In un database tutti gli studi scientifici sull’omeopatia

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Roma, 1 giu. (AdnKronos Salute) – La ricerca medico-scientifica in omeopatia ha ‘una casa tutta italiana’. E’ online la prima banca dati tricolore dedicata al settore, realizzata per iniziativa della Federazione delle associazioni e dei medici omeopati, e accessibile a chiunque voglia consultare le pubblicazioni più importanti e affidabili. Il ‘Databaseomeopatia’ – consultabile all’indirizzo http://databaseomeopatia.alfatechint.com – è un lavoro nato con l’obiettivo di rendere più facilmente accessibile la consultazione delle ricerche più importanti in omeopatia. E raccoglie ben 1087 studi e revisioni su medicinali omeopatici pubblicati, indicizzati dal 1949 a oggi, afferenti all’intera letteratura medico scientifica a prescindere dall’esito. Tra questi, figurano 16 meta-analisi, 244 studi randomizzati in singolo o doppio cieco versus placebo o farmaco di confronto, ricerca di base chimico fisica, studi preclinici, revisioni sistematiche con meta-analisi, agro-omeopatia, ecc.

Tutte le referenze, estrapolate da banche dati medico-scientifiche come Pubmed, Embase, Scopus, Core-Hom e Google Scholar, garantiscono fonti affidabili e comprese nella Ebm (Evidence Based Medicine), laddove sono stati invece esclusi dal database studi comparsi su riviste a pubblicazione discrezionale, libri, atti congressuali, riviste non accessibili da Internet, riviste divulgative, editoriali e commenti ad articoli. Ogni singolo articolo scientifico è ricercabile per autore, anno di pubblicazione, editore e keywords, mentre a ogni referenza inserita corrisponde il link per accedere all’abstract dell’articolo. Le pubblicazioni sono suddivise in 9 sezioni riconoscibili grazie alle infografiche identificative: studi in agro omeopatia, ricerca di base chimico fisica, studi preclinici, studi Rct, studi osservazionali, revisioni sistematiche con meta-analisi, revisioni sistematiche qualitative, case report, studi in veterinaria.

Un contributo alla letteratura scientifica in omeopatia arriva dagli studi di Vittorio Elia, chimico fisico che ha dedicato gran parte dei suoi 52 anni di ricerca allo studio dell’acqua, in particolare quella trattata con i protocolli della medicina omeopatica. L’acqua, sostanza senza la quale non esisterebbe la vita sulla terra, “è l’elemento più studiato al mondo ma resta ancora il più misterioso, ed è incredibilmente affascinante e sorprendente”, spiega il ricercatore. Dopo aver insegnato Elettrochimica all’Università Federico II di Napoli, Elia ora si dedica ‘full time’ agli studi sull’acqua, dai quali “sono emerse tantissime proprietà e risposte agli stimoli esterni, assolutamente impensabili fino ad oggi, tutti misurabili con strumentazioni ortodosse”, commenta. E i risultati ottenuti, in sintesi, hanno fondamentalmente mostrato che l’acqua risulta profondamente cambiata nelle sue caratteristiche.

“Le diluizioni omeopatiche, da un punto di vista chimico – spiega ancora il ricercatore – non contengono alcuna molecola del principio attivo iniziale, ma si fa un errore metodologico quando si trae la conclusione che non possano funzionare. L’errore sta nel fatto che l’acqua non può essere trattata come un oggetto inerte, perché prende parte ai processi, come ho dimostrato in circa 50 pubblicazioni scientifiche. Ma queste proprietà sono talmente nuove che non vi è una teoria che riesce a metterle insieme. Sul piano sperimentale – si dice certo Elia – l’acqua che ha subito il trattamento omeopatico è un’acqua con proprietà chimico-fisiche completamente diverse, le più facilmente misurabili, un’acqua che ha mutato la sua struttura molecolare. Su questo piano siamo alla certezza più assoluta nel dire che questi procedimenti modificano l’acqua” sostiene, ammettendo poi: “Ovviamente io mi fermo alle proprietà chimico-fisiche, il resto non spetta a me”.

