Il paese litiga sulle modalità di festeggiamento del prossimo Natale, sobriosolocongiuntimaidisgiuntirestanoacasa, e discute sul valore salutare della trasformazione della canonica messa di mezzanotte del 24 dicembre in messa quasi vespertina. Fermi tutti, stop. Riflettere, prego. Facile protestare battendo con la stessa energia i piedi per terra o i tasti del computer. Aperta la cassapanca, si rispolvera qualche principio d’antica rimembranza, ed ecco pronto l’esercito dei preservatori delle tradizioni cristiane. Facilissimo illudersi che il rumore dei tacchi sul pavimento, o i like sui social diventino tamburi d’inizio guerra. La tradizione, l valori religiosi, la nostra cultura. Improvvisamente c’è un rigurgito d’attenzione social. Solo riverberi d’autostima diciamolo, per i cambiamenti e le rivoluzioni, ci vuole altro. Nella scienza, nella società, nella vita. Tra poco sarà Natale. Domenica scorsa è stata la prima delle 4 domeniche d’Avvento. Il protocollo del politicamente corretto è pronto: per le festività compriamo italiano. Certo. Osserviamo il protocollo. Per forza. Salviamo gli anziani. Ci mancherebbe. Però. L’Avvento è il tempo dell’attesa, scaviamo nella memoria e ricordiamo. Una delle profezie del profeta Isaia si riferisce a un re biblico, Jesse, padre di re Davide e antenato di Gesù e al germoglio che spunterà da lui. Cristo è il fiore di quella pianta che rende visibile la promessa della venuta di un Salvatore. Coinvolge Adamo, Eva, e anche l’infido serpente.
Anche Dante in un canto del Paradiso scrive un inno alla Vergine nel cui ventre “si riaccese l’amore”.
Tutta l’Europa ha coltivato per secoli questo tema, in Italia ogni manifestazione artistica affonda in esso le proprie radici. Cimabue, Giotto, Leonardo, Raffaello. I cardini della nostra civiltà sono radicati nel cristianesimo. Impossibile negarli o confonderli con altri. I ragazzi degli anni 70 che col miraggio dell’India si trasferivano in quel magnifico paese, abbandonavano la loro civiltà d’origine ed abbracciavano quella del luogo che tanto li affascinava. Senza vie di mezzo: o l’una o l’altra. Scegliere. Vestitino e rasatura del capo compresi. Dopo un po’ la maggioranza di essi, un po’ smagrita, tornava a casuccia, al vecchio e rassicurante schema originario di famiglia, mami, papi, e il figliol prodigo.
I leoni da tastiera pontificano senza sosta in difesa dei valori dell’intelligenza, del rispetto dell’individuo e della donna. A costo di sconvolgerli alziamo il velo che hanno davanti agli occhi: quei principi, per i quali battono furiosamente sui tasti del loro computer, sono valori della civiltà cristiana, impliciti nella Chiesa cristiana o laicamente cristiani: sono i valori dell’Occidente e, guarda un po’, sono i nostri. Si misurano nella produzione artistica che fin dal Medio Evo racconta la vita di Gesù, con un Dio che è presente, che vive con noi. Mai come in questo momento l’idea di tanti secoli di civiltà cristiana serve ad augurarcene altrettanti. La distanza tra mondo civile e cristiano, che ha fatto sentire tanti moderni e all’avanguardia del pensiero, è in realtà il segno della grande decadenza civile che abbiamo provocato e che potremmo pagare più caro di quanto immaginiamo. Un popolo che cancella le proprie radici rischia di vedersene trapiantare altre, e non è detto che le nuove siano migliori delle prime. I valori cristiani sono valori dell’uomo, anche dei laicissimi rinascimento e illuminismo, e rinunciarvi significa accettare di essere sopraffatti da valori altri che, al di la del giudizio di merito, semplicemente non sono i nostri. E’ la nostra lunga storia d’arte, di letteratura di pensiero che ci chiede di abbandonare l’ipocrisia, la finta correttezza con la quale abbiamo solo creato un vuoto culturale. E’ provato, i vuoti tendono a riempirsi e con qualsiasi cosa sia tanto rapida da riempirli. E allora coraggio, si deve tornare ad essere orgogliosi della propria civiltà, così come ogni altro popolo è orgoglioso della propria. Non è difficile ed è anche molto produttivo. L’abbandono dei nostri valori di spiritualità è umiliante per tutta la civiltà occidentale e diminuisce la sua credibilità agli occhi di chiunque non le appartenga. La soluzione, non troppo bizzarra in fondo, è ripristinare il valore profondo delle parole e del gesto di Costantino, imperatore che fu, prima di muovere dalla Francia verso Roma contro Massenzio: ”In hoc signo vinces”.