Immigrati, il rapporto Caritas: aumenta la popolazione straniera. Calo al Sud, ma la Campania resta prima

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Al 1 gennaio 2015 risiedevano in Italia 60.795.612 abitanti, di cui 5.014.437 di cittadinanza straniera (8,2%), di cui 2.641.641 donne (52,7%). Rispetto alla stessa data del 2014, la popolazione straniera e’ aumentata di 92.352 unita’ (+1,9%). E’ quanto riporta il 25esimo Rapporto Immigrazione presentato questa mattina da Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. Al 1 gennaio 2015 risultano in corso di validita’ 3.929.916 permessi di soggiorno di cui il 48,9% riguarda le donne. Il totale dei permessi si ripartisce, dunque, tra 1.681.169 “con scadenza” (57,2%) e di cui il 47,3% riguarda donne, e 2.248.747 “di lungo periodo” (42,8%), per i quali la percentuale femminile e’ del 50,1%. Distinguendo i permessi nella loro totalita’ per aree di origine, si nota che la quota maggiore riguarda i paesi dell’Europa centro-orientale (30%), seguiti in ordine decrescente, dall’Africa settentrionale (20,7%), l’Asia centromeridionale (13,9%) e l’Asia orientale (13,4%). Considerando poi le nazionalita’ piu’ numerose, distinguono il Marocco (13,2%), l’Albania (12,7%), la Cina (8,5%) e l’Ucraina (6,0%). Per quanto riguarda i permessi di soggiorno con scadenza (1.681.169) al 1? gennaio 2015 si conferma, rispetto al 2014, la prevalenza dei motivi di lavoro (52,5%) e di famiglia (34,1%). Si riscontra una quota significativa di uomini tra i soggiornanti per motivi di lavoro (60,3%) e una quota significativa di donne tra i soggiornanti per motivi di famiglia (64,5%). Il segnale piu’ emblematico della tendenza degli stranieri a stabilizzarsi e quindi integrarsi in Italia e’, peraltro, confermata dal fatto che sul totale dei permessi rilasciati per motivi familiari, le donne sono il 60,3%. Va, infine, rilevato che il terzo motivo per importanza e’ quello legato alla richiesta di asilo (7,0%) che, rispetto agli anni precedenti, ha sopravanzato il motivo dello studio. Al 1° gennaio 2015 in Italia sono presenti ben 198 nazionalita’ su un totale mondiale, al 2016, di 232 (fonte Onu).

LA DISTRIBUZIONE GEOGRAFICA
Ad inizio 2015 quasi il 60% degli immigrati vive nel Nord, mentre questa percentuale scende al 25,4% nel Centro, con un ulteriore calo nel Mezzogiorno (15,2%). In tre regioni del Nord ed una del Centro e’ concentrata piu’ della meta’ dell’intera popolazione straniera presente in Italia (56,6%). In particolare, si tratta della Lombardia (23,0%), del Lazio (12,7%), dell’Emilia Romagna (10,7%) e del Veneto (10,2%). Nel Mezzogiorno va sottolineato che la Campania ospita il 28,6% del totale degli stranieri residenti in quest’area. Le regioni con maggiore presenza di immigrati sono anche quelle che presentano incidenze maggiori degli stranieri sul totale della popolazione residente.

