Qual è la dottrina militare, la “filosofia della guerra” di Xi Jinping?
Per capire bene l’evoluzione degli studi bellici cinesi fino ad oggi, occorre però andare a studiare la tradizione dell’Esercito di Liberazione del Popolo e la visione che, nella storia della dottrina della guerra, ha mantenuto il Partito Comunista Cinese.
In primo luogo, per i cinesi le varie terminologie differenziate in uso in ambiente NATO e, più generalmente, nelle dottrine militari occidentali, quali “strategia globale”, “strategia della sicurezza nazionale” oppure “strategia di difesa nazionale” non formano stili di pensiero separati ma sono sussunte, tutte, nella dizione generale cinese di “strategia militare”.
Sempre nella terminologia cinese, le “linee direttrici” della strategia sono, detto in termini più semplici, le linee politico-militari elaborate dalla direzione del PCC.
In queste linee vi si legge, spesso in tralice, la percezione della minaccia geopolitica che il Partito immagina essere più vicina e, quindi, il più probabile tipo di guerra futura che la Cina deve assolutamente, per il PCC, essere pronta a fare.
Le valutazioni iniziali dei manuali cinesi sono l’equivalente dello strategic assessment occidentale, mentre quelle dette analitiche riguardano le capacità delle FF.AA. cinesi in rapporto alle “guerre presenti e future”.
Per il pensiero strategico cinese attuale, la scienza della strategia militare è lo studio delle leggi della guerra, delle leggi sulla condotta della guerra, dell’analisi delle predizioni sulla guerra e lo studio del più probabile tipo di guerra nel futuro, tutti analizzati sulla base degli scenari passati, presenti e futuri.
Ma, qui, occorre iniziare almeno dalla filosofia militare di Deng Xiaoping, che è il primo leader cinese a rompere con la filosofia della “guerra di popolo” maoista, nella quale la tecnologia mancante viene sostituita dalla grande dimensione delle masse in armi.
E tutto questo, lo notiamo, era per Mao la linea per la preparazione alla resistenza ad un attacco nucleare con successiva invasione, attacco N portato avanti molto probabilmente dall’URSS o dagli Usa.
I Due Mondi, infatti, della dottrina sulla politica estera di Mao, il Terzo era quello dei Paesi Poveri, che sarebbero stati globalmente diretti dalla Cina comunista.
Per Deng, invece, si passa dalla percezione primaria di una minaccia globale alla teoria della “guerra limitata” e locale intorno ai confini della Cina.
La “linea” di Deng Xiaoping sulla guerra e la difesa ipotizzava soprattutto conflitti di terra ai confini del Nord e dell’Est (il “nemico del Nord”, la Russia sovietica, come la chiamava Deng) ma anche scontri marittimi, attacchi aerei di sorpresa, con le successive necessarie contromosse dell’Esercito di Liberazione Popolare.
Manca, in Deng, nel suo pensiero militare, e questa è una eredità di Mao, una dottrina specifica dell’arma nucleare che, come insegnava anche il maresciallo Shaposhnikov dell’URSS, è “un’arma come le altre”.
Jiang Zemin, dopo Deng, quando le Quattro Modernizzazioni (di cui l’ultima e quarta era proprio quella militare e tecnologica) rielabora il modello di Deng Xiaoping ipotizzando una “Guerra limitata in condizioni di alta tecnologia”.
In questo nuovo contesto, la prima vera deviazione teorica dalla “linea di Mao” sulla guerra, Jiang Zemin ipotizzava due aree di intervento primario, quella vicino a Taiwan e contro tutte le reti statunitensi nel Pacifico; mentre la caduta dell’URSS rendeva sostanzialmente inutile la difesa tradizionale cinese contro il “nemico del Nord”.
E’la prima vera dimensione marittima della dottrina cinese, questa, dopo che Mao Zedong aveva pensato, sulla base della sua Lunga Marcia, ad una difesa quasi unicamente terrestre.
Ma le carte interne al Comitato Centrale, fin dagli anni ’50, indicavano Filippine, Sud-Est asiatico peninsulare, le isole del Pacifico, ovviamente Taiwan e perfino il Giappone come future aree di invasione o di egemonia cinese.
In termini tecnologici, la nuova guerra di Jiang Zemin significava quindi uno scontro basato sui missili intercontinentali, sull’elettronica fine, sul campo di battaglia multidimensionale, sui sensori e sull’intelligence.
