Jihad, la centrale del terrore s’è spostata nel nord Africa

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È stata una settimana infernale. E non solo per il caldo torrido che si è trascinato dietro l’anticiclone Lucifero. Con le correnti d’afa provenienti dall’Africa è arrivato infatti anche il terrore. Di nuovo. E stavolta non si tratta di lupi solitari, concordano investigatori ed analisti. A insanguinare la Rambla di Barcellona, giovedì scorso, e, nella successiva notte, il lungomare di Cabrils, è stata una cellula terroristica di quelle ben organizzate. Una cellula maghrebina proveniente dal Sahel, area sub Sahariana da sempre in guerra, incubatrice di numerose formazioni jihadiste. Secondo fonti di intelligence marocchine, è qui che si stanno riorganizzando le milizie dei foreign fighters in fuga dai rovesci dello Stato Islamico in Siria, con Raqqa ormai nelle mani dei curdi e il centro del Paese presidiato dalle forze di Assad. Ma non solo. Oltre al Sahel c’è anche una base di terroristi che fa stanza nelle zone del deserto della Libia, dove, dopo la sconfitta subita dalle truppe del generale Haftar, si starebbero riorganizzando invece le milizie in fuga da Sirte. “E nordafricano è pure Mohamed Ben Salem al-Ayouni, in arte Jalaluddin al-Tunisi, indicato come il nuovo capo dello Stato Islamico”, ha annotato il direttore de Linkiesta.it, Francesco Cancellato, il quale – mettendo, evidentemente, insieme gli ultimi eventi – “prefigura lo scenario per noi più pericoloso: quello che sposta il fronte dal Medio oriente verso il nord Africa e verso il Vecchio Continente”. 

Insomma, il collegamento con gli sbarchi di immigrati provenienti dalla Libia, fortemente ridimensionati dal protocollo imposto alle Ong dal ministro dell’Interno Marco Minniti, e con il giallo dell’omicidio di Giulio Regeni riproposto pesantemente all’attenzione dell’opinione pubblica da un articolo del New York Times (e, dunque, i rapporti tra Italia e Egitto passando, al solito, per gli Usa e tutti gli interessi politico-economici recentemente emersi con l’attivismo di Francia e Inghilterra) il collegamento – si diceva – è addirittura ovvio. Invero, la “questione nord africana” dovrebbe essere “affare” non nazionale, ma dell’Unione Europea nel suo complesso. Ma stendiamo un velo pietoso.

Riguardo agli immigrati, invece, è indubbio che la “cura Minniti” sembra funzionare. A luglio, rispetto a un anno fa, gli sbarchi di migranti provenienti dalla Libia si sono dimezzati (11.459 sbarcati contro 23.552). Ad agosto, il calo è stato ancor più vertiginoso. Nell’ ultima settimana si contano 544 salvataggi contro 1750 dell’ analogo periodo. Nella prima metà di agosto sono approdati in Italia in 2245; nello stesso mese di un anno fa erano stati 21.294.

Ma la linea Minniti non piace a tutti. “Il nuovo piano d’ azione europeo e il codice di condotta dell’Italia per le Ong – hanno accusato il relatore Onu per i diritti dei migranti, il cileno Felipe Gonzalez Morales, e quello contro la tortura, lo svizzero Nils Melzer – stanno spostando le frontiere europee in Libia, contravvenendo al diritto internazionale. La Libia – hanno aggiunto – non può essere vista come un luogo sicuro per sbarcare i richiedenti asilo”.

A proposito del caso del giovane ricercatore torturato e ucciso in Egitto, invece, è evidente che tra Casa Bianca e Palazzo Chigi qualcuno mente sapendo di mentire. Il caso Regeni è diventato inopinatamente la carta moschicida di inconfessabili ragioni di Stato e di interessi economici. Invece è soltanto una sordida storia di spie. Qualche mese fa – era aprile – nel presentare il suo libro “Servizi e Segreti, introduzione allo studio dell’Intelligence” nella sala conferenza del Belvedere di San Leucio, il generale in pensione Mario Mori lo disse chiaramente: “Io proverei a chiedere spiegazioni ai servizi inglesi, che spesso utilizzano inconsapevoli studenti per le proprie missioni”. La tesi è riemersa in questi giorni: Regeni operava come inconsapevole pedina nelle mani della professoressa di origine egiziana Maha Abdelrahman dell’Università di Cambrige, vicina alla fratellanza musulmana, che lo avrebbe usato per raccogliere informazioni per conto dei servizi segreti inglesi. E il cerchio chiude.

Ma parliamo, finalmente, anche di cose positive. L’Istat ha certificato il buon andamento economico del Paese: il Pil è previsto a +0,4% sul trimestre precedente e dell’1,5% nei confronti del secondo trimestre del 2016. Insomma, “i risultati arrivano, il tempo è davvero galantuomo”, ha commentato l’ex premier Matteo Renzi. E poco importa se nel frattempo l’inflazione non si schioda dall’1,2%. Peraltro, è appena il caso di notare che il tasso di crescita italiano è pari alla metà di quello spagnolo e a due terzi di quello tedesco. Ma non stiamo a spaccare il pelo in quattro.