Infezioni ospedaliere: in Campania 50mila casi l’anno

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in foto Massimo Clementi, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università San Raffaele di Milano

Decontaminazione non corretta e utilizzo eccessivo di antibiotici alla basa delle infezioni ospedaliere che mietono piu’ morti di quanto ne provochino gli incidenti stradali. Sono 7000 ogni anno i decessi per infezioni ospedaliere contro i 3500 avvenuti sulle strade. E’ l’allarme lanciato dagli esperti del settore nel corso del forum nazionale promosso dal Centro Studi Mediterranea Europa a Napoli. “Il fenomeno è estremamente preoccupante”, dice Massimo Clementi, preside della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Universita’ San Raffaele di Milano, che ha svolto una “Lectio Magistralis”.
“Occorre capire quali sono i motivi di questo incremento, e mettere in atto tutte le politiche per arginarlo. Una modalita’ importantissima e’ quella della decontaminazione ambientale, ha puntualizzato Clementi, seguita da un intervento microbiologico tempestivo”. Il record di infezioni dopo un intervento chirurgico lo detiene la Valle d’Aosta, con 500 casi ogni 100mila dimessi. Seguono la Liguria con 454 e l’Emilia Romagna con 416. Distanziate di poco la Lombardia, il Veneto, l’ Umbria e la città di Trento che ne contano sui 300, caso più caso meno. Nel Lazio si è toccato il tetto dei 211 mentre in tutto il Sud solo la Calabria supera quota 200. La piu’ virtuosa e’ l’Abruzzo con sole 70 infezioni. Secondo il “Rapporto 2016 sulle resistenze all’antibiotico e sull’uso di antibiotici rilevati nelle strutture Ospedaliere della Campania”, nei nosocomi si registrano circa 50mila casi di infezioni causate per il 22% dall’Escherichia Coli, per il 12,5% dallo Staphylococcus Aureus e per il 9% dal Klebsiella Pneumoniae.
I reparti dove è più facile contagiarsi? Terapia Intensiva (20,60% dei casi), Medicina (15,33%) e Chirurgia (14,20%) condividono il triste primato delle infezioni. “Le Infezioni Correlate all’assistenza (Ica), rappresentano oggi uno dei più spinosi problemi in Sanità a livello Globale”, dice l’infettivologo napoletano dell’Ospedale Cardarelli, Alessandro Perrella. “In Italia, prosegue Perrella, la maggior parte delle Ica sono dovute a specie batteriche che presentano resistenza agli antibiotici. Tuttavia, circa il 50 per cento delle ICA sono sostanzialmente prevedibili e pertanto evitabili, attraverso una serie di comportamenti professionali definiti come ‘sicuri’. Il corretto controllo di tali fattori passa attraverso l’attuazione di tutti i correttivi necessari”.
“Non e’ piu’ tollerabile che chi siano persone che si ricoverano in una struttura sanitaria per essere curate, e ne escano con una patologia piu’ seria di quella per la quale si erano rivolte ai medici”. E’ perentoria la neoeletta vicepresidente della commissione Sanita’ della Camera dei Deputati, Michela Rostan. “Il nostro Paese non puo’ sopportare settemila vittime ogni anno perche’ nelle nostre strutture non si pone la dovuta attenzione alla disinfezione e alla decontaminazione”, prosegue la deputata di Liberi e Uguali. “Sottoporrò nei prossimi giorni all’attenzione della Commissione questo delicatissimo tema e proporro’ l’adozione immediata di misure straordinarie per ridurre il numero di contagiati al di sotto della soglia minima accettabile in un Paese come il nostro”. La deputata di LeU sottolinea come soluzioni a portata di mano esistano gia’. Accanto al tema della decontaminazione un ulteriore fattore di preoccupazione e’ quello dell’antibiotico resistenza di molte forme batteriche, come sottolinea il consigliere regionale Michele Schiano di Visconti che e’ anche un medico chirurgo. “Una diffusione che deve essere monitorata costantemente, specie in ambito ospedaliero, dove e’ responsabile di complicanze che possono portare alla morte”. “Una strage silenziosa sulla quale difficilmente si accendono i riflettori e i motivi sono facilmente intuibili. E’ un problema che riguarda circa mezzo milione di persone nel nostro Paese”, dice Gaspare Saturno, numero uno del Centro Studi Mediterranea Europa. Di queste, una percentuale che oscilla tra il 5% e il 17% dei pazienti ospedalizzati contrae un’infezione – aggiunge – e per il 3% di loro il decorso e’ letale. Si tratta di numeri che devono necessariamente essere ridotti se vogliamo parlare di un servizio sanitario nazionale degno di questo nome e della tradizione che l’Italia vanta a livello mondiale in questo settore”. Nella sua relazione il professor Roberto Lombardi del Dipartimento Innovazioni Tecnologiche dell’Inail evidenzia, estrapolando i contenuti di uno studio del Ceis dell’Universita’ di Tor Vergata, l’impatto dell’adozione di buone prassi, di ricerca mirata e di innovazione tecnologica in tema di decontaminazione e disinfezione sulla spesa pubblica, attuando la vigente normativa di settore. Secondo lo studio menzionato per ogni infezione ospedaliera vanno in fumo tra i 9mila e i 10mila euro. All’incontro hanno partecipato, tra gli altri, Domenico Falco (presidente del Corecom Campania), Maria Galdo (Società Italiana Farmacisti Ospedalieri), Stefania D’Auria (Hcrm – Hospital & Clinical Risk Managers), Oreste Caporale (dirigente medico del dipartimento igiene e medicina del lavoro e prevenzione, Azienda Universitaria “Federico II” di Napoli), Maria Rosaria Esposito (Anipio, Società Scientifica Nazionale Infermieri Specialisti nel Rischio Infettivo) Nicola Ammaccapane e Gennaro Carrino (vicepresidente e segretario generale del Centro Studi Mediterranea Europa).