La finanza territoriale in Italia, oggi la presentazione del Rapporto 2020

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Oggi alle 14.30 si presenta il Rapporto 2020 “La finanza territoriale” in Italia. Il lavoro nasce dalla partnership di sette istituti regionali di ricerca socioeconomica: Ires Piemonte, Irpet Toscana, Srm (Centro studi collegato ad Intesa Sanpaolo), Polis Lombardia, Ipres Puglia, Liguria Ricerche e Agenzia Umbria Ricerche. L’evento è realizzato con il patrocinio dell’Agenzia della Coesione Territoriale, dell’AISRe (Associazione Italiana di Scienze Regionali) e della SIEP (Società Italiana di Economia Pubblica).
Il Rapporto esamina con cadenza annuale l’andamento della congiuntura economica, finanziaria e normativa nelle sue ripercussioni sugli assetti della finanza territoriale. L’evoluzione evidenzia i principali cambiamenti intervenuti dal 2008, da quando sulla spinta della crisi economica – molto più che a causa dei vincoli europei – le Amministrazioni territoriali sono state travolte da molti cambiamenti. Si è assistito nel tempo a pesanti tagli alle risorse e a riforme (spesso poco chiare nel disegno generale) avviate e poi rimaste parzialmente incompiute. Le Amministrazioni territoriali hanno quindi manifestato l’urgenza non solo di un concreto rilancio degli investimenti, ma anche di un complessivo riordino del quadro tributario e dell’implementazione di un efficace sistema perequativo, anche in vista della concreta attuazione dell’autonomia differenziata.
Il tema al centro del Rapporto Finanza Territoriale 2020 è quello dell’istituto delle Regioni, che nella ricorrenza dei 50 anni, viene messo duramente alla prova dall’evento pandemico. Il ruolo delle Regioni nella gestione dell’emergenza sanitaria ed economica, tuttora in corso, è completamente inedito ed ha messo in luce i delicati equilibri istituzionali con il governo centrale e le realtà locali, costituendo un utile insegnamento in merito alle proposte di riforma che si sono succedute a breve distanza l’una dall’altra.
Il convegno, moderato da Angelo Grasso (IPRES) prende il via con i saluti istituzionali di Massimo Sabatini (Agenzia per la Coesione Territoriale) e con un’introduzione a cura di Alessia Grillo (Conferenza delle Regioni).
Il programma prevede una prima sessione di presentazione del Rapporto con tre interventi. La prima relazione di Patrizia Lattarulo (IRPET) si concentra sugli “Assetti istituzionali e differenti velocità di governo. L’emergenza sanitaria ed economica, un banco di prova per la governance regionale”; la seconda di Francesco Figari (Università Insubria di Varese) e Luca Gandullia (Liguria Ricerche) affronta il tema dell’impatto Covid-19 sul reddito delle famiglie; l’ultimo intervento, di Santino Piazza (IRES Piemonte) è dedicato ad un’analisi dell’impatto dei fondi coesione europei sulla spesa per le infrastrutture scolastiche.
Segue poi una seconda sessione di interventi dei due Referee del Rapporto, Alessandro Petretto (Università degli Studi di Firenze) ed Ernesto Longobardi (Università Cattolica del Sacro Cuore). Le conclusioni sono affidate ad Alberto Zanardi (Ufficio Parlamentare di Bilancio – UPB).

La presentazione del Rapporto
Nella ricorrenza del 50° dalla fondazione delle Regioni, la gestione dell’epidemia e la profondità della crisi hanno costituito un importante banco di prova per tutte le istituzioni del nostro Paese, dal quale sono emersi non solo limiti e contraddizioni dell’attuale modello di decentramento e della filiera decisionale pubblica, ma anche l’importanza del contributo dei livelli istituzionali più vicini al territorio e ai cittadini nel proporre risposte spesso difficili in condizioni di emergenza.
Nonostante il modello sanitario del nostro Paese sia considerato da organismi internazionali tra i più avanzati, nell’affrontare la pandemia si è presentato impreparato soprattutto per le forti disparità territoriali. La riforma federalista è incompiuta nell’aspetto più importante relativo all’equità di trattamento dei propri cittadini e la ineguale risposta ai loro bisogni essenziali, con aree in cui i livelli essenziali di assistenza non sono pienamente raggiunti. Nel 2018, 7 regioni raggiungono solo la soglia del livello minimo accettabile degli indicatori LEA, ma possono non raggiungere il livello minimo su tutti gli indicatori. Da qui la mobilità sanitaria, anche alla ricerca di servizi di base. Ciò nonostante, l’elevata affluenza al voto nelle ultime tornate elettorali e la riconferma dei governatori testimonia la considerazione dei cittadini per il contributo delle regioni nell’emergenza.
