La città di Napoli negli scritti degli studiosi che l’hanno amata

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di Maria Carla Tartarone Realfonzo

Recentemente la rete televisiva “Televomero” ha trasmesso una commedia ripresa dal Teatro Augusteo di Napoli (la V edizione), “Bentornata Piedigrotta”, che mi ha incuriosita, non solo per la prontezza e la capacità degli attori, ma perché mi ha ricordata la Piedigrotta, una festa che nell’infanzia mi attraeva e consentiva a noi bambini alcuni giorni di pausa dallo studio. Questa trasmissione mi ha aiutata a riflettere: noi abitanti non facciamo molto per la nostra città, guardiamo con indifferenza le sue meraviglie naturali, i suoi monumenti, spesso ignoriamo i suoi ruderi nascosti fra i resti del Monte Echia che forse solo i giovani della “Nunziatella” conoscono, trascuriamo le chiese sulla collina del Vomero, di San Martino, o nei luoghi del centro della città. Eppure, come è accaduto per Capri, la nostra misteriosa isola, ricca di antichi reperti, tanti sono i visitatori che da tutto il mondo sono venuti a cercare i nostri luoghi e noi dovremmo essere lieti e orgogliosi di tanta affluenza. Molti sono gli scrittori stranieri che hanno scritto di Napoli. Ne possiamo leggere nel libro di Cesare De Seta, “L’Italia nello specchio del Grand Tour” e tra i più recenti, John Horne Burns che scrisse nel 1992 “La Galleria, un americano a Napoli”, (edito da Baldini-Castoldi), in cui l’autore descrive le lotte per la sopravvivenza che riscontrava nei vicoli di Napoli negli anni quaranta, rallegrato però dalle vivacità dei giovani e dei bambini, che incontrava nella Galleria di via Toledo. Già nel Seicento e poi nel Settecento leggiamo nell’accurato libro “L’Italia nello specchio del Grand Tour” quanti furono gli europei che, per costruirsi una adeguata cultura, visitarono, tra il XV e XVI secolo, insieme ad altri paesi europei, l’Italia e, dopo aver visto Roma, la Capitale e altre città rilevanti, come Venezia, Milano, Firenze, vennero a Napoli considerandola frequentemente la più bella. L’Italia, proprio nello specchio del Grand Tour, fu detta “meta delle mete”, “per lo splendore dell’ambiente naturale”, e il nostro paese, tra il Seicento e il Settecento, nella vasta Europa, acquisì maggiore coscienza di sé. E vi fu anche la nascita di un particolare collezionismo, per gli acquisti dei ricchi visitatori e si espanse la pubblicità di numerosi artisti le cui opere, visitate nei Palazzi e nelle Chiese illustri, acquisirono fama in Europa. Nel ‘700 il collezionismo a Napoli fu animato anche dagli Hamilton, tra cui William, che ancora giovane, fu nominato inviato Britannico a Napoli, abitandovi nel cuore della città ed avendo interessanti rapporti con artisti di varia provenienza quali Goethe, Hackert, Jones, Wright, Wutky, Ducros, Fabris, tra gli altri. I rapporti dei napoletani con gli stranieri giunti in città attivarono anche rilevanti rapporti culturali tra gli Stati: l’autore ci ricorda che fin dal Seicento a Roma vivevano gruppi di pittori olandesi attratti in Italia dalle opere di Michelangelo e di Leonardo. Tra i numerosi illustri visitatori citati nel libro di De Seta ricordo anche William Beckford che giunto per vistare molti luoghi italiani si fermò più di un mese a Napoli nel 1782 e poi vi tornò nel 1792, attratto anche dalla sua amicizia con gli illustri Hamilton che vivevano a Napoli. Ciascuno degli studiosi visitatori pubblicava poi un testo sulle esperienze vissute in Italia e sulle conoscenze acquisite: tutti personaggi particolari, letterati, artisti rilevanti, non sempre fatti conoscere ai nostri alunni con orgoglio adeguato. Il libro che ho riletto con particolare interesse percorre dal Cinquecento la storia dei viaggiatori europei che sentivano la necessità di procurarsi una cultura adeguata al proprio ceto e quindi programmavano un viaggio, il Grand Tour, su cui poi scrivevano e pubblicavano testi, spesso scritti in latino, lingua studiata in tutta Europa. Anche i Russi giunsero in Italia già a metà del Quattrocento, mettendo in contatto la cultura tardo bizantina con quella russa e italiana. Mentre gli accademici spagnoli imposero nel 1569 agli studenti di lasciare gli atenei stranieri soprattutto per la temuta “contaminazione” durante i viaggi, timore che durò fino all’arrivo dei Borbone nel Settecento. E Nel Settecento anche i regnanti russi, come il figlio della Zarina Caterina, vennero in Italia, per il Carnevale di Venezia, continuando poi il viaggio fino a Napoli. Riprendendo a sfogliare il libro di De Seta, la città maggiormente citata dai viaggiatori era proprio Napoli. Tra gli artisti stranieri, amante dell’Italia e viaggiatore attivo, nel libro viene citato anche l’inglese Ynigo Jones molto interessato alla pittura manierista (Parmigianino, Schiavone, Carracci, Bandinelli) di cui raccolse molti disegni e incisioni. Da ricordare è poi il letterato Maximilien Misson che scrisse un accurato compendio non solo di carattere geografico ma anche storico, e di costume. Trascurando il libro di cui parlo, tra gli scritti recenti ho trovato poi molto interessante il libro di Andrea Doria, “Storia di una capitale. Napoli dalle origini al 1860”, edizione Ricciardi del 1975, in cui si incomincia a parlare della città dalle origini greco-romane fino ai tanti popoli che avrebbero voluto appropriarsene come i Francesi e gli Inglesi che combatterono a lungo, anche per la conquista di Capri, come ci racconta l’autore. Ma gli stessi napoletani ne hanno scritto come Matilde Serao in “Il ventre di Napoli”, Pier Antonio Toma in “La nuova città”, e poi “Napoli Porto”, edito nel 2017, che raccoglie i lavori di numerosi studiosi. Testi che bisogna far conoscere ai giovani perché si rendano conto di quanto sia rilevante e da amare Napoli, la nostra città.