Il rifiuto del declino italiano

L’Italia è una ormai evidente vittima della globalizzazione, che viene comandata solo da chi ha una vision precisissima del proprio Paese, ha accesso a informazioni molto riservate, da quelli poi che ne sanno sfruttare rapidamente e sapientemente le sue continue asimmetrie, da quei Paesi infine che impongono il loro gioco con una vasta gamma di “strategie indirette”.
Sono le dimensioni dello spazio di battaglia di questa nuova, infinita, “guerra senza limiti” che si combatte senza sparare un colpo.
La non sovranità sul proprio spazio nazionale, ormai sancita da patti leonini sulle acque territoriali con la Francia nel Febbraio dello scorso anno, o con i nuovi confini tra Italia e Slovenia sul torrente Barbucina, poi la assoluta insipienza, malgrado la professionalità del ministro Minniti, nella tardiva risposta alla crisi epocale delle migrazioni dall’Africa subsahariana, sono tutti segni che il nostro Stato, avendo perso al gioco della globalizzazione, sta perdendo anche le finalità hobbesiane per cui nascono tutti i Sovrani: proteggere la vita, la proprietà, la libertà dei propri cittadini.
Oggi, chi perde non va a Versailles col cappello in mano, viene semplicemente spazzato via.
Chi perde quindi la partita della mondializzazione, si sfarina e diventa una massa indistinta di losers, di “perdenti”, in alto come in basso, chi invece ha vinto diviene uno Stato-nazione di nuovo tipo che assorbe e egemonizza i suoi vicini.
Per non parlare qui delle tensioni sul valore esterno dell’Euro e le complesse manovre sui titoli del debito pubblico.
Chi comanda davvero comanda anche ai mercati finanziari, non aspetta che si facciano vivi, ci parla ogni giorno e si sa imporre.
Ecco, la seconda repubblica, come la si chiama con qualche esagerazione, per l’Italia è stata solo una corona di spine.
Nata con una truffa, quella dei politici “onesti” contro quelli “ladri”, finirà, diversamente da come diceva Ezra Pound, with a whimp non with a bang, con un vagito con con uno scoppio.
E continuerà ad esserlo, sciocca corona di spine, mentre i governi che si succederanno crederanno ad un fato ineluttabile o a quello che Saragat, un grande ma oggi dimenticato leader politico, chiamò il “destino cinico e baro”.
La corruzione dilagante, che nel passaggio tra Prima e Seconda Repubblica è semplicemente passata dalla classe politica a quella amministrativo-burocratica, la crisi ecologica, come gli immani incendi di questi giorni, la crescita economica che riguarda solo l’export e solo al 18%, la povertà di massa, tensioni che mai verranno modificate da queste crescite economiche asfittiche, sono tutti segni che siamo oggetto e non soggetto di strategie globali decise da altri, anzi, di cui i nostri governanti nulla sanno.
Finché ci saranno queste élites rappresentative, il popolo, schifato, voterà altrove, mentre le classi dirigenti, superficialmente globalizzate, si unificheranno, ma perdendo progressivamente ogni potere.
La Chiesa Cattolica risponde quindi, con il Papato di Francesco, un Vescovo di Roma che viene dall’Argentina, terra anch’essa di globalizzazioni fallite e di disastri economici indotti dal mix di eterodirezione e classi politiche parassitarie, al nuovo scenario globale.
La Chiesa Cattolica, lo dimostra il recentissimo saggio di P. Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, che ha giustamente fatto molto rumore nel mondo culturale e politico attuale, capisce benissimo qual è la vera posta in gioco.
La Chiesa di Francesco, in questa prospettiva, cambia completamente il proprio modello di evangelizzazione.
Ovvero, detto in estrema sintesi, il cattolicesimo giuoca oggi il suo nuovo ruolo globale, da vincitore anch’esso della mondializzazione, a favore di tutti.
E soprattutto di Paesi e popoli che stanno perdendo questa partita.
Papa Francesco, è qui non è affatto estranea la sua formazione da Gesuita, vuole trasformare, su un piano di eguaglianza, la Chiesa di Pietro in una Chiesa, anche fisicamente, universale.
