La fine dell’accordo sul Plutonio tra Russia e USA

 

Il 3 Ottobre scorso, la Federazione Russa ha sospeso l’accordo con Washington, che durava dal 2000, per ridurre il  surplus bilaterale di produzione di plutonio per armi nucleari.

  Le due potenze disponevano, ognuna, di 34 tonnellate di plutonio weapons grade, almeno secondo l’accordo  siglato nel Giugno 2000, ai tempi del famoso Reset tra Mosca e Washington.

  Il trattato suddetto è stato riconfermato nel 2010 ma, nel bilancio Usa del  2017 Barack Obama proponeva una attitudine denominata  “diluition and disposal” su questa materia, per permettere al plutonio di essere ridotto a costi minori e, soprattutto, nei tempi disponibili per Washington.

Ciò sarebbe avvenuto, secondo Obama,   con minori rischi di quanto accada con la tecnologia più consueta in questi casi, la trasformazione del materiale plutonio a  combustibile misto-ossido.

  Qui è utile una parentesi tecnologica.

 Il MOX,  Misto-Ossido, che  è il 5% del combustibile nucleare usato oggi, si compone di plutonio recuperato dai reattori mescolato con uranio impoverito,  il che può produrre anche energia elettrica.

 Obama ha quindi proposto, per ragioni di bilancio e strategiche,  di bloccare la costruzione dello stabilimento in Carolina del Sud per trasformare il plutonio nel MOX usato come combustibile per i reattori  commerciali ad uso civile.

  L’uso del MOX, qualunque sia la tecnologia di riduzione del plutonio, era stato comunque stabilito nell’accordo del 2010 tra Russia e USA.

 In sostanza, quindi, Vladimir Putin accusa, fin dallo scorso Aprile, gli Stati Uniti di non mantenere la parola, in quanto essi non distruggono il plutonio “militare” tramite il MOX, ma consentono un sistema di riprocessamento del loro materiale che consente di estrarre e riutilizzare il plutonio per le  testate nucleari.

  Il documento che Putin ha portato all’attenzione della Duma consente però delle precondizioni che possono ricondurre all’esecuzione dell’accordo del 2000.

  Nella norma sottoposta alla camera russa, il presidente Putin pone come condizione per la riattivazione del trattato sul plutonio la riduzione delle truppe e delle infrastrutture USA nei Paesi che sono diventati membri della NATO dopo il 1 Settembre 2000, ovvero Bulgaria, Estonia, Lituania, Lettonia, Romania, Slovacchia e Slovenia.

 Putin richiede inoltre  anche la cessazione di tutte le sanzioni commerciali contro la Russia e  anche la “compensazione per i danni che esse hanno inferto al nostro Paese”.

  Nel Maggio 2015, poi, Obama fece cessare allo stato allora raggiunto  il programma “Megatoni per Megawatts” che faceva terminare lo stato di emergenza nazionale che era stato dichiarato per assicurare il pagamento alla Russia, derivante dagli accordo del 1993.

 L’accordo riguardava  la riduzione del surplus di uranio arricchito elaborato dagli Usa  che non poteva essere ceduto altrimenti.

 Obama dichiarò al Congresso che “la procedura di trasformazione di 500 tonnellate di Uranio da armi russe poteva dirsi cessata”.

  Nel 1993, infatti, i governi USA e russo avevano   concluso un accordo per l’acquisto, durante 20 anni, di ben 500 tonnellate di “surplus” di uranio arricchito dalla Russia di provenienza militare.

  Il materiale era acquistato dagli americani per utilizzarlo nei reattori civili.

  Nello stesso accordo, si prescriveva che gli Usa trasferissero una quantità equivalente di uranio “naturale” che era usato per depotenziare quello arricchito.

  Un accordo che è stato eseguito e concluso  dalla Russia fino allo scorso anno.

  Tra gli accordi sospesi da Putin, vi è anche quello sulla R&D, Ricerca e Sviluppo, sempre di ambito nucleare, firmato nel 2003.

 Dobbiamo osservare, però, la logica strategica complessa che sta dietro a queste apparentemente rapide decisioni russe.

  La scossa primaria è stata l’Ucraina.

  Durante le operazioni russe in quel Paese, Putin e i suoi collaboratori hanno lanciato numerosissimi segnali di tipo nucleare diretti  alla NATO.

  Nel Marzo 2015 Putin affermò che “poteva mettere il sistema nucleare in allerta durante l’annessione della Crimea”.

