Il viaggio di Xi Jinping in Medio Oriente

Sul piano storico, la Via della Seta fu costituita durante la dinastia Han, tra il 206 a.C e il 220 d.C. dopo la lunga esplorazione cinese dell’asia meridionale e occidentale iniziata almeno duemila anni fa. 
Fu in quelle zone, nella trama iniziale e sorgiva dell’Eurasia, tra popolazioni nomadi e guerriere, che il Figlio del Cielo diventò per la prima volta pastore di greggi e sfuggì alle bestie feroci che volevano ucciderlo e poi divorare tutti gli han. 
Xi Jinping, il nuovo Figlio del Cielo, ovvero l’incarnazione politica e mitica delle forze positive, ripete la Via della Seta e quindi ritorna in Medio Oriente, visitando Iran, Arabia Saudita e Egitto.
Ciò per ricostruire la proiezione strategica originaria del Primo Impero Rosso della Cina, quindi per far ritornare la Cina al suo ruolo antico di “tutto sotto il Cielo”. 
Un viaggio svoltosi dal 19 al 22 Gennaio 2016, quello intrapreso dal Segretario del PCC in tre paesi mediorientali, nel sessantesimo anniversario del mutuo riconoscimento tra la Cina e la Lega Araba.
I sauditi sono stati, fino al 2015, i più importanti fornitori di greggio della Cina, posizione oggi detenuta, come venditore primario, dalla Russia. 
E’, la serie dei tre paesi arabi e islamici, la prima destinazione del Segretario del PCC nell’anno 2016, il che ci fa intuire la particolare importanza che Xi Jinping e la sua Cina appone al rapporto, commerciale, politico e strategico tra Pechino e Iran, Egitto, Arabia Saudita.
Il progetto strategico di Xi Jinping è, come è noto, la nuova Via della Seta, che lui ha definito “One Belt One road”.
Il progetto di Xi è stato reso pubblico nell’ottobre 2013; e si divide in una Via marittima e una terrestre, entrambe uniranno Pechino con l’Asia Centrale, quella Occidentale, il Medio Oriente e infine l’Europa. 
Per dirla con una metafora dei saggi taoisti, e Mao Zedong lo era, laddove vi è il vuoto (di potere) degli USA e della stessa UE, priva del tutto di una vera politica estera, arriverà il “pieno” di un collegamento con la Cina e l’Eurasia da parte del mondo islamico, sia sunnita che sciita.
Alla sua origine, in Asia, la nuova Via della Seta verrà collegata con il CPEC, China-Pakistan Economic Corridor e il BCIM, Bangladesh-China-India-Myanmar Corridor. 
Dopo la globalizzazione che era una americanizzazione, arriva la mondializzazione cinese, che unirà tutti i perdenti della prima globalizzazione legandoli prima all’Eurasia e poi alla stessa Cina.
Dal riconoscimento diplomatico tra Pechino e Riyadh, nel 1990, l’interscambio è aumentato di 230 volte, fino ai 70 miliardi di Usd del 2014.
In Arabia Saudita operano oggi 160 aziende cinesi, non solo nel settore degli idrocarburi ma anche in quello della logistica, dei trasporti, dell’elettronica. 
Pechino vuole sostenere il mondo arabo con uno stimolo alla differenziazione produttiva interna e alla diminuzione della oil dependency di quelle economie.
Per la Cina, il legame con Riyadh è il nesso strategico con il Paese sunnita più vicino agli USA, che non vuole peraltro legarsi mani e piedi a Washington. 
I sauditi hanno tutto l’interesse a trattare con la Cina, per evitare l’unico forno nordamericano che, privo di contrappesi sarebbe, naturalmente, mano favorevole all’Arabia Saudita.
Il progetto più importante che unisce la Cina e i sauditi è la raffineria Yarseef da 10 miliardi di Usd, finanziata per il 62,5% dalla cinese Sinopec.
Yanbu, sul Mar Rosso, la sede della Yarseef, è stata definita da Xi Jinping il punto regionale di arrivo della Via della seta e, contemporaneamente, l’asse della nuova industrializzazione saudita. 
