La frenata della globalizzazione rallenta la prospettiva del Mezzogiorno nel Mediterraneo

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in foto il porto di Salerno

di Achille Flora

Lo scenario internazionale che sembrava procedere spedito verso il rafforzamento dei processi di globalizzazione, grazie al raddoppio del canale di Suez che prometteva di aprire nuovi scenari per il traffico merci marittimo attraverso il Mediterraneo, così come alla riorganizzazione del ciclo produttivo su scala globale attraverso le Catene Globali del Valore, subisce un notevole contraccolpo dalla pandemia da Covid 19 e dalla guerra mossa dalla Russia vs l’Ucraina.
Già l’amministrazione Trump negli Usa aveva iniziato un contrasto alle imprese statunitensi allocate in Paesi terzi alla ricerca di un più basso costo del lavoro, minacciando l’applicazione di dazi per il rientro delle loro produzioni. Al contrario, la Cina aveva lanciato la Nuova via della Seta, un’infrastruttura globale per attraversa i diversi continenti e Paesi e proiettare su scala internazionale i prodotti della più grande fabbrica mondiale. Due linee opposte in relazione alla globalizzazione dei mercati.
Già l’esplodere della pandemia da Covid aveva evidenziato come la globalizzazione non consistesse solo nello scambio commerciale di prodotti intermedi, materie prime, merci e servizi, oltre al ruolo principe dei mercati finanziari, ma anche nel mettere in comunicazione ambienti geografici a diversa tutela sanitaria, aumentando i rischi di trasmissione di virus alla base dello sviluppo di pandemie. I suoi effetti sul blocco dei trasporti e della logistica hanno evidenziato le criticità e i punti di debolezza di un sistema produttivo distribuito su scala globale, innescando fenomeni di rientro delle imprese delocalizzate in altri Paesi. Sono le cosiddette politiche di reshoring, ancora limitate nelle loro dimensioni che, comunque, evidenziano una tendenza all’accorciamento delle catene del valore nei termini di prossimità regionale. Effetti sui saldi della bilancia commerciale UE si sono già manifestati a gennaio 2022, con un saldo negativo di 27,2 miliardi di euro, dovuto ad un import maggiore dell’export.
La guerra di aggressione russa all’Ucraina ha ancor di più alimentato rischi e incertezze dello scenario globale, già condizionato dall’aumento dei prezzi delle materie prime, delle risorse energetiche, con effetti inflattivi alimentati sia dalle strozzature dell’offerta, sia dagli impulsi alla domanda dovuti alle politiche di sostegno all’economia adottate dai maggiori Paesi.
Lo scenario sembra attuare un ritorno agli anni ’70 del ‘900, con lo spettro della stagflazione e il timore che, la perdita di potere d’acquisto dei salari, scateni un’ondata di lotte salariali.
Eppure la centralità del Mediterraneo nel traffico marittimo aveva aperto notevoli possibilità per il Mezzogiorno italiano e suoi porti, con una prospettiva di valorizzarne la sua posizione, un tema antico che non ha mai avuto gli strumenti per realizzarsi, a dispetto della felice collocazione geografica del meridione italiano. Tramontata la possibilità per i porti meridionali di divenire Hub di arrivo delle merci cinesi, vanificata dalla mancanza di profondità dei nostri porti per l’attracco delle grandi navi orientali. I porti meridionali si erano riposizionati sul traffico Ro-Ro consistente nella movimentazione internazionale di veicoli su ruote, ma oggi anche questo segmento soffre della crisi del ciclo dell’auto, sia per la sua riconversione energetica, sia per le difficoltà di ricevere componenti fondamentali da Paesi lontani, anche se ancora non se vedono i segni nelle movimentazioni portuali, che registrano comunque una crescita del loro traffico. Nonostante questo scenario non confortante, SRM con i suoi Rapporti su Maritime Economy ci informa che i trasporti marittimi sono divenuti più lenti e più costosi già con la pandemia, con i noli dei container lievitati dell’80%.
Lo scenario descritto non offre molte possibilità di apertura alla prospettiva di sviluppo del Mezzogiorno nel Mediterraneo. Troppe tensioni nell’area medio-orientale e nella sua sponda africana, cui si uniscono le tensioni dell’Est europeo, per poter praticare un progetto di cooperazione e sviluppo con i Paesi affacciati sul Mare Nostrum.  Una prospettiva felice, frenata da instabilità economica e politica, che non può affermarsi in scenari di guerra e distruzione.