Mai più farsi identificare come “parte dell’Occidente”, ma come Cuore sofferente di Cristo in tutta l’umanità.
Vengono in mente i Gesuiti che paragonavano dottamente le mitologie Sioux e Cheyenne a quelle Trinitarie, o i Padri che inserivano, nell’India portoghese, parole indù o buddiste nel testo della S. Messa.
Sembra anche di sentire, nelle esternazioni del Santo Pontefice, le grida dei Gesuiti che organizzarono le estancias in Paraguay, o che sempre difesero i popoli latino-americani nelle dittature del XX secolo, come P. Jalics, o il grido dei sei gesuiti uccisi nelle università in El Salvador, solo venticinque anni fa, il tutto mentre, magari, alcuni alti prelati giocavano a tennis con i “generali”.
Ecco che si comprende la trattativa razionale del Vaticano con la Cina, invisa proprio ai conservatori, o il nesso politico e anche religioso con la Federazione Russa, mentre il Card. Parolin si appresta ad un viaggio a Mosca foriero, certamente, di importanti risultati.
Come ha dichiarato proprio S. E. Parolin, questo viaggio in Russia, quando i rapporti tra Mosca e Occidente sono ai minimi storici, deve impostare nuovi “ponti” e il “dialogo in cui ci si mette nei panni dell’altro” con la dirigenza del Cremlino; per parlare anche, con Putin e i Suoi collaboratori, ma certamente con il Patriarca Kirill, di Medio Oriente, di Islam, di Ucraina.
E’ stato, a suo tempo, il Presidente russo a donare a Papa Francesco una copia della santissima icona della Santa Madre di Dio di San Vladimir, quella immagine veneratissima che fu fatta portare in volo, in gran segreto, su Mosca, dall’ateo Stalin, nel momento più duro dell’assedio nazista.
Mai dono fu più politicamente simbolico.
Si parlò allora, non senza qualche fondamento, di una alleanza tra Mosca e il Vaticano in funzione filosciita e comunque extra-Usa.
La Chiesa di Cristo, oggi, fa politica globale proprio perché, ed è questo il tema di fondo, secondo noi, sta abbandonando la sua immagine tipicamente occidentalista e, quindi, non vuole più essere letta secondo categorie, positive o negative, nate nel solco di questo universo di identità politiche e culturali.
Universalismo, anche e soprattutto mettendosi nei panni degli altri e nelle loro antichissime tradizioni.
Xi Jinping ha infatti ricordato a Papa Francesco il gesuita artista P. Castiglione, e il Santo Padre, che molto ama il popolo cinese, ha ricordato al presidente di Pechino che “il mondo attende la saggezza e la civiltà dei cinesi”.
Il nemico, diceva Sant’Ignazio di Loyola, e si riferiva evidentemente al maligno, è come un capo militare che deve assediare una città e gira intorno alle sue mura per trovarne il punto debole.
Per il Papa che proviene dalla Compagnia, il nemico che gira intorno al mondo che deve essere salvato dalla Parola è il vecchio pensiero, quello duale che ha generato le guerre periferiche durante il confronto Usa-Urss, quello della chiusura culturale, la paura dell’altro, l’egemonismo dei vecchi poteri.
Se rimarranno i vecchi equilibri di potere della “guerra fredda” dopo questa fase della globalizzazione, rimarranno solo vecchi cadaveri.
Mentre la globalizzazione-americanizzazione cerca ancora di dividere il mondo tra ricchi e poveri, vincitori e perdenti, aumentando follemente ogni divario, Papa Francesco vuole “ponti” con tutti; per evitare che la mondializzazione dell’economia, ovvero appunto la sua americanizzazione, spezzi ancora l’umanità in due.
E qui, è bene ricordarlo, c’è il serio pericolo che l’universalizzazione dell’economia, ovvero ancora l’adorazione assoluta del vitello d’oro, si leghi ad un sistema economico che si regge su una moneta politicamente sovrastimata, con un debito interno colossale, quella Usa, e ad un progetto di “guerre democratiche”, come le assurde primavere arabe, destinate a creare piccoli client states poverissimi e sacche etniche spesso cervellotiche.
