parcheggiare le proprie auto per i tanti permessi rilasciati agli esercizi commerciali (quasi proprietari, commessi e fornitori non possano prendere i mezzi pubblici).
Quella sudditanza è la stessa che consente a furgoni, camioncini e camion di caricare e scaricare merci 24/6, senza limite orario ma effetti devastanti su traffico e parcheggi. Ovunque, non solo nei centri storici.
Il maggior ricorso al delivering è stata un’occasione che l’Italia ha colto ma i Comuni si sono guardati dal prendere iniziative che ne evitassero l’esercizio all’italiana ossia selvaggio. Costerebbero voti.
Detti i peccati lascio ad altri farsi l’dea dei peccatori.