 Quindi, la Russia vuole  ancora “escalate to terminate” un eventuale attacco nucleare verso l’UE e la NATO, mentre continua  a perfezionare le armi subnucleari e segnala un ruolo sempre maggiore della strategia nucleare nell’insieme della sua postura militare verso l’Ovest.

 Un esempio fu l’attacco nucleare simulato  alla Svezia nell’agosto del 2015.

  Manca, in effetti, l’applicazione del Trattato New Start del 2015 siglato da Obama e Medvedev, che riduce le testate atomiche disponibili per ognuno dei due Paesi a 1550.

  Gli ICBM ( Intercontinental Ballistic Missile) e i bombardieri strategici  sono ridotti a 700 elementi entrambi.

  Gli USA, peraltro, possiedono 741 vettori di lancio con 1481 testate nucleari, mentre la Russia ha 521 vettori con 1735 testate.

 Da questo punto di vista, a parte le altre tecnologie nucleari militari, tra USA e Russia vi è un potenziale equivalente, con la differenza che, sul piano tecnologico-operativo, le armi russe appaiono essere migliori, più efficaci di quelle americane.

 Ma gli Usa non hanno tenuto fede ai patti con Mosca, instillando il legittimo dubbio che gran parte del plutonio e dell’uranio ceduto dalla Russia venga utilizzato, per fini militari, da Washington.

 Ma Putin ha ragione nella sostanza, e probabilmente non ha studiato bene le ragioni degli Usa.

 Facciamo due passi indietro nel tempo: negli anni ’90,  gli Usa dichiararono 61,5 tonnellate di plutonio in eccesso su un totale di 90 tonnellate, tutte per uso militare.

 La Russia aveva uno stock di 180 tonnellate di plutonio, 128 delle quali già adattate per uso militare, avendo comunque dichiarato 50 tonnellate di eccesso di materiale fissile.

  Il plutonio è sempre di difficile abbattimento: o lo si utilizza per costruire il MOX, che va bene nelle centrali nucleari civili, oppure lo si “immobilizza”, ovvero lo si mescola con materiale altamente radioattivo,  in modo che tali sostanze coprano la radiazione del plutonio stesso.

 Ma, per mettere in sicurezza il materiale radioattivo, occorre un processo industriale lungo e complesso.

 Gli Usa avevano iniziato a costruire una loro struttura ad hoc sulla riva del fiume Savannah nella Carolina del Sud, ma il costo del progetto concordato con i russi, per varie ragioni organizzative e tecniche, divenne insostenibile per il governo federale.

 Si ipotizza che oggi il completamento del programma concordato dagli Usa con la Russia costerebbe oltre i 30 miliardi di Usd.

 Obama bloccò quindi la costruzione della fabbrica sul fiume Savannah.

 Venne fuori l’ipotesi dilute and dispose, di cui abbiamo già parlato.

 Essa consisteva nel mischiare il plutonio con materiale inerte e seppellirlo nel sottosuolo nel Nuovo Messico.

  Ecco quindi perché, lo abbiamo già notato, Obama ha bloccato la costruzione sul Savannah e iniziato il dilute and dispose.

Ma, negli accordi con la Russia, l’unica possibilità di gestire il plutonio in eccesso è quella della produzione di MOX, il dilute and dispose non è affatto contemplato.

 Infatti questa tecnica lascia, come sottolineano i russi, la composizione isotopica del plutonio del tutto intatta.

 E quindi vi è la non remota possibilità che il plutonio possa essere estratto dal terreno e riutilizzato a fini militari.

  Quindi, sul piano tecnico-politico, Putin ha ragione, e nulla vieta, come peraltro affermano anche scienziati americani, che il plutonio sepolto non possa davvero  essere riutilizzato per usi militari.

 Ma, sia per motivi tecnico-scientifici che per una analisi dei costi, gli Usa davvero non possono permettersi di trasformare tutto il plutonio militare in MOX.

 Allora, che fare?

 Si può trasferire il plutonio Usa alla IAEA, che potrebbe ridurlo in stabilimenti “terzi” sotto il controllo anche della Federazione Russa, oppure trattare con un paese nucleare europeo per ridurre il plutonio Usa, sempre con un controllo russo.

 Ma, ancora, si deve notare la sempre maggiore arretratezza tecnologico-militare americana, che sembra sempre più adatta a una guerra tipo Iraq o Siria piuttosto che a uno scontro alla pari.

 Se l’UE comincerà a pensare da adulta su questi temi, sarà il momento di prefigurare uno strumento militare paneuropeo piccolo, nucleare e, soprattutto, capace di controllare seriamente le proprie frontiere.

 Ma sappiamo già che questo è un sogno impossibile.

Giancarlo Elia Valori