E le prossime guerre saranno certamente conflitti che “non cessano mai”, e sono pensati per stabilizzarsi ad un alto livello di contrasto.
I ponti della Chiesa sono finalizzati quindi a evitare o a superare una nuova Yalta, ovvero a mettere da parte alcuni popoli e favorirne altri.
Ed ecco un tema fondamentale: la polemica, che si trova nell’articolo succitato del P. Spadaro, sulla teologia politica protestante.
Il puritanesimo che viene spedito per punizione nelle tredici colonie è una sorta di proto-jihadismo dentro la Chiesa di Inghilterra, che la setta spedita laggiù dalla Inquisizione di Londra (l’avevano anche loro) accusa ancora di essere ancora troppo filocattolica.
Il termine “fondamentalismo”, lo ricordiamo, nasce, in epoca moderna, all’interno delle numerose fazioni del puritanesimo americano, e viene poi applicato per similitudine alle fazioni neoestremiste del jihad wahabita e alla teologia, tra karigiti e Fratellanza Musulmana, della “Base sicura” (al Qaeda al sulbah) che va in Afghanistan con fondi sauditi, pakistani e americani a combattere l’Armata Rossa.
Fu un amico degli Usa, un macellaio feroce nelle guerre balcaniche, Alja Izetbegovic, a scrivere negli anni ’40, nelle prigioni di Tito, proprio il volume intitolato “fondamentalismo islamico”.
Nella teologia protestantica nordamericana il P. Spadaro vede quindi un nesso empirico, realizzativo, senza alcuna valutazione delle circostanze, tema machiavelliano e gesuita, tra religione e politica, tra mente e braccio.
Se possiamo permetterci una piccola nota al testo del reverendo Padre, dovremmo dire che oggi la religiosità radicale riformata è presente, negli Usa, quasi unicamente nelle classi sociali messe ai margini proprio dalla globalizzazione, che nulla comandano, oggi a Washington.
Nemmeno con un Presidente prigioniero dello “Stato Profondo” tra Dipartimento di Stato e CIA, che volevano, per una volta d’accordo, una presidenza Clinton per “finire il lavoro” in Siria e creare il casus belli con la Federazione Russa.
Un Dottor Stranamore che si occupa di guerre psicologiche e informatiche, quello che oggi opera in certi palazzi del potere Usa.
Mentre però gli Stati Uniti oggi sono in preda, nelle loro classi dirigenti ma anche nei ceti popolari più legati alle immagini dei media, ad una vera e propria negatio Dei.
Che arriva spesso, per usare il titolo di una famosa canzone dei Rolling Stones, ad una pratica e operativa sympathy for the devil, simpatia per il maligno.
Il rifiuto, nei campus alla moda, di ogni vestigia della civiltà occidentale, l’applicazione pedissequa della “correttezza politica”, che arriva perfino ad espungere comicamente i grandi classici, come nemmeno facevano le Guardie Rosse, che almeno avevano il coraggio di distruggerle, la scientifica distruzione delle identità personali e dei “corpi intermedi”, base di ogni democrazia da Pericle ai giorni nostri, sono tutti segni che non tanto e solo la vecchia teologia protestantica di tipo fondamentalista, ma l’ateismo-satanismo odierno sono i veri nemici da combattere.
Certo, la prima ha generato il secondo, ogni richiamo gnostico alla volontà di Dio secondo i nostri desideri, dai catari agli hussiti fino ai giorni d’oggi, con le teologie della confusione e del benessere, è uno gnosticismo che chiama ad operare direttamente il Nemico.
Ma è bene ricordare qui, lo ripetiamo, che la teologia fondamentalista protestantica è, negli Usa, tipica di quelli che stanno perdendo al gioco della globalizzazione, mentre l’establishment, figlio delle “esperienze dilatate” dell’LSD e del sessantotto libertino americano, esperienze che ha realizzato poi nella finanza creativa odia Dio, anche quello di Comenio, con tutto sé stesso; ed è quindi in piena simpatia con il diavolo e lotta esplicitamente, con la scusa di un “illuminismo” da manuale di terza media, contro tutte le religioni e ogni trascendenza.
