La Croce e la svastica, l’ambiguo ruolo di Pio XII negli anni ’30 e ’40: Pirozzi e Di Grazia riaprono il caso

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Arriva in libreria, in concomitanza con la Giornata della Memoria, il libro scritto da Ottavio Di Grazia e Nico Pirozzi “La Croce e la svastica. Il pontificato di Pio XII tra silenzi e complicità” (D’Amico editore, pp. 264, Euro 20). Un testo destinato a rinfocolare le polemiche sul ruolo ricoperto da Eugenio Pacelli negli anni Trenta e Quaranta del secolo scorso.
«Tutto cominciò – spiegano gli autori del libro – quasi sessant’anni fa, quando un giovane drammaturgo tedesco, Rolf Hochhuth, terminò la stesura di un lavoro destinato a renderlo famoso per il resto dei suoi giorni. Ottanta minuti di dialoghi e monologhi che lanciavano un inquietante cono d’ombra su uno dei pontificati più lunghi della storia della Chiesa. È da quel lontano 20 febbraio del 1963, quando «Il Vicario» (Der Stellvertreter) approdò sul cartellone del “Theater am Kurfürstendamm” di West Berlino, che la storia di papa Pio XII, si è inevitabilmente intrecciata con i “silenzi” di Eugenio Pacelli. Un uomo – Pacelli – che, a torto o a ragione, si era dimostrato sin troppo acquiescente nei confronti degli assassini di sei milioni di ebrei. È da allora, da quell’inverno di sessant’anni fa, che quella storia, fatta più di ombre che di luci, continua a tenere banco tra gli storici».

in foto Pio XII

Eppure – stigmatizzano i due autori – sarebbe stato sufficiente sfogliare con un minimo di attenzione i documenti che, tra il 1965 e il 1981, furono resi noti proprio dalla Santa Sede allo scopo di scagionare Pio XII da presunte responsabilità. Carte che, seppur “selezionate” da una commissione di storici gesuiti, dimostrano in maniera chiara e inoppugnabile la pusillanimità di un uomo che – come scrive don Ernesto Buonaiuti – fu incapace di utilizzare «gli strumenti acconci alla sua formidabile bisogna».
Un comportamento, quello del 260° pontefice di Santa Romana Chiesa, certamente condizionato dal tentativo operato dal Vaticano (all’indomani della Prima guerra mondiale) di riproporre la propria visione identitaria di un’Europa cristiana e il confronto con regimi decisi a opporsi in maniera “totale” al ruolo formativo delle coscienze proprio della “cattedra” di Pietro. Questo, mentre su quella stessa Chiesa continuava ad aleggiare il persistente, grave, antigiudaismo che da duemila anni nutriva dottrina e scelte politiche.

in foto: soldati tedeschi pattugliano il “confine” con la Città del Vaticano

All’atavico odio nei confronti del popolo dei «deicidi» vanno aggiunti, in quello stesso periodo storico, i timori generati dalla proposta di Lord Arthur J. Balfour relativa alla nascita di una “National Home for the Jewish people” in Terra Santa e il progressivo affermarsi di un’ideologia «atea e perversa» in vasti territori dell’Europa centro-orientale. E sarà proprio la paura di Stalin e del comunismo a convincere esponenti di primo piano della gerarchia vaticana a sostenere, materialmente e politicamente, la rete di aiuti che il vescovo Alois Hudal e monsignor Krunoslav Draganović avevano pazientemente intessuto sul finire del conflitto, per permettere a centinaia di criminali di guerra di fuggire dall’Europa e dalla giustizia.

in foto la carta d’identità argentina di Adolf Eichmann

«Una verità – concludono Pirozzi e Di Grazia – quella che emerge da migliaia di documenti e testimonianze, che anziché generare imbarazzo all’interno del mondo cattolico ha comportato una discutibile alzata di scudi (spesso basata su una mendace interpretazione dei fatti, dove il nero della storia veniva mascherato con il rosa delle storielle). Dimenticando – ahinoi! – che la verità non è solo una rappresentazione reale dei fatti, ma anche una scelta etica. Un valore morale da anteporre a qualsiasi iniziativa. Anche se si tratta di mettere in discussione l’operato di un pontefice e della Chiesa che quel papa rappresentò per quasi vent’anni».

in foto il vescovo Alois Hudal responsabile, assieme al sacerdote croato Krunoslav Draganović, della fuga di centinaia di criminali di guerra