Altro punto essenziale della visita di Xi in Arabia Saudita è stato quello di costituire, entro il 2017, una Zona di Libero Scambio insieme al Consiglio di Cooperazione del Golfo, altro tassello per la “Via della Seta” che, in queste zone, mette in comunicazione la sua Via marittima e il suo tratto terrestre. 
Il Segretario cinese poi, nella sua visita in Egitto, ha ripreso i temi già elaborati durante la visita del presidente egiziano Al Sisi a Pechino del dicembre 2014.
Si tratta qui di implementare una “comprehensive strategic partnership” che si basa su 15 grandi progetti, per un valore attuale di 15 miliardi di Usd.
I suddetti progetti sono legati alle infrastrutture e ai trasporti, dato che il Cairo e la costa egiziana saranno il punto di arrivo nel Mediterraneo della nuova Via della Seta marittima. 
Altri investimenti della “Comprehensive partnership” riguardano il settore energetico egiziano, mentre sono stati impostati da Pechino, in questa visita di Xi Jinping, altri 21 nuovi progetti di investimento con un ulteriore prestito al Cairo, a basso interesse, di 1,7 miliardi di Usd, gestiti da alcune banche egiziane. 
Sul piano geopolitico, l’attenzione di Xi Jinping va principalmente all’area egiziana e sciita, con una probabile mediazione tra Iran e Arabia Saudita che si è realizzata durante la visita del leader cinese.
Ciò significa che la Cina teme l’espansionismo del “Califfato” del daesh/Isis e, soprattutto, teme il ritorno delle centinaia di foreign fighters uighuri che vivono nello Xingkiang. 
Pechino ha sostenuto, sul piano diplomatico e probabilmente operativo, l’Egitto nella sua lotta contro l’area jihadista prima qaedista e poi califfale nel Sinai; e certamente distribuirà i suoi investimenti in Medio Oriente in funzione della capacità di ogni Paese dell’area di lottare contro il jihad.
Se l’Europa e l’Occidente non saranno capaci, e già oggi se ne vedono i limiti, di sostenere il nuovo sviluppo autonomo del Medio Oriente, quest’area diventerà, tra Russia e Cina, la parte meridionale e marittima dell’Eurasia.
Sarà questo il nuovo Hearthland sinorusso che egemonizzerà l’area mediterranea e gran parte della “grande pianura europea”, come la chiamava Raymond Aron.
Xi, altro segnale geopolitico rilevante, ha invitato l’Egitto di Al Sisi a prender parte, come ospite, al prossimo G20 che si terrà a Pechino il prossimo settembre. 
L’ultimo Paese mediorientale visitato dal leader cinese, nazione sciita e non araba, è stato l’Iran.
Xi Jinping è stato il primo leader di una potenza mondiale a visitare l’Iran dopo la fine delle sanzioni, cessazione che peraltro molto deve all’azione cinese e russa dentro il P5+1. 
E’ un dato simbolico particolarmente importante. 
Naturalmente, Pechino non ha mai tenuto in alcun conto le sanzioni contro Teheran; e infatti la Cina ha soppiantato, fin dal 2014, la Germania come primo partner di affari per il Paese sciita, con un volume bilaterale di affari di oltre 70 miliardi di Usd.
Xi, naturalmente, è venuto a mantenere le posizioni cinesi raggiunte in Iran, ma anche a sostenere Teheran nella sua alterità strategica verso l’Europa e la NATO, come dimostra l’aperto sostegno di Xi, durante alcune interviste in Iran, alla presenza delle forze sciite in Siria. 
La questione siriana non è, come credono molti ingenui esperti occidentali e gli ancor più puerili leader di una Europa senza alcun attributo, la lotta contro un “tiranno” come Bashar El Assad per poi ristabilire una improbabilissima “democrazia”.
Le democrazie, in Medio Oriente, si immpongono per rendere un Paese strategicamente “viabile”, ovvero privo di reazioni ad operazioni di altri attori sul campo. 
