L’arroganza del potere negativo

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oriana

Ma vi rendete conto di quanti arroganti ci siano in giro e in particolare in ruoli che dovrebbero essere di servizio?

L’arroganza è il senso di superiorità nei confronti del prossimo, che si manifesta con un costante disdegno e nel richiedere ed attribuirsi ciò che non spetterebbe.

L’arroganza si esprime in molti modi: c’è quella esplicita del burocrate che sfoga la sua frustrazione costringendoci a subire forzature che offendono l’intelligenza e guai a chiedere il senso di alcuni procedimenti: si corre il rischio di sanzioni che consistono in altri rallentamenti o incongruenze.

C’è l’arroganza “mistica” di coloro che per stare meglio sopra si mettono sotto. Sono quelli che con fare umile e strisciante sono pronti con dolcezza a dare il veleno, stupendosi che possa non piacere.

Poi c’è l’arroganza greve e grave di chi ha potere organizzativo che non è collegano alla responsabilità di risponderne in termini di risultato di valore per il sistema in cui si manifesta, esemplare è il nostro scenario politico (prevalente).

L’arroganza in generale, come affermavo, consiste nella svalutazione dell’interlocutore e una delle espressioni di questo consiste nel costringere l’altro a esserci (ad esempio a un appuntamento) mentre lui (chi ha potere) può decidere di ritardare e neanche avvertire.

In questo senso il ritardo o l’assenza possono avere esattamente lo scopo di indicare una dipendenza da subire che rilevi una differenziazione che non è ovviamente solo organizzativa.

Questo è un grande paradosso che accade proprio quando invece chi ha il potere dovrebbe essere “a servizio”.

Il rispetto dei tempi è un formidabile indicatore di questa malattia del potere negativo che purtroppo a Napoli è più frequente che a Lugano.

Sono disorientato, anche se mi capita da trent’anni. “Lo sai che i napoletani sono fatti così”.

Questa è la frase che amici del nord usano per spiegare, ma anche i napoletani stessi, trasformando questo comportamento molto negativo quasi in un vezzo simpatico.

Questo è un giudizio che è diventato pregiudizio ma purtroppo (prevalentemente) plausibile.

I napoletani che “fanno i napoletani” alimentano i pregiudizi di cui spesso si lamentano.

L’affidabilità è determinante, sempre.

Lo sviluppo di un sistema dipende dalla capacità di aumentare dimensioni plurali di valore di quel sistema, quindi dalle relazioni di chi ci vive.

Si dice “scambio di valore”, ma che significa concretamente?  Vuole dire che i protagonisti cooperano per costruire insieme qualcosa che non potrebbe avvenire se non ci fossero loro e si confermano attraverso comportamenti che permettono vantaggi (concreti o/ed emotivi) reciproci.  In sostanza esserci per l’altro è comunicare che ci siamo, perché lui vale per noi e, quindi certamente noi saremo di valore per lui.

Non esserci, non rispettare gli impegni è invece ottenere esattamente l’opposto.

L’arroganza si manifesta soprattutto in questo modo: creando attese di presenza per poi deluderle (a volte intenzionalmente per porre l’accento “chi può e chi non può”). Sono le strade che portano a forme di dipendenza autoimposta e alla “raccolta di buoni premio inimicizia”che alla fine saranno riscossi da chi è costretto a chinarsi per mettersi al di sotto dei nani morali che lo impongono.

Nella mia lunga storia di consulente ho avuto a che fare con tutti i livelli sociali e organizzati e ho scoperto che chi è in basso nell’organizzazione deve essere puntuale; man mano che si sale, si tende a essere in ritardo o a disattendere gli impegni. Questo è direttamente in relazione al gap sociale o organizzativo.

Diventa un parametro del potere negativo.

Chi ritarda di più sono i dirigenti, ma poi i vertici invece sono sempre assolutamente puntuali con tutti.

Forse perché non hanno bisogno di questi trucchetti per avere potere e anche forse perché sanno che solo dando valore al suo capitale umano questo può ritornargli come comportamenti che possono tentare il successo dell’organizzazione di cui è responsabile.

Vorrei presentare quattro brevi storie di Paulo Coelho a supporto di quanto affermato.

L’arroganza del potere

Maestro e discepolo chiacchieravano in un angolo quando una vecchia li avvicinò: “Allontanatevi dalla mia vetrina!”, urlò la vecchia. “State ostacolando i clienti”.

Il maestro chiese scusa e cambiò marciapiede.

Continuarono a chiacchierare, quando si avvicinò un ufficiale. “Abbiamo bisogno che lei si allontani da questo marciapiede”, disse l’ufficiale.

“Fra poco passerà il conte”.

“Che il conte usi l’altro lato della strada”, rispose il maestro, senza muoversi.

Poi si rivolse al suo discepolo: “Non dimenticare: non essere mai arrogante con gli umili.

E non essere mai umile con gli arroganti.”.

L’arroganza della santità

Il monaco zen passò dieci anni meditando nella sua caverna, cercando di scoprire il cammino della Verità. Un pomeriggio, mentre pregava, si avvicinò una scimmia. Il monaco tentò di concentrarsi. Ma la scimmia si avvicinò pian pianino e afferrò il sandalo del monaco.- Dannata scimmia! – disse l’eremita. – Perché sei venuto a turbare le mie preghiere?- Ho fame – disse la scimmia.- Vattene via! Stai ostacolando la mia comunicazione con Dio!- Come desideri parlare con Dio, se non riesci a comunicare con i più umili, come me? – disse la scimmia.

E il monaco, vergognandosi chiese scusa.

L’arroganza della forza

Il villaggio era minacciato da una tribù di barbari. A poco a poco gli abitanti abbandonarono le loro case e fuggirono in un luogo più sicuro.

Nel giro di un anno, erano andati via tutti, tranne un gruppo di gesuiti. L’esercito barbaro entrò nel villaggio senza trovare resistenza e fece una grande festa per celebrare la vittoria. A metà della cena, si presentò un prete. “Voi siete entrati qui e avete allontanato la pace da questo posto.  Vi prego di partire senza indugio.”“Perché tu non sei ancora fuggito?”, urlò il capo barbaro. “Non vedi che posso trafiggerti con la mia spada, senza battere ciglio?” Il prete rispose tranquillamente: “Non vedi che posso essere trafitto da una spada, senza battere ciglio?”.

Sorpreso dalla serenità davanti alla morte, il capo barbaro e la sua tribù abbandonarono il posto il giorno seguente.