Il valore della “Fika”

132
in foto Annamaria Spina

Da molti anni intreccio la mia vita con la Svezia; quando i miei figli erano piccoli viaggiavamo spesso, vivendo periodi prolungati là, ora addirittura uno dei due miei figli vive stabilmente vicino Stoccolma. Questo legame personale mi ha dato la possibilità di osservare non solo  ciò che ppare, paesaggi, città, istituzioni ma ciò che si respira: le abitudini profonde, i comportamenti quotidiani, i climatismi sociali e più osservo, più sono convinta che l’Italia abbia già tutto ciò che serve, creatività, bellezza, arte, patrimonio umano e culturale. Ciò che forse manca è la capacità di trasformare alcune abitudidini virtuose in sistemi, di rendere la nostra genialità un linguaggio condiviso. Per questo, da anni, guardo con curiosità ad alcune pratiche svedesi che funzionano con discrezione ed efficacia. Una di queste è la “fika”, la pausa svedese: un gesto semplice che ha saputo diventare rito sociale, economico e perfino politico.

Il termine “fika” deriva da uno slang svedese del XIX secolo, basato su un’inversione sillabica: la parola “kaffi” (variante arcaica di kaffe, “caffè”) veniva capovolta. In alcune comunità rurali o tra venditori ambulanti, questi giochi linguistici servivano a creare appartenenza, come un codice segreto ma, col tempo, quella parola ha assunto un senso più profondo. In Svezia, fare fika non è semplicemente bere un caffè: significa interrompere il flusso produttivo per concedersi un momento di relazione, ascolto e leggerezza, è un rito quotidiano che nutre il capitale relazionale, collega amici, colleghi, famiglie. Nei luoghi di lavoro, la fika è spesso inserita nelle abitudini aziendali, talvolta perfino nei contratti: non è una perdita di tempo, ma una forma di benessere organizzativo che rompe le barriere gerarchiche, favorisce la creatività, rafforza la fiducia. In questo senso, è una piccola infrastruttura sociale che sostiene la produttività, la cooperazione e la salute mentale collettiva.

La Svezia è un Paese fondato sulla fiducia. Una fiducia che si percepisce nei comportamenti quotidiani, nella trasparenza fiscale, nella solidarietà diffusa. In questo contesto la fika si inserisce con naturalezza: è il simbolo di un modello che concepisce il tempo non come risorsa da consumare, ma come spazio di relazione da coltivare. Secondo il Fikarapporten, gli svedesi dedicano in media 227 ore all’anno alla fika, molte delle quali durante l’orario di lavoro. È un tempo che, invece di sottrarre produttività, la moltiplica, perché una comunità che si ascolta è una comunità che funziona. Integrare pratiche simili nella vita lavorativa italiana, momenti di pausa vissuti come connessione autentica e non come semplice interruzione, potrebbe migliorare il clima organizzativo, ridurre lo stress, favorire la lealtà e in definitiva aumentare la qualità del lavoro. Anche il settore Horeca potrebbe trarne vantaggio, ripensando i propri spazi non solo come luoghi di consumo veloce ma come presìdi di socialità: caffè che diventano laboratori di comunità, punti d’incontro, piccoli incubatori di fiducia.

In Italia sento il calore umano, la vitalità, l’ingegno, abbiamo un talento naturale per creare, per adattarci, per trasformare il poco in molto ma conviviamo anche con inefficienze, burocrazie scoraggianti, diffidenza. Il nostro caffè condiviso ha anch’esso un valore sociale, ma raramente si fa sistema perchè lo viviamo spesso come una pausa breve, quasi un “momento rubato”, non un rito riconosciuto. La fika invece è sacra: concede tempo alla mente per rigenerarsi, spezza la monotonia, riduce lo stress, offre uno spazio informale dove nascono idee nuove e si rinsaldano i legami. Il risultato è tangibile: meno conflitti, meno turnover, più soddisfazione e maggiore impegno. Il capitale sociale, che è la vera infrastruttura economica di un Paese, nasce dal tempo condiviso, dalla conversazione, dal mutuo rispetto e la fika lo alimenta ogni giorno, senza clamore, con la gentilezza delle cose semplici.

Nel 2025 è stata fondata la “Fika Academy” a Stoccolma, con l’obiettivo di tutelare la fika come parte del patrimonio culturale immateriale della Svezia e di promuoverla attivamente nei diversi ambiti della vita pubblica: cultura, gastronomia, accademia e affari. La fika è diventata un simbolo riconosciuto a livello nazionale, parte integrante della Nation Brand Strategy svedese, accanto a marchi come Ikea o al Premio Nobel ed il governo la considera un elemento identitario capace di attirare turismo, talenti e attenzione internazionale. È la dimostrazione di come un gesto semplice possa tradursi in politica culturale, economia e immagine del Paese.

La Svezia affronta la ricchezza in modo quasi poetico. È il Paese di Ikea, Spotify, Volvo, Electrolux, colossi nati da idee semplici, funzionali, condivise, eppure celebra la parola “lagom”, che significa “abbastanza”. Ed è proprio nella fika che questo concetto prende forma, perché la fika è la traduzione concreta dell’“abbastanza”: un tempo giusto, né troppo né troppo poco, che permette di respirare, di fermarsi, di ritrovare misura. È la sospensione che restituisce equilibrio al ritmo del lavoro, è il gesto che ricorda a un’intera comunità che non serve correre sempre per andare avanti. Abbastanza per vivere bene, abbastanza per creare con lucidità, abbastanza per restare umani. Tutto questo è un paradosso solo apparente perchè è l’abbondanza costruita sulla sobrietà. Forse è proprio questa la lezione più alta che l’economia svedese offre al mondo: non serve accumulare per essere ricchi, serve saper usare bene ciò che si ha. L’“abbastanza” non è una rinuncia, ma una misura dell’armonia, la coscienza che il valore non sta nel molto, ma nel giusto ed è questa misura che trasforma una pausa in principio economico, un caffè in atto di civiltà.

In Svezia la “fika” è la prova tangibile che un Paese può essere prospero senza rinunciare alla gentilezza, efficiente senza perdere la grazia, produttivo senza smettere di essere umano. È una piccola rivoluzione culturale quotidiana: la felicità come forma di produttività, la pausa come gesto d’amore verso la collettività. Forse è questa la strategia vincente del Paese scandinavo… aver trasformato una pausa in un principio economico, un caffè in un gesto di civiltà assoluta e la gentilezza semplice, quotidiana e autentica nella più alta forma di civiltà e di produttività.

Annamaria Spina