CITTADINANZA
Nel 2014 sono state registrate le acquisizioni di cittadinanza italiana di 129.887 cittadini stranieri (oltre 26 ogni mille), un valore in forte crescita rispetto all’anno precedente (+29,0%). Sul totale delle acquisizioni di cittadinanza sono leggermente piu’ numerosi gli uomini (50,9%) e, tra le nazionalita’ di origine, prevalgono la marocchina (22,3%) e l’albanese (16,4%). Si tratta di due nazionalita’ che sono tra quelle presenti da piu’ tempo nel nostro Paese e che hanno quindi avuto la possibilita’ di maturare i requisiti temporali richiesti dalla legge. Particolarmente rilevante e’ il fatto che la maggior parte delle acquisizioni della cittadinanza riguarda minorenni: quasi il 40% di quelli che sono diventati cittadini italiani nel 2014 ha meno di 18 anni (39,4%). Inoltre, si osserva un picco di acquisizioni all’eta’ di 18 anni, che in gran parte (oltre il 75%) riguarda stranieri nati in Italia, i quali possono chiedere di diventare italiani sulla base della vigente normativa, prima del compimento del successivo anno di eta’. All’eta’ di 18 anni il tasso di acquisizione per cento residenti stranieri e’ pari a 8,3, il doppio di quello relativo alla classe 0-17 anni e fino a otto volte il valore per le classi delle eta’ centrali o anziane. Il dato di genere mostra una netta preponderanza delle acquisizioni di cittadinanza da parte delle donne nella classe di eta’ 25-39 (58,8%). Viceversa, vi e’ una prevalenza maschile nella classe di eta’ 40-64, mentre nelle classi di eta’ piu’ giovani si registra un equilibrio di genere. Considerando la distribuzione territoriale, le acquisizioni di cittadinanza italiana risultano piu’ numerose nelle regioni ove si concentra una presenza straniera stabile da piu’ tempo: Lombardia (27,6% del totale), Veneto (15,7%), Emilia Romagna (12,7%). La maggior parte delle acquisizioni avvengono per residenza (46,0%). Fino al 2008 risultavano maggiori le acquisizioni per matrimonio rispetto a quelle per residenza. Per le donne il matrimonio resta la modalita’ largamente prevalente per l’accesso alla cittadinanza rispetto agli uomini (25,1% vs. 4,7%). Le acquisizioni di cittadinanza interessano soprattutto le province del Nord-Ovest e del Nord-Est, mentre il loro numero risulta molto piu’ contenuto nel Mezzogiorno.

RIMESSE VERSO L’ESTERO
Secondo la Banca mondiale, le rimesse monetarie verso i paesi in via di sviluppo sono stimate in 432 miliardi di dollari nel 2015, ammontare che corrisponde ad un incremento di solo lo 0,4% rispetto all’anno precedente. Si tratta del piu’ basso tasso di crescita a partire dagli anni della crisi finanziaria globale (2008-2009). Secondo i dati diffusi da Eurostat, nel 2013 il primo paese dell’Ue-28 per incidenza di rimesse in uscita verso paesi non Ue e’ la Grecia (89%), seguita dalla Slovenia (86%), dalla Spagna (85%), dalla Svezia (74%) e dall’Italia (73%). Nel 2014, il volume totale delle rimesse inviate dall’Italia e’ stato di 5,3 miliardi di euro, con una diminuzione, rispetto al 2013 (3,1%). Da un lato, il calo del 3,1% va interpretato alla luce delle crescenti difficolta’ economiche in cui versano gli immigrati in Italia. Dall’altro esso mostra che vale il cosiddetto “effetto del tempo”, secondo il quale con il procedere del processo di integrazione nella societa’ di approdo si determini un allentamento dei legami col paese d’origine che dovrebbe determinare una progressiva riduzione nella cadenza e nell’ammontare del flusso di rimesse inviate. Nel 2014, al primo posto si colloca la Lombardia con 1,2 miliardi di euro (che corrisponde al 21,0% del totale nazionale delle rimesse inviate), seppure registri anch’essa un calo del 5,0% rispetto al 2012, il Lazio (985 milioni: 18,5% e -7,0%) e la Toscana (587 milioni: 11,0% e -2,7). Nell’insieme, da queste tre regioni parte il 50% del totale italiano delle rimesse inviate dall’Italia. E’ invece la Sicilia la regione che nel 2014 ha subito il piu’ forte calo rispetto al 2013 nel volume delle rimesse (-5,9%) cosi’ come la flessione piu’ importante rispetto alla situazione nazionale (-15,9%). L’analisi per paese di destinazione delle rimesse evidenzia il primo posto della Romania (876,5 milioni di euro: 16,4%) seguita dalla Cina (819,2 milioni di euro: 15,4%).