Un ruolo importante nella risposta all’epidemia ha riguardato le forniture sanitarie. In questo ambito le regioni si sono molto attivate, in alcuni casi creando delle sovrapposizioni con il Governo, ma in generale accelerando le forniture e valorizzando le attività produttive del territorio. Gli acquisti in sanità nel periodo marzo-ottobre sono aumentati mediamente del 40% in epoca Covid, ma in alcune regioni sono duplicati. Quote importanti degli acquisti sanitari di molte regioni sono riconducibili all’emergenza Covid, a testimoniare l’impegno su questo fronte.
Altro aspetto di primaria importanza legato alla pandemia in atto è l’impatto della stessa sul mondo lavorativo e, di conseguenza, sul reddito e sulla capacità di spesa della popolazione.
Le prime misure assunte dall’Italia per contenere la diffusione della pandemia di Covid-19 hanno comportato la sospensione dell’attività lavorativa di quasi il 30% dei lavoratori italiani. Gli effetti di questo blocco sono stati evidentemente asimmetrici tra settori, tra fasce di reddito della popolazione e anche tra regioni. Il caso della Liguria ha consentito di stimare su scala locale ciò che è verosimilmente accaduto tra metà marzo e metà aprile 2020, in termini di riduzione del reddito delle famiglie causata dall’interruzione delle attività non essenziali e dall’entrata in funzione delle misure di compensazione predisposte a livello nazionale. In Liguria, la riduzione stimata in assenza di interventi discrezionali sarebbe stata pari al 21% dei redditi di mercato pre-Covid, con impatti fortemente regressivi. I redditi compensati dalle misure discrezionali assunte con il D.L. “Cura Italia” sono stati stimati in media al 55%, con un effetto più forte, ma comunque incompleto, per le fasce di reddito più basse.
Le regioni hanno, quindi, partecipato in modo inedito alle decisioni del Governo, in vari ambiti di intervento: non solo sanitario ma anche dell’istruzione, dell’economia e del trasporto. Questo non solo su ambiti di specifiche competenze dell’ente, ma anche per la necessità di trasferire efficacemente le politiche sul territorio. La collaborazione non è sempre stata felice ed ha fatto emergere le criticità esistenti nella filiera decisionale pubblica per rendere più efficiente il processo. Non è un problema nuovo, come dimostrato dai ricorsi sulle competenze che nell’arco dei passati 5 anni sono stati molto frequenti, sia da parte dello Stato che delle Regioni, sia in materie concorrenti che in materia di competenza esclusiva dello Stato. Dal 2015 ad oggi si registrano 290 ricorsi in ambito di materie concorrenti e 335 in ambito di materia esclusiva, la maggior parte riguarda ricorsi del Governo contro le regioni (158 e 273 nei due casi), con una media annua di 6 ricorsi per ogni Regione. Ogni ricorso comporta mediamente un anno di attesa per la sentenza, che nel 50% dei casi non viene giudicato ammissibile, comportando un allungamento dei tempi di applicazione della norma priva di beneficio. Nel corso dell’evento pandemico le ordinanze emesse dalle Regioni si sono spesso sovrapposte in modo disordinato evidenziando i rischi di uno scarso coordinamento complessivo.
In vista di nuove responsabilità dei diversi livelli di governo rivolte allo sforzo di recupero del gap infrastrutturale del paese, l’attenzione viene concentrata anche sul mondo dell’istruzione, con un studio approfondito sull’impatto dei Fondi di Coesione europei sulla spesa degli enti locali per le infrastrutture scolastiche.
La spesa totale per investimenti dei comuni italiani decresce del 45% tra il 2008 e il 2018, e il calo drammatico delle risorse dedicate agli investimenti dagli enti locali non ha risparmiato la spesa per le infrastrutture scolastiche. Nello stesso periodo, le spese in conto capitale dedicate dagli enti locali all’Istruzione pre-terziaria calano del 30%.
Un sostegno importante alla spesa per investimenti è stato quindi fornito dalle risorse di origine comunitaria: il totale delle risorse di Coesione erogate dagli enti locali per gli investimenti in Istruzione è pari a circa 2,1 miliardi nello stesso periodo. Nelle regioni ad obiettivo “Convergenza”, raggruppamento dei territori italiani economicamente più deboli, il totale dei pagamenti è pari a circa 1,3 miliardi, mentre nelle restanti regioni ad obiettivo “Competitività” il totale delle spese ammonta a circa 780 milioni.