Anche di quella, ormai perduta in tutte le classi dirigenti occidentali, che si focalizzava su una teologia unitariana ma non ecclesiale, rituale ma universalistica e caratteristica, da sempre, delle più antiche tradizioni della Massoneria, come quella del Rito Scozzese Antico e Accettato.
Oggi, soprattutto in Italia, la narrazione dell’Associazione che ha materialmente costruito l’unità d’Italia è legata alla “mafia”, alla “corruzione” e ad altre questioni molto poco esoteriche.
Ogni vero collante della classe dirigente, quindi, si perde, mentre prima i vecchi liberali e molti socialisti, tanti repubblicani e qualche cattolico liberale sedevano amichevolmente in Loggia, formandosi al dialogo e alla maturazione politica e umana.
In termini politologici, la perdita di prestigio della Fratellanza Massonica è il sigillo del frazionismo strutturale delle classi politiche occidentali. Che le porterà alla morte.
Senza una narrazione unitaria e identitaria delle élites, esse saranno progressivamente prima sezionate e poi distrutte.
Il fine dell’establishment attuale è quello di arrivare, certamente, ad una riedizione del 1984 di Orwell, ma con una differenza: quello che prima era condizionamento esplicito engrammato, tramite gli algoritmi del consumo e della Rete, nel comportamento apparentemente libero, anzi liberissimo, di ognuno.
Il totalitarismo nuovo ci porterà a fare tutti le stesse cose, a comprare gli stessi oggetti, a diventare poveri e senza potere ma con una sensazione di onnipotenza istintiva e unicità dell’io che certamente il regime di Orwell non poteva permettersi. Metafora del sovietismo come era, peraltro.
Ecco, noi, Italia, saremo una potenza del tutto inesistente.
Saremo solo un cuscinetto tra Africa e Europa del Nord, senza nemmeno permetterci di dire nulla, strisciando come gatti sulle finestre.
Diventeremo una colonia del NordEuropa per quel che riguarda le strutture ancora produttive, le filiere produttive del Nord sono tutte integrate nella catena del valore tedesca; e qui c’è da ricordarsi come la Neue Zuercher Zeitung abbia previsto recentemente una annessione lenta della Lombardia al Canton Ticino entro il 2050, e molti segni ci sono già.
Ma avremo una sacca immane di popolazione nel Sud, la “conigliera” del Barone Compagna, che vivrà di carità a spese del debito pubblico o della criminalità organizzata, che farà la sua globalizzazione, quella tra Africa e Meridione e tra Sud italiano e rotte balcaniche e asiatiche della droga.
Come prevedeva un grande banchiere italiano, “saremo un Paese per il turismo e per l’arte”.
Già, ma quando producevamo la nostra grande arte Vespucci colonizzava l’America del Nord, i banchieri genovesi prestavano al Re di Spagna e la Svizzera ci forniva solo quei mercenari che non piacevano affatto al Machiavelli.
Certo, per risolvere la crisi italiana, a livello istituzionale, basterebbero quelle note che il Presidente Cossiga volle mandare al Parlamento il 26 giugno del 1991.
Altro che Senato a mezzo servizio, come ipotizzava la riforma recente, bocciata dagli elettori.
Era semplice: fine della Costituzione scritta da nemici che si guardano in cagnesco ma sono intenti unicamente a bloccarsi l’un l’altro, e infatti un analista americano ha definito la nostra Carta “la più disfunzionale del mondo”, revisione delle autonomie e della specifica autonomia del CSM, una diversa e più cogente organizzazione della finanza pubblica.
Ne riparleremo in seguito, ricordandoci anche di un bellissimo progetto che fu elaborato da Gianfranco Miglio e da alcuni suoi colleghi, riuniti nel “Club di Milano”.
Ma questa classe politica non farà altro che morire in questo letto istituzionale, incapace ormai di dettare anche un solo twitter al proprio addetto-stampa.

Giancarlo Elia Valori