Sul ‘resto’ sono molte altre le pubblicazioni, come quelle della fitopatologa Lucietta Betti, ex docente al Dipartimento di scienze agrarie dell’Università di Bologna, con cui ancora oggi collabora, e che allo studio dell’omeopatia nei modelli vegetali ha dedicato circa 20 anni. “Ero una virologa classica e facevo sperimentazioni di virologia nelle piante – racconta – quando sono stata contattata per mettere a punto un modello vegetale e testare l’efficacia dei preparati omeopatici. Ero curiosa ma molto scettica ed essendo abituata a pubblicare su riviste internazionali ho posto la condizione che qualunque fossero stati i risultati li avrei pubblicati. Ho sempre lavorato in cieco, aspetto fondamentale perchè i ricercatori non sanno su cosa lavorano e quindi non sono suggestionati. E i risultati ottenuti in questi 20 anni sono inequivocabili”.

“Il primo modello sul quale abbiamo lavorato – riferisce – è stata la germinazione dei semi di frumento, che venivano intossicati da arsenico creando uno stress che portava i semi a germinare meno. Una volta trattati con arsenico omeopatico abbiamo cominciato a vedere che i semi germinavano in modo significativamente maggiore rispetto a quelli trattati con acqua. Abbiamo ripetuto, ripetuto e ripetuto questo esperimento, arrivando a trattare oltre 50mila semi sia per quanto riguarda la germinazione che la crescita, e i risultati – spiega – sono stati sempre riproducibili e significativi, nel senso che questo trattamento omeopatico dava uno stimolo significativo verso la crescita e la germinazione delle piantine. Dunque – sintetizza la ricercatrice – in un modello come questo, dove sicuramente non esiste l’effetto placebo, non essendo le piante suggestionabili, vuol dire che un effetto questi preparati ce l’hanno”.

“Anche se ad oggi non c’è una spiegazione completa su questo effetto – aggiunge – abbiamo però visto con prove di biologia molecolare che hanno un effetto epigenetico, cioè il trattamento con arsenico ponderale induce una iper-espressione genica che, quando trattiamo con arsenico omeopatico, viene di nuovo riportata verso i valori normali. Il tutto dimostrato in lavori pubblicati su riviste internazionali e riprodotti in altri laboratori all’estero”. Dal laboratorio alla serra e al campo. Le ricerche di Lucietta Betti sono andate avanti: “abbiamo ad esempio trattato l’alternariosi nel cavolfiore, utilizzando preparati omeopatici e abbiamo visto sia in laboratorio che in serra e in campo effetti significativi. L’arsenico omeopatico ultradiluito ha dato effetti simili a quelli ottenuti con il rame, e non solo dal punto di vista fitopatologico ma anche agronomico”.

In altre parole, oltre a trattare la patologia dell’ortaggio, quest’ultimo “ha mostrato avere corimbi (le teste) più grandi e un contenuto maggiore di glucosinolati, che sono degli antiossidanti”. Dunque l’effetto è stato duplice: sulla pianta ma anche sull’alimentazione umana dal punto di vista nutraceutico. Altre ricerche sono state condotte per trattare la muffa grigia della fragola, ottenendo anche in questo caso “un contenimento della malattia e un maggiore contenuto di polifenoli (altri antiossidanti) rispetto al controllo”. E ancora: Betti lavora anche a nuovi progetti, come quello in corso in alcune aziende biologiche su alberi da frutta, frumento, vite, pomodoro, melanzana e lattuga. “Con i trattamenti omeopatici utilizzati per risolvere problematiche delle piante, abbiamo già risultati interessanti. Ad esempio negli alberi di pero finora nessun trattamento usato e autorizzato nelle aziende biologiche era riuscito a curare i danni provocati dall’acidia, che con un trattamento agromeopatico è risultato quasi nullo, con quasi il 95% delle pere sane”.

Secondo la ricercatrice dunque “per le aziende biologiche i trattamenti agromeopatici possono essere un’ottima opzione e aprono grandi potenzialità. Purtroppo in Italia – si rammarica – non c’è ancora una normativa ad hoc, quindi possono essere utilizzati solo in progetti sperimentali. Viviamo insomma un paradosso e una contraddizione, perchè la mancanza di normativa viene giustificata con il fatto che non si sa se questi trattamenti possono far male. Ma come? – si chiede Betti – Da un lato ci dite che la loro efficacia è pari a zero e poi che possono fare male?”, conclude.