LAVORO
Dal 2009 al 2015, sul totale della popolazione in eta’ da lavoro (15 anni ed oltre), la quota degli stranieri e’ passata dal 5,9% al 7,8%. Dal quadro di sintesi della condizione occupazionale degli stranieri, dai microdati della Rcfl-Istat, emerge che nel II trimestre 2015 su un totale di 4.067.145 persone in eta’ da lavoro, vi sono 2.360.307 occupati stranieri (che costituiscono il 10,5% del totale) di cui 1.575.157 extra-Ue (66,7% degli occupati stranieri) e 785.150 lavoratori comunitari (33,3% degli occupati stranieri). Va anche sottolineato che l’88,5% degli occupati stranieri e’ dipendente (nel caso degli occupati italiani, la percentuale scende a 74,0%). Gli stranieri in cerca di occupazione sono 455.578 (14,7% del totale), di cui 328.070 di nazionalita’ non Ue (72,0% del totale degli stranieri in cerca di occupazione) e 127.508 di nazionalita’ Ue (28,0%). Gli inattivi stranieri sono 1.251.261, di cui 922.510 non Ue (73,7%) e 328.750 Ue (26,3%). La distribuzione territoriale degli occupati evoca il quadro gia’ emerso a proposito dei residenti. La maggiore concentrazione di occupati stranieri si osserva nelle regioni del Nord (58,3%), e in particolare in quelle del Nord Ovest (788.405: 33,4% del totale degli occupati stranieri) e del Nord Est (586.940: 24,9%). In generale, quindi, nelle regioni con maggiore presenza di residenti stranieri si registrano percentuali piu’ alte di occupati immigrati sul totale degli occupati. La minore presenza di lavoratori stranieri si registra, invece, nel Mezzogiorno: solo il 17,3% dei lavoratori Ue e il 13,7% degli extra-Ue e’ residente in una regione meridionale. La distribuzione territoriale della disoccupazione segue, sostanzialmente, le proporzioni registrate tra gli occupati, con una maggiore concentrazione nelle regioni del Nord Ovest e del Nord Est. In queste ultime, gli stranieri alla ricerca di lavoro rappresentano circa un terzo del totale dei disoccupati. Nelle regioni del Mezzogiorno la disoccupazione e’ quasi totalmente italiana. La distribuzione degli occupati stranieri nelle diverse attivita’ economiche, confrontata con quella degli italiani, conferma la collocazione tipica del modello di segmentazione del mercato del lavoro, con le maggiori incidenze degli occupati stranieri nel settore dei servizi collettivi e personali (29,8%), nell’industria in senso stretto (18,4%), nel settore alberghiero e della ristorazione (10,9%), nelle costruzioni (9,6%) e nel commercio (8,3%). Nell’insieme di questi settori e’ collocato il 77,0% degli immigrati. Un aspetto da notare e’ il diverso modello di inserimento lavorativo degli stranieri rispetto agli italiani. Un lavoratore straniero, secondo il confronto effettuato, ha maggiore probabilita’, rispetto ad un italiano, di collocarsi nel settore dei servizi collettivi e personali, nel settore alberghiero e della ristorazione, e nelle costruzioni. L’analisi di genere mostra la maggiore concentrazione delle donne straniere nelle “altre attivita’ nei servizi” che va senza dubbio interpretata alla luce del fenomeno, gia’ studiato a livello internazionale, della peculiarita’ femminile, all’interno del lavoro degli immigrati, nell’inserimento nei cosiddetti settore delle “tre C”: caring, cleaning e catering (cura, pulizia e ristorazione). Queste considerazioni risultano piu’ chiare se si esamina la distribuzione degli occupati stranieri per professioni. La quota del lavoro non qualificato degli immigrati e’ del 36,5%, contro il 7,9% degli occupati italiani. In ordine decrescente di distribuzione degli occupati stranieri nelle diverse professioni, seguono quelle nelle attivita’ commerciali e dei servizi (24,9% vs. 18,1% degli italiani), e gli artigiani, operai specializzati e agricoltori (20,5% vs. 14,6%). Il totale di queste incidenze e’ 81,5%: si conferma, percio’, la maggiore presenza degli immigrati nei segmenti bassi di lavoro. Tra gli occupati stranieri quasi il 50% ha un contratto di lavoro stabile a tempo indeterminato, ma con un differenziale retributivo a danno degli immigrati rispetto agli occupati italiani. Un signific ativo altro 20,4% e’ composto di lavoratori dipendenti a tempo indeterminato, che hanno un contratto a tempo parziale che dichiarano di aver dovuto accettare non avendo trovato una posizione stabile, sempre con retribuzioni inferiori rispetto agli italiani che svolgono lo stesso lavoro. Non va trascurato che questi contratti part-time involontari degli immigrati nascondono trasformazioni di lavoro nero in “lavoro grigio” caratterizzate da dichiarazioni di falsi part-time. Queste ultime forme si possono anche porre in relazione ad alcuni nuovi contratti “atipici” che occultano irregolarita’ celate attraverso l’uso improprio di contratti di lavoro autonomo per rapporti a tutti gli effetti di tipo subordinato. Non si potrebbe comprendere se non alla luce di questa ultima considerazione il fatto che nel corso della rilevazione Rcfl-Istat i lavoratori abbiano dichiarato retribuzioni per posizioni di tipo autonomo per le quali in genere nella rilevazione non e’ prevista tale dichiarazione. Per le donne straniere occupate emerge una condizione piu’ svantaggiata rispetto ai loro omologhi uomini stranieri, come si puo’ notare a proposito della loro minore presenza nelle forme contrattuali stabili (40,9% vs. 57,6% maschile), a fronte di una loro maggiore presenza nel part-time involontario a tempo indeterminato (32,5% vs. 10,1%). Inoltre, con la crisi questa forma contrattuale e’ considerevolmente aumentata tra le donne occupate se si tiene conto che nel II trimestre del 2009 la percentuale era del 24,9%. In tutte le posizioni contrattuali i lavoratori immigrati hanno dichiarato retribuzioni inferiori rispetto a quelle dichiarate dagli italiani. In generale, mentre la retribuzione media mensile dichiarata dagli occupati italiani e’ di 1.356 euro, quella relativa agli stranieri scende a 965 euro, pari al 30% in meno (-371 euro). Le differenze salariali, poi, risultano particolarmente significative anche tra donne straniere e donne italiane. Il peggioramento delle condizioni di disagio economico, piu’ intenso negli anni della crisi, interessa in misura maggiore gli stranieri: la riduzione delle famiglie che possono fare affidamento su un unico reddito da lavoro standard scende dall’82,3% del 2008 al 67,0% del 2015 (mentre tra gli italiani passa dall’84,6% al 79,1%). Essere un lavoratore povero significa avere una retribuzione inferiore a 2/3 del salario mediano calcolato su base oraria: piu’ bassa e’ la remunerazione piu’ ci si allontana dal decent work. I lavoratori poveri stranieri sono il 41,7% del totale degli occupati stranieri, percentuale che per i loro omologhi italiani scende al 14,9%. Le donne sono particolarmente penalizzate: se nel caso degli italiani la percentuale di lavoratrici povere sul totale delle occupate e’ significativamente maggiore rispetto ai loro omologhi italiani (27,6% vs. 10,4%), questo differenziale aumenta in modo macroscopico nel caso degli occupati stranieri (donne: 59,3%, uomini: 25,4%). La condizione dei working poor comincia ad essere considerata un elemento non residuale, bensi’ caratterizzante, del mercato del lavoro italiano, considerando che, dal 2014 al 2015, la quota si e’ quasi stabilizzata, con un leggero spostamento dal 18,8% al 18,2%. In linea generale, essere straniere espone le lavoratrici a maggiori rischi di essere collocate in occupazioni a bassa remunerazione, in quanto concentrate sia in occupazioni poco professionalizzate e specializzate sia in settori dove prevalgono livelli retributivi piu’ bassi della media.

