La democrazia ingiuntiva a cinque stelle

51

Sia chiaro, il primato non è dei pentastellari. Fu Antonio Di Pietro, l’uomo che non azzeccava un congiuntivo nemmeno sotto interrogatorio, lui che gli interrogatori li conduceva con metodi da Ispettore Callaghan, a introdurre le penali a carico dei suoi deputati per il caso in cui cambiassero opinione politica.

Ora, sarà vero che chi scrive è un po’ fuori dal tempo. Sarà vero, quindi, che a noi piace molto di più il modello di democrazia liberale caro ad Edmund Burke, secondo il quale “…Il parlamento non è un congresso di ambasciatori di opposti e ostili interessi, interessi che ciascuno deve tutelare come agente o avvocato; il parlamento è assemblea deliberante di una nazione, con un solo interesse, quello dell’intero, dove non dovrebbero essere di guida interessi e pregiudizi locali, ma il bene generale.” (Discorso agli elettori di Bristol, 3 novembre 1774).
Ma anche volendo votarsi completamente alla modernità, non ci pare che coartare il libero giudizio di un deputato sia un atto commendevole e da condividere. L’idea di deputato che hanno in mente questi novelli statisti a cinque stelle, come il loro antesignano a cinque manette, è quella del pupazzo, che fa e dispone se e come gli viene comandato da una fantomatica volontà popolare, che poi altro non è che l’uzzolo di Casaleggio e associati, visto che beppegrillo pare tragga maggior divertimento nel fare il giullare. L’idea che la libertà di giudizio – che comprende la libertà di cambiare opinione – sia condizionabile ed estorcibile con la sanzione patrimoniale è – o dovrebbe essere – inaccettabile, perchè è – o dovrebbe essere – inaccettabile l’idea di individuo che questi riformatori hanno in mente. Sia chiaro, se questo è il modello di democrazia del presente – e di un lugubre futuro – ci teniamo stretti l’antica idea di Burke. Comprese le parrucche, le ghette ed i rendigote.

di Andrea Bitetto