Italia, di scena a Roma i “cento modi per portare un Paese allo sfacelo”

Correva l’anno di grazia 1990 quando il Cancelliere Kohl annunciò al mondo che la Germania era tornata una e, per di più, occidentale. I sacrifici economici che costò la riunificazione negli anni a seguire al governo all’epoca con sede a Bonn, sono stati macinati a sufficienza dai mezzi dell’informazione. Essi furono ben compensati dai risultati raggiunti dal paese ritornato grande dopo che quella costola era stata riattaccata. Un particolare della vicenda della ricostruzione del settore est di quello stato, per essere più vicini alla realtà meglio definirla adeguamento dell’apparato industriale nonché delle infrastrutture agli standard occidentali, è rimasto fuori del fascio di luce mediatico per molto tempo. Sta tornando ora all’attenzione generale, seppure in punta di piedi, una situazione con molti punti di contatto con quella appena ricordata. Nell’ autunno di quell’ anno fu demolito il muro di Berlino e già all’inizio dell’ anno successivo il ministero dell’ industria tedesco inizió a mettere in piedi programmi e piani necessari alla bisogna. Rendendosi conto che quell’opera sarebbe stata di portata eccezionale, la classe politica al governo, trovandosi d’accordo con buona parte dell’opposizione e della burocrazia, fece si che in quell’opera fosse coinvolta anche l’imprenditoria straniera, quindi internazionale. Per l’Italia furono presi contatti con Ance e Confindustria. Si mobilitarono aziende di tutto il territorio nazionale e l’esperienza si chiuse con soddisfazione del committente e di chi realizzò le opere. Particolare non trascurabile: la manodopera di ogni genere fu reclutata in loco. L’ augurio, anche dell’ ultimo cavernicolo di questo mondo, è che la parola guerra sparisca da ogni vocabolario, prima di tutti gli altri da quello cirillico. Pur sapendo che è pura utopia, non guasta fare voti che almeno la guerra in Ucraina in qualche modo si fermi e a breve, con soddisfazione per Zelensky, poco importerà la rabbia che tutto ciò scatenerà all’interno del Cremlino e anche al suo esterno. Ben pensando che sarebbe stato opportuno giocare d’anticipo, nel caso in specie fin troppo, zitto zitto e piano piano, nelle ultime ore il Presidente di Confindustria Carlo Bonomi si è recato in visita, come ha potuto, al presidente Zelensky a Kiyv. Anche per gli osservatori italiani, quel viaggio è stato del genere di quelle che si definiscono ‘improvvisate. La sua portata è stata sicuramente più che rilevante per diversi motivi, di cui alcuni più degli altri. Uno, di facciata ma nemmeno tanto, è stato la manifestazione concreta e formale della solidarietà del mondo dell’ economia reale, più ampiamente del fare, italiana alla popolazione ucraina. Un altro è stato quello che il presidente dell’associazione imprenditoriale più importante del Paese abbia messo per primo piede in quell’ enorme cantiere che prima o poi aprirà i cancelli. Bonomi si sarà sicuramente ispirato a un antico modo di dire diffuso nella campagna veneta: “l’uccello che al mattino prende il volo per primo, becca la preda più grande”. Fatto sta che il presidente ucraino ha dichiarato ufficialmente di aver apprezzato molto quella disponibilità a collaborare offertagli.
Se son rose fioriranno, intanto le piantine sono state messe per tempo a dimora e saranno coltivate con cura. Se si concreteraanno operazioni del genere descritto, esse equivarrano a esportazione, una delle attività più efficaci nel processo di ripresa. Chi si sta impegnando a che l’Italia esca al più presto dalla palude in cui è precipitata, vede appunto nella vendita all’ estero di beni e servizi uno degli argani più efficaci per compiere quella manovra: la ricchezza viene prelevata da altri sistemi economici. Fin qui l’Italia ancora una volta ha dimostrato di essere patria di viaggiatori oltreché di santi e altre figure che si riferiscono a comportamenti professionali. Quelli che invece sono venuti via via scemando dalla metà degli anni ’70 in poi, sono i Politici, precisamente la parte di loro con l’iniziale maiuscola. Di politicanti, invece, ne è pieno lo Stivale. Quello che sta succedendo a Roma in questi giorni basterebbe a riempire le pagine di più di un libro, il cui titolo potrebbe essere, a ragion veduta, Come non si governa un paese, sottotitolo 100 modi per portarlo allo sfacelo. Gli italiani, gente di qualità ma talvolta furbetta, assumono in determinate occasioni l’ atteggiamento di chi presume di saperne di più di chiunque altro, avendo conosciuto una persona che… gli ha confidato di essere in grado di fare miracoli. È di poche ore fa il ritorno in scena di un fatto che rientra tra quelli appena accennati. A riportarlo alla luce è stata la morte tragica di un broker o sedicente tale che si era fatto affidare la gestione dei loro patrimoni da personaggi di rilievo. Gli stessi sono noti per non essere degli sprovveduti, cionostante si fecero incantare dai rendimenti altissimi che quella sirena assicurava. Lo schema con cui operava, collaudatissimo e mai passato di moda, era quello elaborato nella prima metà del secolo scorso dall’italo americano Ponzi, simile alla catena di Sanntonio. Qualcosa del genere è successo anche tra gli schieramenti politici e qualcuno tipo quello delle 5 Stelle è prossimo a scoppiare proprio una supernova. Domanda retorica: che affidabilità poteva dare un movimento arraffazzonato da un guitto, meglio un buffone di corte, che a mò di pifferaio magico si era tirato dietro i personaggi più disparati con ogni tipo di bagaglio culturale, essendono alcuni di loro completamente privi. Ora, in una fase delicatissima dell’evoluzione del Paese, resa ancora più instabile da quanto sta accadendo in Europa, in Francia in particolare, la domanda più ricorrente è come si possa essere arrivati a tanto. In campagna, in situazioni analoghe, si fa largo la domanda retorica di chi sia più sciocco, la volpe o chi la rincorre. Eppure l’esperienza del Carroccio c’era già stata. Quello che è arrivato, non invitato, quando già l’Armata Brancaleone al seguito dell’insetto era prossima alla ritirata, è stato il branco delle Sardine. È tipico di quei pesci muoversi in branco e sparire all’istante dirigendosi verso mete esotiche. Almeno fin’ ora, tutto fa credere che l’epilogo per quella neoformazione, non meno perniciosa di quelle così chiamate in medicina, sia stata proprio la presa del largo. Può essere illuminante ritornare con la mente al film di Pasquale Squitieri I Guappi, uscito nelle sale nei primi anni ’70.
Ambientato nei primi anni del secolo scorso, narra di un capo guappo che scaccia violentemente dalla cantina che aveva aperto e stava inaugurando un pazziariello, fantasista di strada in uniforme borbonica, presente per le vie di Napoli fino a qualche anno fa. Il capo guappo lo ammonisce violentemente dicendogli a denti stretti che i cantinieri devono fare i cantinieri e i pagliacci i pagliacci. Niente di nuovo sotto il sole, quindi, quanto sta accadendo in questi ultimi anni qua e là nel mondo. Con un’aggravante di non poco conto: di non far tesoro, di volta in volta, delle esperienze fatte e delle loro conseguenze.