La Commissione Militare Centrale, il massimo organo del Partito per le questioni della difesa, accetta ufficialmente la linea di Jiang Zemin nel 1992.
E’ facile qui immaginare quello che i decisori militari cinesi osservavano e studiavano in quel momento: la guerra nei Balcani, la prima Guerra del Golfo del 1990-1991, quella in Ruanda, la “guerra dei dieci giorni” tra la Slovenia e la Repubblica Jugoslava, l’inizio della rivolta jihadista algerina, lo scoppio della guerra in Somalia, gli scontri in Georgia, il conflitto al confine tra Armenia e Azerbaigian e alcuni altri conflitti minori.
Lo studio dottrinale militare cinese si riferisce sempre a casi concreti, non esiste nella filosofia tradizionale della Cina qualcosa che assomigli alle “categorie” aristoteliche o kantiane.
La guerra, sempre per Pechino e la “linea di Jiang”, sarebbe stata vinta quindi attraverso le truppe di élite e le operazioni preventive, anche se la Cina ha sempre rifiutato di essere la prima ad iniziare uno scontro militare.
Anche se questo fosse unicamente nucleare.
Le nuove guerre locali teorizzate e studiate da Deng Xiaoping e da Jiang Zemin sarebbero state “battaglie rapide per arrivare a rapide risoluzioni”.
Invece di far entrare il nemico nella profondità del territorio cinese, come pensava Mao Zedong, per poi stringerlo in una morsa di masse popolari in armi, la nuova dottrina di Deng e Jiang ipotizzava operazioni in profondità nel territorio nemico.
E quindi si sottolineava la preparazione tecnologica molto evoluta, l’abilità delle truppe di élite contro le grandi masse di maoista memoria, le operazioni sotto copertura, la sorpresa tattica e strategica, le azioni combinate in profondità.
Oltre il mito della guerra nucleare totale, a cui anche Mao credeva; e che pure era una tigre di carta, si cercava, nella nuova linea militare di Jiang Zemin la massima letalità delle armi, la precisione tattica, l’accerchiamento e il superamento tacito del nemico, la penetrazione oltre le linee.
Successivamente, il pensiero militare e strategico del PCC si concentra sulla Rivoluzione negli Affari Militari, che gli Usa avevano elaborato nei primi anni ’90.
E’ però qui da ricordare che la prima ipotesi di RMA viene elaborata dal maresciallo Ogarkov in ambito sovietico, con la sottolineatura della robotizzazione del campo di battaglia e del sempre più importante ruolo dello spazio e dei satelliti come armi in sé e per l’intelligence, sia tattica che strategica.
Jiang Zemin rivede questi concetti occidentali e sovietici e vi aggiunge una serie di osservazioni sulla dimensione politica e sociale del conflitto, ma sempre in un quadro di “guerra regionale in condizioni di alta informatizzazione”.
Lo specifico concetto dottrinale, dopo che i cinesi hanno studiato la guerra in Kossovo, arriva nel 2004.
I cinesi hanno studiato bene anche le dottrine di “guerra nonviolenta” elaborate da Gene Sharp negli Usa e poi applicate a fondo nelle “rivoluzioni colorate” di Georgia e Ucraina, oltre che nel caso di OTPOR! in Serbia.
C’è un rilievo specifico, anche se ciò non è esplicitato, della guerra psicologica nelle attuali dottrine militari cinesi.
La guerra informatizzata dei cinesi consiste principalmente, come dice il White Paper del 2004, nell’”infliggere alti costi al nemico, anche a quello convenzionalmente superiore, attraverso una varietà di strumenti, dalla distruzione dei suoi satelliti e sistemi missilistici fino all’uso di armi ad impulso elettromagnetico per colpire navi o aerei nemici e perfino le sue reti informatiche civili”.
L’idea dei decisori politico-militari cinesi, in quegli anni, era quella del passaggio “dalla meccanizzazione alla informatizzazione” in cui avevano luogo, nel quadrante dello scontro strategico, multiple guerre asimmetriche, non contigue e non-lineari.
Se si pensa al provincialismo dei tanti “libri bianchi” della FF.AA. europee in quegli anni, spicca la vitalità del pensiero strategico cinese, certamente privo di ambiguità semantiche o di piantini pacifisti.
La meccanizzazione sarà invece l’obiettivo specifico del White Paper cinese del 2008, quando il potere centrale del PCC sostiene ancora l’idea dell’addestramento delle migliori élites militari sul campo e inoltre l’acquisizione delle reti informatiche di CCI (Comando, Controllo e Intelligence) insieme alla acquisizione dei sistemi d’arma più adatti alla nuova dottrina del 2008, che ricalca quella dei documenti ufficiali del 2004 e degli anni successivi.
