Il ritorno della finanza per l’impresa

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Due avvenimenti della settimana appena passata riportano al cento dell’attenzione un articolo che sembrava destinato ad ammuffire nei depositi delle banche: la finanza d’impresa, quella buona si potrebbe dire, che produce effetti positivi sull’economia reale assistendo la produzione, accompagnando la crescita delle aziende, generando benessere.

Una finanza per qualcosa, insomma, e non fine a se stessa come abbiamo conosciuto in questi lunghi anni di crisi dovuta all’incontrollata lievitazione di bolle speculative con prezzi completamente sganciati dagli effettivi valori dei beni: materia per addetti ai lavori che con pochi scrupoli hanno riempito le proprie tasche e impoverito tutti gli altri.

La finanza d’impresa, dunque, è stata celebrata in Borsa nella mitica piazza Affari che ha ospitato la prima edizione dell’Italian Equity Week: tre giorni durante i quali duecento imprese quotate e non hanno incontrato centocinquanta investitori istituzionali per discutere faccia a faccia di strategie di sviluppo, opportunità di business, futuro.

Il mercato dei capitali si è presentato per quello che dovrebbe essere: un’ancella al servizio di iniziative imprenditoriali meritevoli perché promettenti. Un segnale molto importante che mette insieme le esigenze di chi presta e chi riceve in un clima di fiducia e nella logica di rinforzare entrambe le parti per un grande progetto di rilancio del Paese.

L’altra iniziativa che va nella stessa direzione riguarda l’accordo sottoscritto da Confindustria e Ubi Banca per sostenere le imprese impegnate in processi d’innovazione che accettano la sfida digitale e vogliono accrescere la propria dimensione aziendale per migliorare la capacità competitiva e potersi affacciare sui mercati internazionali.

Ubi porta in dote un miliardo e s’impegna a prestare consulenza per attivare, in particolare, le opportunità offerte dal piano nazionale di Industria 4.0. Confindustria mette a disposizione i suoi Digital Innovation Hub come terreno di coltura ideale per far nascere e prosperare questo nuovo tipo d’integrazione tra la banca e l’impresa, facce della stessa medaglia.

L’obiettivo, infatti, come esplicitamente dichiarato dai presidenti delle due istituzioni – Vincenzo Boccia e Letizia Moratti – è crescere insieme per costruire un Paese forte e orgoglioso di un apparato creditizio e industriale che nonostante difficoltà e diffidenze esprime comunque il secondo sistema manifatturiero d’Europa, tra i primi al mondo.

Il fatto è che il posto d’onore – quello del numero uno essendo appannaggio della Germania – ci è invidiato e insidiato esplicitamente dalla Francia e in cuor suo dall’Inghilterra che con la Brexit vorrebbe scatenare quelle energie che l’Europa le avrebbe compresso. Dunque, è vietato dormire sugli allori ed è indispensabile darsi da fare per consolidare le posizioni.

Questa svolta industriale del Paese – la scelta cioè di puntare sulla qualità delle sue imprese e delle sue produzioni (vedi alla voce Made in Italy) per modernizzarsi – è una buona notizia. Naturalmente non basta decidere una cosa perché questa produca i risultati sperati ma occorre lavorarci intorno per renderla effettiva. Qualcosa comincia a muoversi.

 

Due avvenimenti della settimana appena passata riportano al cento dell’attenzione un articolo che sembrava destinato ad ammuffire nei depositi delle banche: la finanza d’impresa, quella buona si potrebbe dire, che produce effetti positivi sull’economia reale assistendo la produzione, accompagnando la crescita delle aziende, generando benessere.

Una finanza per qualcosa, insomma, e non fine a se stessa come abbiamo conosciuto in questi lunghi anni di crisi dovuta all’incontrollata lievitazione di bolle speculative con prezzi completamente sganciati dagli effettivi valori dei beni: materia per addetti ai lavori che con pochi scrupoli hanno riempito le proprie tasche e impoverito tutti gli altri.

La finanza d’impresa, dunque, è stata celebrata in Borsa nella mitica piazza Affari che ha ospitato la prima edizione dell’Italian Equity Week: tre giorni durante i quali duecento imprese quotate e non hanno incontrato centocinquanta investitori istituzionali per discutere faccia a faccia di strategie di sviluppo, opportunità di business, futuro.

Il mercato dei capitali si è presentato per quello che dovrebbe essere: un’ancella al servizio di iniziative imprenditoriali meritevoli perché promettenti. Un segnale molto importante che mette insieme le esigenze di chi presta e chi riceve in un clima di fiducia e nella logica di rinforzare entrambe le parti per un grande progetto di rilancio del Paese.

L’altra iniziativa che va nella stessa direzione riguarda l’accordo sottoscritto da Confindustria e Ubi Banca per sostenere le imprese impegnate in processi d’innovazione che accettano la sfida digitale e vogliono accrescere la propria dimensione aziendale per migliorare la capacità competitiva e potersi affacciare sui mercati internazionali.

Ubi porta in dote un miliardo e s’impegna a prestare consulenza per attivare, in particolare, le opportunità offerte dal piano nazionale di Industria 4.0. Confindustria mette a disposizione i suoi Digital Innovation Hub come terreno di coltura ideale per far nascere e prosperare questo nuovo tipo d’integrazione tra la banca e l’impresa, facce della stessa medaglia.

L’obiettivo, infatti, come esplicitamente dichiarato dai presidenti delle due istituzioni – Vincenzo Boccia e Letizia Moratti – è crescere insieme per costruire un Paese forte e orgoglioso di un apparato creditizio e industriale che nonostante difficoltà e diffidenze esprime comunque il secondo sistema manifatturiero d’Europa, tra i primi al mondo.

Il fatto è che il posto d’onore – quello del numero uno essendo appannaggio della Germania – ci è invidiato e insidiato esplicitamente dalla Francia e in cuor suo dall’Inghilterra che con la Brexit vorrebbe scatenare quelle energie che l’Europa le avrebbe compresso. Dunque, è vietato dormire sugli allori ed è indispensabile darsi da fare per consolidare le posizioni.

Questa svolta industriale del Paese – la scelta cioè di puntare sulla qualità delle sue imprese e delle sue produzioni (vedi alla voce Made in Italy) per modernizzarsi – è una buona notizia. Naturalmente non basta decidere una cosa perché questa produca i risultati sperati ma occorre lavorarci intorno per renderla effettiva. Qualcosa comincia a muoversi.