Nelle regioni del Mezzogiorno ad obiettivo “Convergenza” tale sostegno diventa, in particolare dopo il 2012, la fonte principale di finanziamento della spesa per infrastrutture scolastiche, superando il 40% del bilancio delle amministrazioni locali dedicato alle spese di investimento nel settore, con punte dell’80% circa nel 2015.
Uno dei fondamentali principi ispiratori dei Fondi di Coesione UE è quello della loro natura addizionale rispetto alle risorse ordinarie degli Stati membri. La rilevanza delle quote costituite dalle risorse straordinarie disponibili sul bilancio degli enti, specialmente di quelli destinatari del flusso più elevato di risorse comunitarie nel Mezzogiorno, indica quanto queste siano state del tutto sostitutive rispetto alle risorse ordinarie per investimenti nel settore Istruzione. Inoltre, a differenza di quanto accade per le regioni “Competitività”, nei territori “Convergenza” le risorse comunitarie non avrebbero fornito uno stimolo alla spesa propria degli enti locali per infrastrutture scolastiche.
Le analisi presentate e dedicate al ruolo giocato dai fondi europei nel finanziamento della spesa in conto capitale per l’Istruzione forniscono qualche indicazione utile per approfondire il tema, centrale anche ai fini di una programmazione e implementazione efficace dei progetti finanziati da Next Generation EU, della effettiva capacità di assorbimento delle risorse straordinarie da parte delle pubbliche amministrazioni locali, in particolare nei territori del Mezzogiorno.
La nuova sfida alla quale le regioni sono chiamate a contribuire è, infatti, quella di colmare il ritardo infrastrutturale presente tra le diverse aree del Paese, emerso anche dai differenti livelli di resilienza mostrati dai sistemi scolastici regionali rispetto alle sfide poste dalla pandemia in questo primo trimestre dell’anno scolastico 2020/2021.
A questo scopo è necessario riattivare le procedure di lavori pubblici carenti, soprattutto nelle regioni meridionali, in parte a causa delle risorse e della diversa profittabilità degli interventi, nonché delle capacità e competenze. Nel 2019 nelle regioni del nord del Paese sono state avviate quasi 1.000 procedure di lavori pubblici per abitante contro meno di 700 per abitante nelle regioni meridionali. Ancora maggiore è la distanza tra le dimensioni medie dei lavori e tra gli importi, pari a 500 euro per abitante rispetto a poco più di 300 nel meridione. Queste disparità sono alla base di futuri ulteriori gap infrastrutturali.
Altra questione da mettere in luce è legata all’importanza dei fondi comunitari e di tutti le risorse che saranno disponibili per il futuro, al loro ruolo in chiave post pandemica. L’utilizzo coretto di questi fondi deve seguire la strada del riequilibrio territoriale in modo da fornire al Paese una nuova forza competitiva legata all’area meridionale che può essere fonte di grandi potenzialità di crescita per il futuro. Le risorse comunitarie per il nuovo ciclo dei fondi 2021-2027, ad esempio, assegnano all’Italia oltre 43 miliardi di euro, una cifra in crescita rispetto al passato, da indirizzare alla crescita sintonica dei nostri territori.
In questo meccanismo di riequilibrio e, quindi, di capacità del Paese di attrarre investimenti un ruolo centrale spetta alle ZES-Zone Economiche Speciali che avranno lo specifico compito di favorire le relazioni tra le imprese industriali e logistiche, attraverso la concessione di incentivi finanziari e burocratici volti a stimolare la realizzazione di iniziative imprenditoriali collegate alla crescita dei Porti, sviluppando così il traffico merci e la proiezione internazionale delle nostre regioni.
Questi strumenti, specifici per il territorio meridionale, hanno avuto una partenza problematica vista la necessità di varare alcuni provvedimenti normativi che ne definissero meglio il funzionamento tecnico come ad esempio le modalità di assegnazione del credito di imposta; tuttavia, sono già in corso alcuni significativi investimenti nei porti di Salerno e Gioia Tauro ed alcune manifestazioni di interesse per gli scali di Bari e Taranto.
Secondo stime, le ZES possono accrescere il traffico di un porto fino all’8,4% medio annuo e le esportazioni di un territorio fino al 4% aggiuntivo. Gli incentivi automatici, inoltre, possono avere un importante effetto moltiplicativo: un euro di credito di imposta può attivare ulteriori 3 euro di investimenti privati.

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