L’antenna tv sul lastrico solare? È sempre possibile

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È sempre possibile installare l’antenna sul lastrico solare.

L’assemblea non può impedire al condomino di installare, sul lastrico solare di proprietà del condominio, la propria antenna tv anche se già vi è un impianto centralizzato. Lo ha chiarito il Tribunale di Milano con una recente sentenza (26/02/2015) che richiama un principio già affermato, in passato, dallo stesso foro (Trib. Milano sent. n. 11707 del 07/10/2014). Dunque, il proprietario che voglia installare una parabola sul tetto né deve chiedere l’autorizzazione agli altri condomini (in assemblea), né può, da questi, essere ostacolato nei lavori. Negare tale possibilità significherebbe menomare il diritto di ciascun condomino all’uso della cosa comune e al pieno godimento della proprietà. L’ultima riforma del condominio ha sancito il diritto di installare impianti non centralizzati per la ricezione radiotelevisiva e per l’accesso a qualunque altro genere di flusso informativo, anche da satellite o via cavo (Art. 1122 bis cod. civ.). I collegamenti fino al punto di diramazione per le singole utenze sono realizzati in modo da recare il minor pregiudizio alle parti comuni e alle unità immobiliari di proprietà individuale. Se i lavori sul tetto dovessero richiedere modifiche alle parti comuni, l’interessato deve comunicarlo all’amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi. L’assemblea può prescrivere adeguate modalità alternative di esecuzione o imporre cautele a salvaguardia della stabilità, della sicurezza o del decoro architettonico dell’edificio. (Cass. sent. n. 26468/2007).

Impossibile abbassare il massetto o il pavimento dello scantinato: equivale a rubare spazio al condominio perché appartiene a tutti i proprietari di un appartamento nell’edificio.

Il singolo condomino non può abbassare, autonomamente, il piano di calpestio del proprio scantinato: l’area di superficie posta alla base dell’edificio è di proprietà comune di tutti i condomini (salvo che l’atto di provenienza non disponga diversamente). Pertanto ridurre il massetto della proprietà individuale equivale a rubare spazio al condominio e agli altri proprietari esclusivi. Chi lo fa senza essere autorizzato dall’unanimità dell’assemblea può subire, successivamente, una condanna da parte del giudice a riportare i luoghi allo stato in cui si trovavano in precedenza. Lo ha chiarito la Cassazione in una recente sentenza (05/06/2015, n. 11667). Il singolo che si appropria di parte del sottosuolo, scavandolo, lo sottrae ai condomini, visto che è di proprietà comune e non può essere toccato se non c’è il consenso di tutti. Ciò non viene chiarito espressamente dalla legge, ma lo si intuisce, implicitamente, dal combinato disposto delle norme del codice civile in materia di proprietà comune (Artt. 1117 e 840 cod. civ.). La giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che il volume inglobato nella proprietà individuale dopo l’escavazione non solo costituisce un’appropriazione del bene comune, ma sottrae lo spazio a ogni possibilità di futuro godimento da parte degli altri.

Distanze di sicurezza tra palazzi: il regolamento comunale non può derogare la legge statale del 1968, emanata per evitare che tra gli edifici si realizzino intercapedini pericolose per l’igiene.

Non meno di 10 metri, a partire dai balconi: è questa la distanza minima che il nuovo palazzo deve rispettare rispetto all’immobile già esistente di fronte, che presenta pareti con finestre. Diversamente va tutto demolito. E ciò vale anche se il regolamento comunale prevede un differente meccanismo di calcolo della spazio “di sicurezza”, stabilendo che nella distanza minima non vadano considerati i balconi. La diversa norma emanata dal Comune non può mai derogare la legge statale (Art. 9 del Dm 1444/1968) dettata per evitare che si formino intercapedini a rischio per l’igiene e la salute dei residenti. È quanto emerge da una recente sentenza del Tar Campania (sent. n. 2688/15). Secondo i giudici, lo stop al permesso di costruire scatta anche se il regolamento comunale consente di calcolare il minimo al lordo e non al netto dei balconi. La distanza minima dei dieci metri può essere calcolata al lordo dei balconi solo quando si tratta di aggetti con una funzione semplicemente decorativa o di piccole dimensioni. Al contrario è sempre necessario calcolare lo spazio tra i due edifici al netto dei balconi quando le strutture sono invece “vivibili” perché consentono al proprietario di estendere su di esse l’uso dell’appartamento come se ne fossero un prolungamento.

Parcheggi condominiali occupati abusivamente da parenti e amici dei condomini, a volte anche da estranei: per installare recinzioni come sbarre e cancelli elettrici ci vuole l’assemblea.

Trovare un posto auto libero è sempre più difficile; così spesso si va ad occupare gli spazi condominiali dei palazzi limitrofi. Se, però, tali cortili fanno parte della proprietà comune condominiale, il parcheggio non autorizzato è illegittimo. Così gli edifici preferiscono spesso dotarsi di sbarre e cancelli elettrici, azionati con telecomando a distanza, al fine di evitare un posteggio selvaggio. Ma qual è la maggioranza che l’assemblea deve raggiungere per approvare l’installazione di tali elementi? La questione dell’installazione dei sistemi di automazione quali cancelli e sbarre, è tutt’altro che pacifica. In prima battuta la Corte di Cassazione (sent. n. 4340/2013) aveva ritenuto che questi lavori dovessero essere qualificati come “innovazioni” (art. 1120 cod. civ.) e che, pertanto, richiedessero la maggioranza qualificata – la maggioranza degli intervenuti ed almeno i 2/3 del valore dell’edificio. I giudici supremi, poi, sono tornati sui loro passi, accogliendo una tesi più elastica e facendo rientrare la sbarra condominiale nel concetto di “modificazioni”. La conseguenza è un abbassamento del quorum deliberativo: secondo, infatti, una recente sentenza (Cass. sent. n. 3509/2015; cfr. anche Cass. sent. n. 4340/2013), l’assemblea di un condominio ha tutto il diritto di decidere l’installazione di un cancello automatico e tale deliberazione richiede la maggioranza semplice (Art. 1136, co. 2, cod. civ.).