L’informatizzazione è, secondo i Decisori cinesi, il tallone di Achille dei sistemi d’arma e di comando degli occidentali o comunque dei possibili nemici della Cina.
Sarà la “rete”, il web, il primo fronte di attacco del PLA in una situazione di guerra limitata o di scontro globale.
Quindi, alla ricerca di una rete efficiente per il CCI cinese, si aggiunge, per i Decisori, quella di una dottrina specifica per la “guerra elettronica” e dei segnali che sarà grandemente sviluppata negli anni successivi.
Nascono in quegli anni, molti lettori se lo ricorderanno, gli interessi in Occidente per le MOOTW, Military Operations Other Than War, le operazioni militari “diverse dalla guerra” propriamente detta.
Qui, nelle dottrine ufficiali cinesi dal 2007 al 2010, si nota una attenzione specifica per il ruolo che le FF.AA. di Pechino possono svolgere nell’assistere l’economia e la società cinese e nel sostegno alla popolazione durante i disastri naturali.
Qui, non si dimentica certo il ruolo del PLA contro il sabotaggio, la sovversione interna, il frazionismo rispetto al Partito e alla nazione cinese.
Si prefigura allora un ruolo militare interno delle FF.AA. ben più sottile e attento di quello consueto nei Paesi occidentali.
E questo ruolo, non dimentichiamolo, è anche predittivo e proattivo, non solo ex post.
In tutte queste note, lo avete notato, c’è la verifica di una nettissima sottoposizione del PLA al Partito, ma anche la creazione di un ruolo politico specifico delle Forze Armate cinesi.
Un ruolo che si svolge attraverso la Commissione Militare Centrale che, proprio in quegli anni, dal 1990 ad oggi, aumenta di importanza nella gerarchia del PCC.
Ed è in questo contesto politico e strategico che cambiano davvero le minacce globali verso lo status quo cinese: l’URSS crolla nel 1991; e quindi non vi è più pericolo di una grande invasione dal Nord, come la dirigenza del PCC aveva temuto durante gli scontri sull’Ussuri nel 1968.
La guerra sul fiume Ussuri era scoppiata quando le “Guardie Rosse”, un anno prima, presero d’assedio l’Ambasciata dell’URSS a Pechino e, successivamente, l’URSS attaccò le guardie di frontiera cinesi proprio sul fiume Ussuri.
Mosca minacciò l’uso di armi atomiche contro i cinesi ma gli Usa minacciarono pesantemente l’Unione Sovietica, se ciò fosse avvenuto.
Questi dati, oggi noti, provenienti dagli archivi Usa ci fanno immaginare oggi quanto sia stato naturale, per la Cina di allora, accettare la proposta americana di una nuova apertura verso gli Usa, in funzione nettamente antisovietica.
Si noti, inoltre, che la famosa teoria di Mao “sulla giusta risoluzione delle contraddizioni in seno al popolo”, un titolo ormai proverbiale, era nei fatti un appello al compromesso con i sovietici, che sostenevano la “via parlamentare” come peraltro i partiti che dipendevano dall’URSS; mentre i cinesi volevano una maggiore “lotta antimperialista” e anticolonialista.
E ci furono altri risultati militari, in questo frangente politico-ideologico tra Cina e URSS: Krusciov si rifiutò di rispondere attivamente alle operazioni dei marines Usa in Libano, oltre a rifiutarsi di appoggiare la Cina quando Pechino iniziò a bombardare l’isola di Quemoy ancora occupata dal kuomintang di Chiang kai Shek, facendo poi capire a tutti che mai l’Unione Sovietica avrebbe concesso un prototipo di bomba nucleare alla Cina.
Ecco la vera trama militare di una ormai famosissima discussione, apparentemente scolastica e fumosa, tra le due potenze marxiste del globo.
Quindi, l’URSS, il “nemico del Nord”, nel 1991 non esisteva più, il timore della grande invasione era scemato.
Ma, per i decisori cinesi, del tutto correttamente, il mondo non più bipolare aumentava la probabilità dei conflitti regionali, non la diminuiva di certo.
Altro che i sogni, o deliri, pacifisti che presero le menti non solo del pubblico ignaro, ma anche dei decisori occidentali.
