Interpretazione e alta scuola d’artigianato. Quando identità e cultura diventano economia

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Napoli c’era una volta, Napoli c’erano i guantai, Napoli c’erano gli ombrellai, c’erano i ciabattini ed anche i fabbricanti di scarpe, le sartorie, gli orafi, i pastorai, i maestri cioccolatieri, i liutai, i tipografi. Napoli c’era una volta: scontato titolo di una prevedibile piece teatrale.
Un lugubre pianto sulle rovine di Troia fumante. Il lamento impera, oh si, i giovani non vogliono fare più questi mestieri. Certo, preferiscono chissacosa, guadagnare facilmente, l’artigianato è sacrificio, dedizione. Muffe e ascomiceti si abbarbicano a queste parole che sebbene espressione di una situazione di notevole importanza sono diventate solo parole vuote usate per protesta o come promessa affabulatrice del potente di turno. E invece no. Signori si tratta di cultura. Di quella che ha radici antichissime, di quella che produce quelle che, col solito abuso, si definiscono eccellenze. Nessuno si sveglia un mattino e decide: da oggi faccio l’ eccellenza. Succede, praticando un mestiere, un arte, una professione. Nel tempo, con fatica e studio. Perché come dice un antico proverbio: nessuno nasce imparato.
La grande tradizione artigiana altro non è che la grande cultura di un popolo. Ogni grande è stato a bottega, pensate a Leonardo, Giotto, Ad un grande medico, ingegnere, ombrellaio. A qualsiasi grande filosofo. Ognuno si è formato alla scuola di qualcun altro, che magari non era un artista, ma di certo fu un ottimo maestro. La forza identitaria per un popolo comincia proprio da qui. Dal coltivare con passione quei mestieri tradizionali che hanno raccontato al mondo la cultura di un popolo. “Italiani popolo di santi e navigatori”. Tra i tanti frati, emersero i santi. Cristoforo Colombo non si svegliò un mattino decidendo di scoprire l’America. Lo sguardo mesto di chi continua a dire che potremmo vivere di cultura, turismo, artigianato e mele cotte non può più avere spazio. Tanto ne ha avuto, e non è servito a niente.
L’avvento del Covid 19 ha accelerato molti processi di chiusura delle piccole imprese artigiane e la conclusione è stata la richiesta di una valanga di misure di sostegno.
Il problema non è il quantum si riesca ad ottenere da stato e regione per mantenere in vita l‘artigianato. Ce n’è bisogno, in un frangente anomalo come quello che viviamo. Non si esaurisce in questo però, sicuramente. Che noia inutile la solita, sempiterna, messa pezzente alla ricerca goffa di un elemosina temporanea e sterile. Est modus in rebus, intanto. Il reale problema è far si che l’artigianato, quello serio, continui negli anni a caratterizzare il territorio trasmettendone valori, tradizioni e capacità. Che si sviluppi una classe di giovani operatori che sappiano mettere a tecnologia al servizio delle antiche tecniche.
E insieme a tanti bravissimi operatori, nascerà di certo qualche eccellenza.
Bello criticare, facile protestare. Verissimo, ma non sufficiente. Dalle tecniche dell’interpretazione, bisogna trarre il famoso metodo delle tre P: Protesta, Partecipazione, Proposta. Accogliere le istanze, raccogliere intorno ad esse tutti i lavoratori, esperti, amanti e investitori e quindi proporre. La proposta che è propria del metodo, non può che essere quella di realizzare, proprio nella patria di quest’artigianato identitario, un polo formativo ad altissimo livello. Un alta scuola di formazione per l’artigianato tipico. Un calzolaio, ad esempio, capace di produrre “sorrentine” e “capresi” da vendere, su internet o di persona, a chiunque, in ogni punto del mondo, ami la calzatura mediterranea o che voglia saper danzare al suono di un tamburello o di uno strumento elettronico che ne riproduca la sonorità. Una pittura, una ceramica, o una porcellana raffinata e trasparente come solo i laboratori di Capodimonte sanno produrre. Inutile dire che ci sono Se esistono scompaiono nelle nebbie di un individualismo senza futuro. Bisogna fare sistema specie nella formazione. Se possiamo salvarci è su questo che dobbiamo puntare. Sarebbe dire addio alla disoccupazione e salutare l’alba di un economia ricca e consapevole delle proprie origini. Questa è cultura, quella vera, quella che immortala un popolo. Mica male. Basta davvero poco e la resa è inconfutabile. Quando si comincia?