La classe dirigente che Napoli si merita

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Chi dice che Napoli e il Mezzogiorno non abbiano una classe dirigente? Hanno la classe dirigente che si meritano ma l’hanno, come tutte le società o le comunità che si rispettino. La classe dirigente, o le classi dirigenti come qualcuno preferisce indicare, non si forma sotto vuoto spinto ma è l’esatta espressione dell’ambiente che le genera. Di che che cosa o di chi ci lamentiamo quando ci riferiamo a quella che ci capita di avere?
Distillato all’estrema conseguenza questo può essere il succo della discussione stimolata dall’ultimo Sabato delle Idee su uno dei temi più vecchi controversi e dibattuti degli ultimi cinquecento anni e forse più.
Napoli, in particolare, non è stata mai contenta di chi l’ha governata. Da quando ha avuto la possibilità di scegliere i propri rappresentanti si è sempre dichiarata insoddisfatta delle scelte fatte salvo poi di compierne di peggiori.
Peggiori stando almeno alle valutazioni di quella ristretta cerchia di persone che occasionalmente o abitualmente si riuniscono in circoli per giudicare questo o quel comportamento, questa o quella decisione.
La nascita di una classe dirigente, ricorda Giuseppe Galasso citando Guido Dorso, è un fatto misterioso. Non ci sono ricette o alchimie per formarla. E’ il frutto delle circostanze, della fortuna e della capacità di cogliere occasioni di mutamento.
Una società distratta o composta d’individui esageratamente preoccupati dei propri interessi particolari, sempre e comunque in lotta sui grandi obiettivi che andrebbero invece condivisi, non può che produrre quello che ci tocca in sorte.
Una comunità mediocre si affida a gente mediocre e diffida della capacità, dell’intelligenza (che diventa un pericoloso handicap), dell’intraprendenza che dev’essere combattuta con ogni arma, meglio se vile e sleale.
In una società del genere che posto può avere il merito? Chi è disposto a premiarlo quando è perfino difficile riconoscerlo? Non appare più utile e congeniale rivolgersi all’amico, al familiare, al servo sciocco?
E arriviamo al punto sollevato da Sebastiano Maffettone: in queste condizioni come si fa a generare e mettere in circolazione quel portentoso carburante delle società che avanzano e si sviluppano che si chiama fiducia?
Semplicemente non i può. E quindi siamo assillati dal sospetto che gli altri vogliano fregarci preparandoci a fare lo stesso e anzi cercando di anticipare l’effetto indesiderato per non sentirci stupidi e inferiori.
Un circolo vizioso che spiega la condizione nella quale ci troviamo: lamentandocene ogni volta che possiamo, additando l’altro come causa del disastro, difendendoci col nasconderci o respingendo ogni responsabilità pubblica.
Un bel guaio, non c’è che dire.