di Achille Flora
“Il mare non bagna Napoli” è il titolo di un famoso libro della Ortese, che sintetizza il rapporto tra Napoli e il suo mare, fatto di muri e separazioni rigide che ne hanno reso complicata anche la semplice balneazione, tra spiagge privatizzate di parchi e ville degradanti verso il mare.
Non è, però, solo un problema di balneazione. La posizione di Napoli e del Mezzogiorno nel Mediterraneo, rappresenta un potenziale fattore di sviluppo, per il ruolo strategico che i porti meridionali potrebbero giocare in quest’area, sia intercettando i flussi commerciali che attraversano il Mare Nostrum, proponendosi come un Hub d’interscambio, sia per le relazioni che si potrebbero instaurare tra i nostri sistemi produttivi e le aree del Nord-Africa e medio-orientali. Una prospettiva rafforzata dal raddoppio del canale di Suez, stimolata dalla prevalenza del trasporto marittimo negli scambi commerciali e le potenzialità del progetto cinese della Belt and Road o Nuova via della seta.
Purtroppo, tale linea espansiva dei commerci e delle sue potenzialità di sviluppo è, oggi, frenata dalla “Tempesta Perfetta” che si è abbattuta sull’economia mondiale. Gli effetti della pandemia da Covid, unitamente a quelli della guerra russa all’Ucraina, stanno rallentando il commercio mondiale e la sua componente di scambi marittimi, con chiusure dei porti e strozzature nelle Catene globali del Valore, effetti inflattivi sul costo dei noli e delle materie prime, producendo un ripensamento della distribuzione internazionale dei cicli produttivi, con effetti di rientro (reshoring) delle imprese allocate fuori dei confini nazionali. Tutto ciò in uno scenario di ridimensionamento della stessa globalizzazione, ridefinendola in ambiti geografici più prossimi in dimensioni regionali.
Due progetti nazionali (il PON “Infrastrutture e Reti” 2014-20 e il Piano Nazionale Strategico della portualità e Logistica), sembrava avessero le potenzialità per una svolta nella direzione di un ruolo crescente nel Mediterraneo. Così non è stato, perché non è stato sufficiente riorganizzare la governance dei Porti e destinare nuovi investimenti al potenziamento delle infrastrutture. Quello che manca è un coordinamento tra le diverse istituzioni per intervenire sui punti critici di questo disegno espansivo.
Servono interventi per attivare una svolta effettiva centrata sull’intermodalità, in un’ottica di accelerazione dei tempi e riduzione dei costi dei trasporti, all’interno degli obiettivi del PNRR di risanamento ambientale e digitalizzazione dell’economia. Il trasporto merci, in Italia, avviene all’80% su strada attraverso i TIR, altamente inquinante, mentre quello ferroviario, più rispettoso dell’ambiente, rappresenta appena l’11%, con la maggioranza dei Porti senza un collegamento diretto con le ferrovie. Solo il 25% delle banchine portuali è collegato direttamente alla rete ferroviaria, percentuale che cala al 6,3% nel Mezzogiorno. Così come mancano collegamenti tra gli interporti e i porti e tra i sistemi produttivi, oramai in prevalenza allocati in aree periurbane. Il piano di potenziamento delle reti ferroviarie, con investimenti delle FS per 190 miliardi in dieci anni, con il 60% destinato al Centro-Sud, ha un orizzonte realizzativo troppo lungo, tanto da rendere urgente l’attivazione delle vie del mare.
Napoli, nella sua dimensione metropolitana, è una città caotica, con una eccessiva concentrazione di popolazione e una densità abitativa molto elevata. Cresciuta nella sua dimensione metropolitana sotto le spinte delle forze di mercato, con un rilevante fenomeno di abusivismo edilizio che ha prodotto una fitta conurbazione carente di servizi sociali e un trasporto pubblico, che, pur in presenza di potenti flussi di pendolarismo, è allo stremo.
Il libro di A. Belli (Napoli 1990-2050. Dalla deindustrializzazione alla transizione ecologica, Guida 2022), chiamando a raccolta 32 studiosi ed operatori sociali a riflettere sul futuro di Napoli, ha voluto rappresentare uno stimolo ad una riflessione alta sul futuro strategico dell’area metropolitana di Napoli, a partire dal suo ruolo nel Mediterraneo. Si tratta di riaprire le porte della città al suo mare, di non fermarsi al vantaggio della sua posizione geografica ma di rinforzarla attraverso politiche (territoriali, urbanistiche, infrastrutturali, industriali) in grado d’integrare ogni singolo intervento in un progetto di potenziamento dell’accessibilità da e verso l’esterno, dando alle imprese locali una prospettiva di sviluppo nel risanamento ambientale.
Il tema sarà approfondito in un seminario, oggi pomeriggio dalle 16,30 a palazzo Gravina presso il DIARC, con M. Russo, M. Cerreta, A. Flora, A. Panaro, M. Clemente, E. Forte, P. Spirito e A. Giannola.