La vera questione siriana è quindi la lotta a chi egemonizzerà in futuro il Grande Medio Oriente.
O la Turchia, che vuole prendersi la vasta area sunnita della Siria per il suo folle sogno neottomano.
Oppure la Federazione Russa insieme all’Iran, che annetteranno la Siria sciita e alawita al corridoio che va dall’Ucraina alle coste verso il Mar Nero e il Mediterraneo orientale.
Oppure infine l’Arabia Saudita, che vuole gestire una sua “internazionale sunnita” e wahabita per egemonizzare tutta l’area mediorientale e il suo petrolio, fuori dai condizionamenti dell’OPEC, cartello ormai residuale.. 
Xi Jinping propone comunque all’Iran una maggiore presenza cinese nel settore bancario e finanziario locale, la costruzione di sette linee ferroviarie veloci da unire in futuro alle reti già presenti in Cina e, ovviamente, una maggiore presenza della Cina nel settore petrolifero e gasiero iraniano.
Secondo gli analisti cinesi, l’interscambio tra Pechino e l’Iran dovrebbe aumentare di dieci volte, fino a toccare i 700 miliardi l’anno entro il 2017. 
Il cuore dell’operazione di Xi Jinping è quindi, sommando le sue azioni nei tre Paesi mediorientali che ha visitato alla fine di gennaio, la creazione di una Zona di Libero Scambio comune tra i tre Paesi e con il sostegno della Cina, il tema di cui parlavamo all’inizio.
Una mossa, questa, che intende riequilibrare l’accordo di libero scambio degli USA con altri 11 Paesi del Pacifico; e per riempire il “vuoto” dell’Europa Occidentale in tutto il Medio Oriente. 
Pechino ha realizzato l’accordo liberoscambista con tutti e sei i Paesi del Golfo Persico, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Qatar, Kuwait e Oman.
La Cina vuole mettere insieme Paesi nemici tra loro per mediare in modo credibile.
L’accordo dovrebbe essere siglato entro la fine del 2016.
Ecco: dove c’era il “vuoto” degli USA e di un Occidente sempre più debole e chiuso in sé stesso, ossessionato dalla “esportazione della democrazia” o da una “geopolitica dei valori” ingenua e autodistruttiva, arriva il “pieno” di una Cina che esporta sostegno economico, influenza politica, capacità credibili di mediazione tra tutti i players regionali.
La proposta One Belt One Road di Pechino, che è la matrice geopolitica di tutte le operazioni cinesi in Medio Oriente, nasce dalla percezione, da parte della attuale leadership, di una ormai irrinunciabile proiezione di potenza geoeconomica.
E dalla sensazione, per la Cina, di essere circondati geograficamente da spazi chiusi, montagne, deserti che devono essere superati per evitare che l’Impero di Mezzo, con un potenziale produttivo ben maggiore di quello che esprime il suo territorio, rimanga bloccato.
E’, questa, la versione contemporanea della crisi strutturale tra evoluzione dei rapporti di produzione e crescita delle forze produttive che è sempre stata ferale per il marxismo applicato.
Ricordiamo qui che le “forze produttive” sono la scienza e la tecnica con le loro applicazioni al processo di produzione, ovvero l’intera organizzazione del lavoro, mentre “lo sviluppo dei rapporti di produzione” riguarda le relazioni in cui entrano tra loro i partecipanti al lavoro produttivo, compresi quelli che sono esterni al reale processo di produzione, come i proprietari e gli azionisti.
Se quindi lo sviluppo delle forze produttive si espande oltre un certo limite, si ha l’espansione di questo a spese dei rapporti di produzione, dato che sempre più forza-lavoro viene sostituita o marginalizzata dalle nuove tecnologie. 
Era il problema di Stalin poco prima della sua morte, è stato il dèmone di Mao dal Grande Balzo in Avanti in poi, è oggi il concetto alla base del progetto One Belt One Road. 
In altri termini, si tratta per Xi Jinping di proiettare le forze produttive fuori dai propri confini, su terra e mare, per evitare che i rapporti di produzione interni alla Cina si deformino fino a mettere in pericolo lo Stato e il Partito.