SCUOLA
Nell’anno scolastico 2014/2015, gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 814.187, il 9,2% del totale degli alunni. Rispetto al 2013/2014, vi e’ stato un aumento di 11.243 unita’ (+1,4%). Del totale degli alunni stranieri, quelli nati in Italia risultano 445.534. L’incidenza degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica varia in modo molto significativo a seconda dei territori alcuni dei quali hanno una spiccata capacita’ attrattiva nei confronti di immigrati che vogliano insediarsi stabilmente con la propria famiglia. Le maggiori incidenze si riscontrano, di conseguenza, nelle regioni del Nord con il valore massimo in Emilia Romagna significativamente piu’ alto della media nazionale (15,5%), seguita da Lombardia (14,3%) e Umbria (14,2%). L’unica eccezione e’ costituita dalla Valle d’Aosta che presenta un’incidenza inferiore alla media italiana (8,2%). Nelle regioni del Centro Nord, invece, il valore non scende al di sotto del 10%, con la sola eccezione del Lazio (9,3%). Decisamente inferiori i dati relativi alle regioni del Sud. Per fare qualche esempio, mentre in Abruzzo si e’ registrato il massimo valore dell’area (7,2%), questo scende al 2,2% in Campania.

CARCERI
Su un totale di 52.164 detenuti, 17.340 sono stranieri (il 33,24% del totale). Se da un lato si registra una sensibile diminuzione rispetto al 2009, quando i detenuti non italiani rappresentavano il 37,1% della popolazione carceraria, dall’altro, si continua a registrare una sovra-rappresentazione della popolazione detenuta non italiana. Degli stranieri attualmente detenuti, 16.551 sono di sesso maschile e 789 di sesso femminile. Focalizzando l’attenzione sulle nazionalita’ degli stranieri condannati, emerge come alcune contribuiscono al fenomeno in misura trascurabile, mentre le prime quattro nazionalita’ rappresentano il 57,53% del totale dei detenuti stranieri. La nazionalita’ piu’ rappresentata negli istituti penitenziari e’ quella dei cittadini provenienti dal Marocco (2.840 detenuti), seguita dagli stranieri di nazionalita’ rumena (2.821), albanese (2.423) e tunisina (1.893). Occorre sfuggire, tuttavia, a frettolose analisi che facciano concludere per l’attribuzione a determinati gruppi etnici di una maggiore propensione al crimine. Il dato sulla popolazione carceraria, infatti, va letto considerando che le comunita’ straniere sopra menzionate sono quelle di piu’ antico insediamento e anche numericamente piu’ consistenti nel nostro Paese. Gli stranieri detenuti sono mediamente piu’ giovani rispetto agli italiani. Nelle carceri italiane l’eta’ media della popolazione detenuta e’ di 40 anni. Nel caso degli stranieri, invece, si registra una prevalenza di detenuti di eta’ compresa tra i 30 e i 34 anni (sono il 21,2%), mentre quelli con piu’ di 60 anni sono in tutto 198 (appena l’1,1%). Le persone senza legami familiari (7.570 celibi/nubili) prevalgono su quelle che hanno contratto matrimonio (4.170 coniugati). Cio’ nonostante, il 27% dei (4.674) ha gia’ dei figli (da 1 a 2 rispettivamente 1.982 e 1.467). Complessivamente gli stranieri detenuti hanno commesso 8.192 reati contro il patrimonio, 6.599 contro la persona, 6.266 in violazione della legge sulla droga, 2.499 contro la pubblica amministrazione e 1.372 in violazione della normativa sull’immigrazione. E’ residuale il numero di detenuti non italiani per il reato di associazione di stampo mafioso, benche’ tale reato interessi anche le organizzazioni criminali straniere: si tratta di 95 detenuti su un totale di 6.887 per il reato previsto dall’art. 416 bis del codice di procedura penale. Per quanto riguarda, invece, le iscrizioni nel registro delle notizie di reato, emerge il dato che vede gli stranieri indagati principalmente per furto, violazione delle norme sugli stupefacenti e lesioni (reati di grande impatto sociale che influiscono sulla percezione della diffusione criminale), oltre che per i reati legati alla loro condizione di irregolarita’ (come le false attestazioni o dichiarazioni a Pubblico ufficiale su identita’ o qualita’ proprie o di altri). Per cio’ che attiene ai reati associativi, emergono le iscrizioni per la commissione di delitti in materia di sostanze stupefacenti, con 1.424 soggetti indagati. Cio’ nonostante, le massime autorita’ investigative segnalano l’ingresso nel nostro Paese di mafie straniere, le quali sempre di piu’ agiscono affiliandosi alle associazioni mafiose italiane.