C’è tendenza a riproporre opere che sono state in auge nei decenni passati e che direttamente o indirettamente hanno contribuito a determinare la situazione in cui siamo. Non ci sarebbe nulla da dire se questa fosse la migliore possibile. Perplessità sorgono quando ci si avvede che quella attuale è una situazione non solo di crisi ma anche di disorientamento, nella quale l’unico valore quasi unanimamente condiviso è il ricercare in ogni modo possibile il proprio tornaconto materiale. Senza dubbio il passato, qualunque sia stato, deve essere conosciuto e ripensato per poter ben comprendere il presente e delineare responsabilmente il futuro. Questo vale anche per le opere di letteratura e di pensiero, che hanno avuto importanza nel loro presente. Ma in un momento in cui, per lo più, mancano opere che diano senso ed orientamento al vivere, potrebbe essere dannoso riproporre come nuove opere che hanno orientato verso la situazione esistente, rafforzando l’opinione che l’unico valore che valga sia quello dell’utilitarismo. Ora più che mai il pensiero ed il poetare dovrebbero sforzarsi di osservare e comprendere la situazione esistente e proporre quello che è necessario per migliorarla. Ma, per ora, ridando validità a quello che aveva affermato Martin Heidegger non sono capaci di farlo né il pensiero, né il poetare, ovvero la letteratura, che continua così ad essere “distruttiva”, ovvero a distruggere antichi valori senza proporne di nuovi, ammesso che ci possano essere nuovi valori oltre a quelli che ha rivelato fin qui la storia dell’umanità. Siamo in uno dei momenti cruciali di questa storia. Sappiamo cose che nessun’altra epoca ha saputo, abbiamo un potere sulla natura che nessun’altra epoca ha mai avuto. Sappiamo quel che è avvenuto nel passato, ma viviamo a vista, non sapendo più se il continuo progresso possa essere positivo come sembrava dovesse essere, o negativo. Anzi aumenta sempre più il numero di coloro che ritengono che possa essere negativo anzi catastrofico se dipenderà solo da uomini che non padroneggiano più la tecnologia, e badano solo al loro contingente. Quasi nulla di tutto ciò si ritrova nella maggior parte delle opere della letteratura italiana, pubblicate nella seconda metà del Novecento. Del resto temi di fondamentale importanza apparvero solo in Eclissi dell’intellettuale di Elémire Zolla, pubblicata nel 1959 e in alcuni articoli di Pier Paolo Pasolini, raccolti in Scritti corsari pubblicata nel 1975, e raramente ripresi in seguito. Ciò quantunque fossero stati già espressi in opere della restante letteratura occidentale dall’inizio del Novecento in poi, tradotte quasi tutte in italiano. Un’opera che esprime chiaramente la situazione del mondo e dell’uomo nel nostro tempo è l’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, pubblicata nel giugno del 2015. In essa, che è stata ispirata da San Francesco, non è citato nessun pensatore italiano del nostro tempo. C’è solo, con varie citazioni, Romano Guardini, che era italiano di nascita ma tedesco per propria scelta e che comunque è pressoché ignorato dalla cultura italiana contemporanea. In Italia si pubblicano annualmente migliaia di libri. Ma da molti anni non viene pubblicata un’opera che possa dar risposte alle domande che si sentono nell’animo. Una tale opera non c’è nella produzione recente, ma non c’è neanche nella produzione dei decenni scorsi, nonostante che critici agguerriti, quando ancor esisteva la critica, si siano sforzati di persuadere che ci fossero.