Naturalmente, il progetto della nuova Via della Seta è anche un modo per securizzare il primo anello della Cina, quello dell’Asia Centrale, e rendere privo di avversari pericolosi l’anello secondario della massa cinese, quello che va dal Grande Medio Oriente fino all’Europa occidentale. 
Le due securizzazioni geoeconomiche riguardano sia la Terra che il Mare, due entità che, nella tradizione occidentale sintetizzata da Carl Schmitt, tendono ad essere due entità avverse. 
Al Leviatano di Hobbes, mostro marino biblico, simbolo della futura talassocrazia britannica, si oppone il Behemot terrestre, lo Stato terrestre che schiavizza i suoi cittadini. 
E’ la trama costante del pensiero politico occidentale. 
E inoltre il progetto One Belt One Road coinvolge la Federazione Russa, visto che unifica di fatto, dopo la diversa globalizzazione che hanno subìto l’URSS e la Cina post-maoista, i due Paesi che avevano modificato radicalmente il nesso tra forze produttive e rapporti di produzione in senso anticapitalista.
La o, meglio, le linee di One Belt One Road partono da Xi’an, già capitale di 13 dinastie e là dove si trova il mausoleo dell’imperatore Qin Shi Huang, l’unificatore della Cina, e il suo famoso “esercito di terracotta”. 
Mai dimenticare che l’universo cinese, oggi come nelle sue fasi più antiche, vive di simboli che usa in modo potremmo dire apotropaico sia per l’unità di “tutto sotto il Cielo” che nei confronti degli avversari esterni. 
Da Xi’an, con collegamenti per Pechino, Zhanjiang e Shangai, la linea terrestre arriva sino ad Urumqi. la capitale dello Xinjiang e quindi dell’area con forte presenza islamica, è qui che arrivarono i turcomanni nella loro espansione verso Est, che fu anche un ritorno alle origini.
Zhanjiang, città alla quale abbiamo sopra accennato, la vecchia Fort Bayard fino al 1946, è la capitale della provincia del Guangdong e un attivissimo porto, futuro asse geopolitico della nuova “Unione Indocinese” a guida cinese, che sarà ovviamente ben diversa da quella favorita dagli occupanti francesi dal 1899 fino al 1946.
Da Urumqi la linea della Road terrestre arriva ad Almaty, la vecchia Alma-Ata dell’epoca sovietica, che è la città più antica e popolosa del Kazakhistan, già capitale fino al 1993.
La nuova “Via della Seta” arriverà poi direttamente a Bishkek, capitale del Kirghizistan, asse petrolifero dell’Asia Centrale, per poi arrivare direttamente a Teheran.
Ecco la motivazione del particolare interesse che la Cina attuale mostra per l’Iran sciita: fornitore di petrolio necessario al suo continuo sviluppo, antemurale antijihadista, come si vede oggi nel ruolo assunto dalle forze paramilitari di Teheran in Siria, punto di controllo, per la Cina della nuova Via della Seta, di tutta l’area del Grande Medio Oriente.
Pechino non muoverà mai un dito contro l’Arabia Saudita, che è periferica rispetto al suo nuovo asse strategico; ma svolgerà un ruolo essenziale nella stabilizzazione dello scontro infraislamico, che la Cina vede come una minaccia diretta ai suoi interessi sia petroliferi che geopolitici. 
Un Medio Oriente in fiamme destabilizza le minoranze uighure islamiste, blocca le grandi reti commerciali in fase di attuazione, devasta le economie dei compratori primari della Nuova Cina.
Da Bishkek vi sarà una linea che connetterà la Via della Seta terrestre con quella marittima. Una linea di trasporti arriverà dalla capitale del Kinrgizistan a Gwadar, il porto pachistano situato nella provincia del Belucistan, un’area già acquistata dai cinesi.
Gwadar è la sentinella strategica della Cina verso lo stretto di Hormuz.
Da Teheran la One Road arriverà direttamente a Istanbul, per poi da lì deviare, sempre su una rotta terrestre, verso Mosca, il vero pivot militare e politico della Cina attuale nei confronti della penisola eurasiatica. 
