Il “regalo” della Bce

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di Giuseppe Coco

Mercoledì scorso la Bce ha rialzato i tassi principali che controlla dello 0,5%, portando il tasso di rifinanziamento principale presso la stessa Bce al 2,5%. Le conseguenze non si sono fatte aspettare. Essendo in parte inattesa, la mossa ha prodotto un calo nei mercati azionari di tutta Europa, un aumento dei tassi sui titoli pubblici, ma anche un allargamento dello spread per i paesi più fragili, il nostro in testa. Anche le reazioni politiche non si sono fatte attendere, si parla di sgradito ‘regalo’ agli italiani e della prevalenza politica dell’ala dei ‘falchi’ nel Consiglio della Bce. Poco e male si discute invece di quanto sia opportuna, o addirittura obbligata, questa decisione.
Per gli economisti cresciuti (scientificamente) come me negli anni 80, ma anche per molti non economisti che hanno vissuto in maniera informata le politiche economiche degli anni 80, niente è risultato più sorprendente del cambio di regime monetario che si è verificato in questo secolo. Una inflazione stabilmente bassa nonostante politiche monetarie stabilmente espansive, con tassi a zero e bilanci pubblici espansivi in quasi tutti i paesi (una espansione dei debiti pubblici su scala mondiale che non ha precedenti nella storia tranne in guerra) sembrava un fenomeno impossibile. Si trattava sicuramente di una transizione secolare. Ben Bernanke, il Presidente della Fed cui viene attribuito il salvataggio dell’economia americana, pensava che la forza sottostante fosse l’eccesso di risparmi su scala mondiale dovuto forse all’invecchiamento della popolazione in tutti i paesi. Al di là delle spiegazioni, la crisi finanziaria del 2008 fu affrontata dagli Stati Uniti, abbandonando velocemente le ortodossie in materia di politica monetaria. Una valanga di liquidità si è abbattuta sui mercati con la Fed che comprava (o finanziava l’acquisto) praticamente di tutto. La Bce era invece rimasta bloccata su posizioni più conservatrici, sia perché la crisi non sembrava riguardare l’Europa inizialmente, sia perché si temeva che una politica di moneta facile avrebbe incoraggiato l’irresponsabilità fiscale di alcuni paesi ad alto debito. La Bce ha cambiato atteggiamento solo con l’avvento di Mario Draghi al vertice, a seguito dell’assunzione di un atteggiamento fiscale più responsabile del governo italiano. Quella vicenda, oltre a produrre danni enormi all’economia europea, e un incremento notevole del debito pubblico italiano per soli interessi, ha anche dimostrato a fragilità del progetto ‘euro’ e la natura necessariamente politica della moneta.
In ogni caso, anche se in tempi diversi, la crisi finanziaria ha inaugurato un cambio paradigmatico forte, con la presunzione che le Banche Centrali avrebbero tenuto i tassi bassissimi per un tempo prevedibilmente lungo, salvo perturbazioni. Nell’area euro nessuno ha beneficiato più dell’Italia di questo regime. Il nostro elevato debito pubblico infatti ci espone molto più di altri paesi a rischi di instabilità con tassi di interessi elevati. Gli spread, che paghiamo, sono sistematicamente più contenuti quando i tassi sono bassi. Questo ci ha consentito molto a lungo un piccolo spazio di bilancio, nonostante il nostro elevato debito pubblico. Ma ci sono anche problemi con tassi di interesse bassissimi. Uno ha un carattere generale: non c’è remunerazione per i risparmi salvo per investitori sofisticati che però possono assumere anche rischi ‘particolari’, ad esempio in mercati innovativi o in strumenti esoterici, come le criptovalute. Tassi bassissimi e moneta facile poi incoraggiano l’indebitamento, ma stranamente pochissimo di questo fiume di denaro è transitato all’economia reale, probabilmente per una mancanza di domanda di crediti. Esso ha sostenuto l’attività e i mercati finanziari, entrati subito in un’altra bolla. Inoltre ci sono forti differenze tra le esigenze dei diversi paesi dell’area euro. Politiche ottimali per la Germania, Polonia e paesi baltici in questo decennio sicuramente non avrebbero implicato tassi zero. Le nostre discussioni sulla Europa matrigna trascurano sistematicamente il fatto che per quasi un decennio le politiche monetarie sono state principalmente orientate a stabilizzare l’Italia e altri paesi ad alto debito (e con essi l’area finanziaria).
Ma tornando alla Bce, possiamo considerare restrittivo un tasso del 2,5 quando l’inflazione nell’area euro ha raggiunto negli ultimi mesi la soglia del 10 per cento su base annuale? In teoria questo implica un tasso di rifinanziamento reale del -7,5%, ovvero chi prende soldi dalla Bce al 2,5 ripaga tra un anno una somma che in termini reali vale molto meno della somma prestata. Tassi reali così bassi sono giustificati solo in una prospettiva di rientro veloce dell’inflazione, fatto su cui c’è una incertezza radicale. L’inflazione di cui facciamo esperienza è sicuramente frutto della guerra e dell’inflazione sui beni energetici, ma l’inflazione a due cifre degli anni 70 è partita alla stessa maniera. Le condizioni sono certamente diverse, ma oggi serve una grande arroganza per raccontarci che questo episodio inflazionistico si sopirà senza interventi monetari decisi come quello di mercoledì. E come soleva dire Carlo Azeglio Ciampi (sempre ricordato tranne quando diceva cose spiacevoli) l’inflazione è ‘come il dentifricio. Una volta fuori dal tubetto è maledettamente difficile ricacciarla dentro’. Inutile negarci che questa svolta crea dei problemi all’Italia, ma da un lato fare affidamento su tassi di interesse bassissimi sine die è assurdo e rivela l’assenza di una strategia di uscita dal nostro problema principale. Dall’altro ricordiamoci che, essendo parte del nostro debito bloccato a tasso fisso, con l’inflazione in corso abbiamo beneficiato di una svalutazione di parte del debito stesso. Dopodiché l’inflazione è un pericolo incombente serio ed è necessario affrontarlo prima che vada fuori controllo, quindi ha fatto bene la Bce, ancora con moderazione, ad alzare i tassi. Ora tocca a chi ha la responsabilità della politica fiscale mostrare che si prende seriamente in considerazione le nostre esigenze principali: la crescita e la stabilità del debito. Anche e soprattutto scontentando le varie lobby che, democraticamente, chiedono quello per cui hanno votato: impunità fiscale, privilegi e compensazioni varie.