Le sanzioni imposte alla Cina dagli Usa dopo i fatti di Tienanmen, la continua polemica anglo-americana sui diritti umani in Cina, il sostegno di Washington a Taiwan durante la crisi del 1996, quando gli americani mandarono due portaerei nello stretto di Formosa, poi la questione del Tibet, la prossima dello Xingkiang, che sta montando oggi tra i media influencer americani e europei, infine le tensioni commerciali tra Usa e Cina, tutto faceva pensare, in quegli anni ma anche dopo, che il “nemico lontano” della Cina, gli Usa, sarebbero rimasti, appunto, l’unico vero nemico.
Ed è lo show tecnologico Usa nelle due Guerre del Golfo, nel 1991 e nel 2003, che convince definitivamente i decisori cinesi della nuova direzione, tutta informatica e tecnologica, che deve prendere la Forza Armata Nazionale del PCC.
Ma il momento della verità arriva, per i cinesi, quando gli Usa creano il casus belli in Kossovo, il che dimostra, per i decisori del Partito e del PLA, come gli Usa siano capaci di creare situazioni difficili manipolando sia la diplomazia che l’equilibrio militare di una intera area.
Ma qual è, oggi, la visione politico-militare di Xi Jinping?
Nei documenti ufficiali la “linea” di Xi riguarda, più che l’analisi delle nuove minacce o le questioni dottrinali più astratte, l’elenco delle cose che il PLA deve assolutamente compiere in breve tempo:
a) Migliorare la capacità di tener fronte simultaneamente ad una vasta gamma di emergenze interne e di minacce militari, tattiche o meno, che dovessero mettere in pericolo la sovranità della Cina per terra, mare e cielo;
b) Sostenere la dura e specifica salvaguardia dell’unificazione della Madrepatria, elemento essenziale, aggiungiamo noi, per la realizzazione della grande Belt and Road Initiative,
c) Salvaguardare la sicurezza della Cina “in nuovi contesti”; e qui ci si riferisce evidentemente alla tutela del sistema finanziario e industriale, oltre che politico,
d) Sostenere la protezione degli interessi cinesi oltremare, il vero nuovo asset strategico della Cina come potenza economica globale,
e) Migliorare l’efficienza della deterrenza strategica N e cyber e la possibilità, da parte del PLA, di portare a segno un contrattacco nucleare rapido e fortemente dissuasivo,
f) Far aumentare la partecipazione del PLA alle operazioni internazionali di pace, un pieno riconoscimento della Cina anche sul piano militare,
g) Rafforzare la tutela della patria cinese contro il separatismo e il terrorismo,
h) Migliorare la capacità del PLA di svolgere appieno i suoi compiti durante le crisi ambientali e sanitarie, memoria della crisi durante l’influenza aviaria del 2003 e negli anni successivi.
Quindi, per vincere una guerra regionale informatizzata, primo obiettivo politico e strategico del PLA, occorre la massima tutela, da parte anche dello stesso PCC, della sorpresa strategica; oltre alla tutela degli interessi cinesi oltremare, altro obiettivo primario della dirigenza cinese.
Poi, la difesa degli interessi “in altri campi” si riferisce qui alla espansione della Cina sul piano marittimo, spaziale e cyber.
Una espansione che va ben oltre i limiti territoriali della Cina e delle aree quali Hong Kong e Macao.
E, in effetti, Pechino cerca oggi nuove basi militari all’estero, ovvero: Chongjin, in Corea del Nord, Port Moresby in Papua Nuova Guinea, Sihanoukville in Cambogia, Koh Lanta in Thailandia, Sittwe in Myanmar, Dacca in Bangla Desh, Gwadar (Pakistan) Hambantotaport (Sri Lanka) Le Maldive, le Seychelles, Gibuti, Lagos (Nigeria) Mombasa (Kenya) Dar es Salaam (Tanzania) Luanda (Angola) Walvis Bay (Namibia).
Certo, questo programma di espansione militare e di riposizionamento strategico sotto Xi Jinping presuppone una serie di azioni anticorruzione che pure hanno pesantemente toccato anche il PLA, soprattutto negli alti gradi.
Quindi, per Xi occorre una Forza Armata cinese molto avanzata sul piano tecnico e operativo, ma soprattutto fortemente e unicamente sottoposta al Partito, anch’esso in fase di verifiche anticorruzione, verifiche che proseguono ormai da anni.
Esperti e Rossi, torna ancora qui il dilemma della Cina di Mao Zedong, ma nel nuovo orizzonte globale imposto dalla presidenza di Xi Jinping.
Giancarlo Elia Valori