Tutte le dottrine “eurasiste” che ispirano attualmente il Cremlino implicano una sostanziale unità tra Cina e Russia, in funzione di mantenimento dell’Eurasia, appunto, e della sua egemonia verso l’attuale Europa.
E’ questo il fondamento teorico e operativo della presenza russa in Siria. 
Mosca, nel quadrante siriano, vuole: a)bloccare ogni tipo di egemonia degli USA e dei suoi Alleati in Medio Oriente, b) garantire la sua presenza nel Mediterraneo, che diverrà militare, economica e politica, c) imporre la sua egemonia in un’area dove ormai non ci sono più players globali, con il ritiro progressivo degli USA e della NATO. 
Il recentissimo accordo di Monaco, qualunque sarà la sua durata, è la certificazione del ruolo particolare di Mosca nell’area, mentre salva la faccia temporaneamente agli USA e ai loro alleati.
Da Mosca, la nuova Via della Seta arriverà a Rotterdam e da lì, verso sud, a Venezia, la città che sigillò la nuova scoperta della Cina da parte dell’Occidente, con Marco Polo.
La Via Marittima cinese partirà da Zhangjian, come abbiamo già visto, arriverà a Giakarta, passerà a Kuala Lumpur, negli Stretti di Malacca che sono la giugulare del commercio internazionale marittimo, per poi dirigersi a Colombo, nella antica isola di Ceylon oggi Sri Lanka, e da lì ripartire verso nord per Kolkata, l’antica Calcutta.
Da entrambi i porti orientali la Via marittima giungerà a Nairobi, per poi da lì passare negli Stretti di Bab el Mandeb, arrivare al Canale di Suez per giungere fino ad Atene.
Ecco quindi il senso dell’attuale visita di Xi Jinping al Cairo, punto di chiusura orientale della Silk Road marittima e chiusura militare dell’area di instabilità mediorientale. 
Da Atene a Venezia, le due Belt si ricongiungeranno. 
Un progetto geopolitico “taoista”: i due opposti naturali si oppongono e si fondono, perché antrambi sono “la Via”. 
In Medio Oriente, Pechino (e Mosca) stanno poi ripensando integralmente i loro rapporti con Israele.
Nello Stato Ebraico, la Cina cerca tecnologie evolute, ed infatti a metà del dicembre scorso i due paesi hanno firmato un trattato per il cofinanziamento di alcune ricerche evolute.
Le banche cinesi sono ormai fortemente presenti nel finanziamento di molti progetti israeliani, come è stato il caso della CreditEase China con la Banca Hapoalim.
E’ ovvio che questo nesso nuovo tra Gerusalemme e Pechino deriva da una scelta della dirigenza israeliana, che vede ormai ridotta al minimo la relazione con la UE, che sempre più inclina verso un pericolosissimo antisemitismo; e con gli USA, che ormai stanno de facto abbandonando il Medio Oriente.
L’alternativa geopolitica e militare per Washington sarà quella di una nuova guerra fredda con la Federazione Russa, un vero nonsense strategico che, però, servirà a mantenere in piedi quel vecchio “complesso politico-militare” di cui perfino Heisenhower temeva le scelte. 
Tenere l’Europa, sempre più irrilevante sul piano strategico e spesso ridicola in politica estera, per contenere la Russia e poi la Cina, questo è il progetto degli USA, che passerà da Barack Obama al suo successore, chiunque egli sia. 
Si noti bene che questa nuova postura nordamericana non contrasta affatto il grande progetto One Belt One Road, che è pensato, come si può facilmente intuire, per sostenere alcuni Paesi, i meno vicini agli USA, e escludere gli altri, quelli più tradizionalmente affini alla Grand Strategy nordamericana. 
Israele sarà, con ogni probabilità, un punto di arrivo de facto della “Via della Seta” marittimo-terrestre, mentre la Cina, in futuro, stabilizzatosi il caos siriano, si proporrà come credibile mediatore tra lo Stato Ebraico e i Paesi islamici.