di Silvana Lautieri*
È sulla mensola che raccoglie quei testi che, uno alla volta, quasi ogni sera riporto all’attenzione prima di dormire che sembra “salutarmi ” la delicata raccolta di versi che Masullo dedicò a Landa, sua moglie, qualche anno dopo la Sua morte avvenuta il 31 dicembre del 2001. Una telefonata breve, all’indomani, di primo mattino, per darmene notizia, una notizia paventata, dopo la diagnosi inclemente di pochi mesi prima. E penso alla domanda “principe”, quella che ti assale subito nel momento delle perdite: “come non soffrire? Come liberarsi dalla presenza angosciante della Morte?” E’ in questi casi, e mi sovvien di Cioran, che la filosofia abbandona il suo campo specifico e s’interessa all’uomo, alla sua inquietudine che vuole, esige verità che consolano.
“Tu chiusa nel carcere del nulla”: solo pochi versi, cento copie, dedicate alla fedele custode d’amore, alla compagna di vita
“…ad ogni passo ancor m’è naturale l’attesa del tuo gesto compagno/ ed ogni volta, smarrito mi sorprendo sull’orlo di voragine buia/ “.
E’ il dolore che si ascolta nella consapevolezza della relazione, una relazione che si esercita nell’incessante ricerca della conoscenza
E’ la stessa Landa a ricordarlo in una delle numerose conversazioni telefoniche quando, nell’intervallo tra una “ lectio magistralis e l’altra” del marito, , viene a raccontare di quei colloqui complici di premura spesso sofferta , per quegli impegni senza risparmio , sempre generosamente elargiti per amore della “ cura”.
Iolanda “…parola sorriso/ sguardo d’intesa, sponda al mio slancio/ luce di specchio amico incitante segnale d’avamposto…/ “ : una presenza nell’assenza che sembra esercitarsi in quella “ dialettica della solitudine” che convoca il Suo pensiero e la Sua vita, una presenza costante in una dimensione spesso di lontananza per l’ altissimo impegno intellettivo di un Uomo che affascinava intere generazioni con la parola che indaga , scende in profondità ,dispiega , cesella. Una parola che oggi si fa mesta e consegna alla poesia la voce dell’anima ferita: “ cantando amore tu amorosamente canzonavi la mia filosofia ..” racconta il verso , quella filosofia dell’essere che vuole che i pensieri , nelle dolorose circostanze, vengano a noi ponendoci di fronte al nulla , e l’essere , ” spoglio di ogni attributo e parola..” , si stordisce .
Nascere e perire . Ed il passo barcolla. Ma i ricordi restituiscono anche ciò che ha reso bello l’esistere ed allora Gaeta, Torcello, Fiesole dal fondo della memoria sembrano andargli incontro a lenire quel “ ..denso nulla che punge gli occhi e pesa sul desiderio deluso..” .. sicchè gli sparsi frammenti quietano l’animo smarrito.
Ma più che con Freud, è con Epicuro che la filosofia scivola verso la terapeutica, ricorda Cioran, per guarirsi , perché la paura della morte e degli dei rappresentano sempre gli insostenibili turbamenti dell’anima .Un’anima che posta di fronte ad un’esistenza priva di orizzonti ,precipita nella sconfitta ,una sconfitta resa ancora più amara perché si accompagna al peso dei dubbi , quei dubbi propri del non credente che affida al filosofare gli sforzi per eliminare quell’inconfutabile che, solo, sembra poter fronteggiare lo sgomento del “carcere del nulla”.
E’ quando il silenzio dell’animo si fa pesante , infatti, che sperimentiamo la lontananza dalle evidenze e , disancorati, conosciamo improvvisamente quell’assenza della parola che ci precipita nel mutismo e , nello stordimento , solo la poesia viene a consolarci dalla perdita delle certezze e dall’affanno dei dubbi.
Ecco, allora che l’uomo, esiliato da sé stesso ed a confronto con la quotidianità del non–essere, ha bisogno di quel supplemento di coraggio per avvertire il mondo e dispensare raggi che ne illuminano gli istanti ,raggi del sapere, di quella sapienza capace di travolgere ed azzerare la volubilità delle cose : un vero miracolo giacché tutto converge verso di noi in quanto parte da noi.
“..E’ la rivincita della nostra natura che vuole il nostro sapere originato dalle nostre future spoglie ?” chiede il Nostro. Difficile dirlo soprattutto se privi di quella fede che potrebbe impedirci di crollare. E , allora , non resta che trasferirsi nel mondo dei ricordi, affidando alla memoria quel “ nulla “ che non sarà più così sconfortevole se potrà dissolversi nell’Essere come costante flashback dei nostri affranti pensieri per portarne conforto.
E, così, l’ultimo verso: “ ..d’un tratto ti scorsi, smarrita,/ … perfetto il tuo viso, appariva l’ovale di bianchissima pietra levigato senza traccia d’età..,/, ,toltami l’esperienza di te …ora cercarti è ..analgesie dell’anima / estrema resistenza al nichilismo”.
*Presidente del Centro Studi Erich Fromm di Napoli